Fatah: movimento o partito?

Secondo Arafat, Fatah non doveva occuparsi di questioni economiche e sociali ma solo della liberazione della Palestina

di Daoud Kuttab

image_497In questi giorni è in corso un autentico dibattito fra palestinesi intorno all’ipotesi che la principale organizzazione palestinese, il Fatah, si trasformi compiutamente in un partito politico.
In passato Marwan Barghouti, oggi detenuto, e molti altri fra i quali forse anche l’attuale capo dell’Olp Mahmoud Abbas (Abu Mazen) hanno sostenuto questa idea. Yasser Arafat, invece, era totalmente contrario: insisteva sul fatto che Fatah, in quanto “movimento di liberazione” comprensivo di diverse ideologie dai comunisti agli islamisti, doveva avere un solo obiettivo: la “liberazione della Palestina”. I partiti politici devono avere un programma politico su temi sociali ed economici, cosa che agli occhi di Arafat avrebbe ostacolato il reclutamento più esteso possibile di appoggi per la “lotta di librazione”.
La questione se Fatah debba o meno diventare un partito è facilmente rintracciabile nei negoziati, pubblici e privati, che si sono svolti prima della decisione finale di Marwan Barghouti di ritirare la sua candidatura. L’eventuale trasformazione da movimento a partito si intravede anche nella stesura di una piattaforma politica in dodici punti attribuita ad Abu Mazen. Taeb Abdel Rahim, che guida la campagna elettorale di Abu Mazen, ha detto ai leader di Fatah che avrebbero ricevuto la piattaforma in tempo per l’avvio della campagna per le presidenziali del 9 gennaio. A quanto pare Abu Mazen ha anche accettato di partecipare a un dibattito televisivo con gli altri candidat, un’occasione colta al volo dall’emittente Al Quds di Ramallah che vorrebbe organizzare la trasmissione entro la fine del mese.
Nelle prime elezioni presidenziali palestinesi (1996) non ci furono né programmi politici né dibattiti televisivi. E il periodo che ne seguì rispecchiò fedelmente la posizione di Arafat secondo cui Fatah, essendo parte di un “movimento di liberazione” ancora privo di uno Stato, non doveva assumere specifiche posizioni ideologiche su questioni economiche o sociali.
Il divario tra approccio movimentista e politiche nazionali è forse il segno più eloquente della distanza fra Arafat e gli israeliani, così come fra Arafat e l’attuale dirigenza palestinese.
Sia Barghouti che Abu Mazen insistono sulla necessità per i palestinesi di continuare in qualche forma l’attività di “resistenza” finché la Palestina sarà piena, libera e sovrana. Sia prima che durante la campagna elettorale, Abu Mazen si è espresso contro la “militarizzazione dell’intifada”. Alcuni contrappongono questa posizione a quella di Barghouti secondo il quale, invece, la “resistenza violenta” sarebbe necessaria.
Come presidente autocratico, Arafat non aveva tempo né voglia di avere a che fare con un forte parlamento. Venne costretto controvoglia ad accettare la figura di un primo ministro. Poco dopo la nomina di Abu Mazen, Arafat divenne ben poco collaborativo finché Abu Mazen diede le dimissioni.
Se Fatah diventerà un partito politico, lo status del parlamento (Consiglio legislativo) palestinese cambierà, diventando più chiaro. Soprattutto diventerà più evidente la necessità di affrontare questioni come democrazia, trasparenza e diritti umani.
Stando al dibattito che si vede all’interno di Fatah, non c’è ancora uniformità d’opinioni sulla conversione, in questa fase, del movimento in partito politico. Certo finché alla testa di Fatah c’è un falco come Farouk Kadoumi è improbabile che il cambiamento abbia luogo tanto presto.
La domanda è se Abu Mazen, una volta eletto, vorrà preparare il terreno perché il suo movimento diventi un partito. Due importanti eventi influenzeranno questo corso: le elezioni del Consiglio legislativo palestinese in programma per il prossimo maggio, e la sesta assemblea generale di Fatah fissata per il prossimo agosto.
Se Israele nel frattempo si sarà ritirato da Gaza, la necessità di avere un partito politico con un programma economico e sociale diventerà ancora più urgente e rilevante.

(Daoud Kuttab, direttore Institute of Modern Media, Università Al Quds, Ramallah, su Jerusalem Post, 18.12.04)

Nella foto in alto: Daoud Kuttab, autore di questo articolo