Filo-israeliani ma antisemiti: il dilemma d’Israele di fronte alla nuova destra occidentale

Anche se l'ondata di xenofobia non ha ancora preso di mira gli ebrei, la storia ci insegna che è solo questione di tempo

Di Anshel Pfeffer

Anshel Pfeffer, autore i questo articolo

Una decina di anni fa il governo israeliano decideva di non avere nulla a che fare con Geert Wilders. Non un annuncio ufficiale, naturalmente, tanto più che all’epoca la cosa non ebbe un effetto molto visibile. Ma nel momento in cui il controverso politico olandese iniziava ad agitare le acque come leader del nuovo Partito per la Libertà, il Ministero degli esteri a Gerusalemme diramava la raccomandazione di non impegnarsi con lui pubblicamente o ad alto livello politico.

Non fu una decisione semplice. Wilders è apertamente pro-Israele e, a differenza di altri politici dell’estrema destra in Occidente, non era tale da far pensare che la sua fosse una posizione di comodo o interessata. Il 53enne Wilders da giovane è stato volontario in un kibbutz e nel corso degli anni ha visitato Israele decine di volte. Inoltre, né Wilders né il suo partito hanno uno scomodo passato neo-fascista o neo-nazista da far dimenticare. All’epoca, tuttavia, si ritenne che le sue posizioni vigorosamente anti-musulmane, il suo vero marchio di fabbrica, ne facevano un alleato imbarazzante e potenzialmente controproducente per Israele, e l’allora ministra degli esteri Tzipi Livni accolse la raccomandazione del suo corpo diplomatico alla prudenza. Pur non essendo ufficialmente classificato “persona non grata”, per un po’ di tempo Wilders non venne formalmente ricevuto da ministri e alti funzionari di governo israeliani.

Geert Wilders a Roma nel 2009

Questa politica cambiò nel 2009, quando divenne ministro degli esteri Avigdor Lieberman che conosceva personalmente Wilders da anni. Improvvisamente il biondo agitatore, ostracizzato da tutti i politici tradizionali europei e nel 2009 persino temporaneamente bandito dalla Gran Bretagna (un divieto successivamente ribaltato dai giudici), venne ricevuto al Ministero degli esteri di Gerusalemme con lo status di un politico di primo piano. All’epoca Wilders fece da apripista: era il primo importante politico europeo che combinasse esplicitamente una propaganda violentemente anti-musulmana con muscolari posizioni politiche pro-Israele.

Il cambiamento di posizione verso Wilders riflette quanto possa essere difficile, per Israele, calibrare i propri rapporti con i politici di estrema destra. Se Wilders, dopo le elezioni di mercoledì, si fosse ritrovato leader del maggiore partito nel parlamento olandese, la cosa avrebbe verosimilmente influenzato il modo in cui Israele si rapporta in generale con l’estrema destra europea. A maggior ragione, poi, se Wilders fosse emerso come il nuovo primo ministro d’Olanda.

Vi sono alcune regole non scritte, nell’atteggiamento d’Israele a questo riguardo. Una è che i partiti con un bagaglio storico inaccettabile devono fare completa ammenda del loro passato. Il primo esempio di un importante politico di estrema destra europeo che lo fece con successo è quello di Gianfranco Fini, l’ex ministro degli esteri italiano che iniziò la sua carriera politica come fiero erede degli ideali di Benito Mussolini. A metà degli anni ’90, tuttavia, Fini abbandonò il neo-fascismo e riformò il suo partito gettando a mare la maggior parte degli irriducibili di estrema destra. Una parte importante della riabilitazione politica di Fini fu la creazione di un nuovo rapporto con la comunità ebraica in Italia.

Una manifestazione della English Defence League

E questa è la seconda regola non scritta: Israele non scavalca la leadership ebraica locale e fin dove lo consente l’etichetta diplomatica non si impegna con i leader che le comunità ebraiche del posto considerano oltre i limiti dell’accettabile. Ad esempio, indipendentemente da quante volte la candidata presidenziale francese Marine Le Pen abbia ribadito che il suo partito non è il Fronte Nazionale del padre, l’antisemita Jean Marie, fino a quando il Consiglio rappresentativo degli ebrei francesi (CRIF) rifiuta di legittimare il suo partito, anche Israele eviterà di avere con esso rapporti ufficiali.

In alcuni casi vengono esclusi anche movimenti che si presentano come pro-Israele. Il movimento di piazza anti-musulmano English Defence League, che ai suoi eventi sventola bandiere israeliane allo scopo evidente di irritare i musulmani, è stato classificato dal Community Security Trust della comunità ebraica britannica come un gruppo dedito all’odio a causa del suo incitamento contro i musulmani in quanto tali, per cui le organizzazioni ebraiche e i rappresentati israeliani se ne tengono alla lontana.

Ma al crescere dell’ondata del nazionalismo di destra in Europa, le barriere sembrano destinate a spostarsi. Il governo israeliano intrattiene buoni rapporti con il partito Legge e Giustizia, al governo in Polonia, e con il governo del partito Fidesz di Viktor Orban in Ungheria, nonostante gli antisemiti presenti nei ranghi di queste formazioni e nonostante il modo in cui entrambe sistematicamente minimizzano la collaborazione delle popolazioni locali nello sterminio degli ebrei durante la Shoà. Israele giustifica questi rapporti non solo con il fatto che si tratta di forze al governo, ma anche con il fatto che Ungheria e Polonia appoggiano le ragioni di Israele all’interno dell’Unione Europea e che, ufficialmente, le autorità e le forze di sicurezza locali proteggono le comunità ebraiche da qualunque vera violenza antisemita. Ma in questo modo Israele gioca col fuoco. Anche se l’ondata di xenofobia in Europa non ha ancora preso di mira gli ebrei, la storia ci insegna che è solo questione di tempo.

Durante un dibattito lo scorso febbraio alla tv France 2, la candidata alla presidenza di Francia Marine Le Pen ha detto che, se eletta, imporrebbe agli ebrei francesi con doppio passaporto di scegliere fra cittadinanza israeliana e cittadinanza francese

Nel 2000, quando il Partito della Libertà di Georg Haider entrò nella coalizione di governo in Austria, Israele richiamò il proprio ambasciatore da Vienna per quasi cinque anni. Lo scorso dicembre, quando il candidato dello stesso partito, Norbert Hofer, sembrava sul punto di vincere le elezioni presidenziali austriache, i diplomatici israeliani si chiesero se l’attuale governo Netanyahu si sarebbe spinto a tanto. Negli ultimi anni il Partito della Libertà ha cercato per migliorare i propri rapporti con Israele nel tentativo di ripulire la propria immagine, ma quando lo scorso anno il leader del partito Heinz-Christian Strache ha visitato Israele non è stato ricevuto da nessun ministro. Se Hofer avesse vinto le elezioni presidenziali, sarebbe continuato il boicottaggio del Partito della Libertà? E che accadrà se a maggio, contro aspettative e sondaggi, Marine Le Pen dovesse diventare il nuovo presidente di Francia?

In realtà il problema si è già posto con i rapporti fra rappresentanti del governo israeliano e alcuni membri della cerchia ristretta del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump: come il suo capo stratega Steve Bannon, di cui il mimino che si possa dire è che ha apertamente flirtato con l’antisemitismo. Rispetto a loro, Wilders non sembra nemmeno così estremista.

(Da: Ha’aretz, 16.3.17)