Fermare l’ondata terroristica senza trascinare il paese in una nuova guerra

La difficile missione delle forze di sicurezza israeliane dopo la sequela di attentati mortali all’interno di Israele

Di Anna Ahronheim

Anna Ahronheim, autrice di questo articolo

Le forze di sicurezza israeliane sono ancora una volta impegnate nell’azione di contrasto al terrorismo, con una serie di operazioni contro-offensive 24 ore su 24 nei villaggi e nelle città di Cisgiordania. Dopo i quattro sanguinosi attentati terroristici avvenuti in rapida sequenza all’interno di Israele, le Forze di Difesa israeliane ha inviato nuove unità nella “zona di giuntura” tra aree israeliane e aree palestinesi e dentro la Cisgiordania. I rinforzi consentono alle forze speciali e alle unità d’élite di operare a Jenin, Hebron, Nablus e nei villaggi circostanti.

Queste truppe stanno procedendo all’arresto di operativi delle organizzazioni terroriste e alla confisca delle loro armi, nonostante vengano violentemente contrastate da palestinesi armati che aprono il fuoco sui soldati. In questi violenti scontri a fuoco sono rimasti uccisi diversi palestinesi (sei fra mercoledì e giovedì).

Lo scopo delle operazioni delle forze di sicurezza israeliane (esercito, polizia di frontiera, servizi di sicurezza) è quello di sventare ulteriori attacchi all’interno di Israele. Attacchi con molotov e armi da fuoco in Cisgiordania, che spesso provocano numerose vittime, non sono una novità per le forze israeliane. Ma l’ondata di attentati all’interno della Linea Verde è uno sviluppo che Israele non è disposto ad accettare. In meno di un mese 14 persone sono state assassinate, altre ferite, negli attentati a Beersheba, Hadera, Bnei Brak e nel centro di Tel Aviv. E nonostante la contro-offensiva dei militari, si continuano a registrare attacchi in Israele, l’ultimo martedì mattina ad Ashkelon con l’accoltellamento di un agente di polizia israeliano da parte di un palestinese di Hebron.

I funerali a Jenin di due terroristi morti nei recenti scontri con le Forze di Difesa israeliane

Inutile girarci intorno: Israele è ancora una volta bersaglio di un’ondata di attacchi contro civili e forze di sicurezza. Ma stiamo parlando di Israele, un paese che ha già subito ondate su ondate di terrorismo, guerre e intifade. Anche nelle situazioni più dure, con un bilancio di vittime molto più pesante di quello attuale, il paese è stato capace di resistere e respingere il terrorismo più e più volte.

L’ondata attuale non è un’intifada, ma per certi versi è persino più complicata da sconfiggere. Analogamente alla cosiddetta “intifada dei coltelli” del 2015-2016, gli attentati vengono perpetrati da “lupi solitari” che generalmente non sono nel radar dell’establishment della sicurezza e che riescono a infiltrassi attraverso brecce nella barriera difensiva (che ora le autorità si stanno affrettando a censire e chiudere, nonostante i costi elevati ndr).

Tutti i gruppi palestinesi celebrano gli attentati e Hamas in particolare caldeggia espressamente le violenza.

I capi di diversi gruppi terroristi palestinesi con sede nella striscia di Gaza si sono riuniti mercoledì sotto la guida di Yahya Sinwar, capo di Hamas a Gaza, e hanno lanciato un appello unificato per un’escalation della violenza contro Israele. “Proclamiamo una mobilitazione generale in tutti i luoghi dove si trova il nostro popolo – afferma l’appello dei gruppi terroristi – Chiediamo alle masse di mobilitarsi a centinaia di migliaia a difesa della nostra nazione e della nostra moschea (di al-Aqsa)”. Poco dopo Saleh al-Arouri, vice capo di Hamas e capo di Hamas in Cisgiordania, dal suo rifugio all’estero ha lanciato un appello  in cui esorta il popolo palestinese a “scontrarsi con l’invasione delle forze israeliane nelle città e nei paesi della Cisgiordania”. Giovedì anche Fatah, la fazione che fa capo al presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, ha esortato il popolo palestinese a recarsi in tutte le aree sensibili e “affrontare le forze militari e i coloni israeliani”. (Da: Times of Israel, YnetNews, 14.4.22)

Ma all’atto pratico, questa volta la principale preoccupazione è rappresentata da gruppi come la Jihad Islamica Palestinese. Le Forze di Difesa israeliane hanno puntato gli occhi soprattutto sulla Cisgiordania settentrionale, in particolare sulla città di Jenin, dove la Jihad Islamica Palestinese può contare su ampi sostegni. E’ da lì che provenivano i terroristi che hanno colpito a Tel Aviv e Bnei Brak.

Sia il primo ministro Naftali Bennett che il ministro della difesa Benny Gantz hanno dato luce verde alle operazioni delle forze di sicurezza, ma Israele cerca comunque di agire con cautela per non alimentare ulteriormente le fiamme.

La città e il campo palestinese di Jenin sono tra i più violenti di Cisgiordania, ed è qui che durante ogni operazione di arresto, gruppi di terroristi pesantemente armati ingaggiano le forze israeliane in violenti scontri a fuoco che provocando vittime. Come altri gruppi terroristi, la Jihad Islamica Palestinese giura che vendicherà i suoi operativi uccisi negli scontri. E da quelle parti, la vendetta viene solitamente servita con i lanci di razzi.

Sul luogo dell’attentato del 7 aprile in Via Dizengoff, a Tel Aviv

Secondo gli ufficiali israeliani, al momento Hamas non è interessata a scatenare un nuovo conflitto come quello del maggio scorso. Ma c’è sempre il rischio che l’aumento delle violenze possa spingere altri gruppi terroristi con base a Gaza a riprendere i lanci di razzi sui civili israeliani, trascinando la regione in un’altra guerra. A quanto risulta, la stessa Hamas ha recentemente impedito a operativi della Jihad Islamica Palestinese di lanciare razzi da Gaza. Ma Hamas, che controlla la striscia, potrebbe decidere in qualunque momento di chiudere un occhio e lasciar fare. Come un anno fa, Hamas punta a stabilire un forte collegamento fra Gerusalemme, Cisgiordania e striscia di Gaza. Qualsiasi escalation attraverso la Linea Verde finirebbe per investire anche Gaza. Israele lo sa ed è per questo che il ministro della difesa Benny Gantz ha ribadito che si continuerà a mantenere un (difficile) equilibrio, perseguendo la sicurezza ma anche consentendo al contempo ai palestinesi di continuare a entrare per lavoro in Israele sia dalla Cisgiordania che dalla striscia di Gaza.

Ma le misure volte a rafforzare la fiducia non funzionano con i gruppi terroristici né con i giovani fanatizzati che considerano la violenza contro gli israeliani come la loro ragion d’essere. Per questo i militari devono continuare a “falciare il prato” dei gruppi terroristi, specie a Jenin, e a neutralizzare i commando terroristi prima che riescano a uscire dalle loro basi.

Ma ci vuole tempo e questo potrebbe senz’altro spingere Jihad Islamica Palestinese e Hamas a dar seguito alle loro minacce. In sostanza, le forze di sicurezza israeliane devono tenere sotto stretto controllo la situazione a Jenin e in Cisgiordania senza trascinare Gaza nel conflitto. L’ultima cosa di cui c’è bisogno da queste parti è di nuove raffiche di missili e razzi.

(Da: Jerusalem Post, 13.4.22)

Soldati israeliani di guardia a una breccia nella barriera di sicurezza, a sud di Hebron, in attesa che venga riparata