Fine di una rivoluzione

Mentre la guerra interna siriana entra nelle sue fasi finali, l'attenzione si sposterà sulle prossime mosse di Teheran e sugli sforzi di Israele per contrastarle

Di Eyal Zisser

Eyal Zisser, autore di questo articolo

Le bandiere bianche sono state sventolate nei giorni scorsi a Daraa, nel sud della Siria, la stessa città dove sette anni e mezzo fa venivano issate le bandiere della ribellione e della rivoluzione, che sarebbe sfociata nella guerra civile siriana.

Per un serto periodo sembrò che i ribelli potessero rovesciare il regime siriano. Ma non riuscirono a formare un fronte diplomatico e militare unito ed efficace, che fosse in grado di portarli alla vittoria. Lasciarono invece che gruppi islamisti estremisti, come ISIS o Fronte Nusra, usurpassero la loro rivoluzione e la trasformassero in una guerra di religione. I ribelli non hanno mai avuto veri alleati, disposti a gettarsi nel pantano siriano. I loro sostenitori – principalmente gli stati del Golfo e, fra i paesi occidentali, gli Stati Uniti – si sono accontentati di mandare denaro e inutili manifestazioni di compassione, per lo più evitando di aiutare con azioni concrete.

Dall’altra parte, nel frattempo, russi e iraniani si sono concretamente schierati dalla parte di Assad e lo hanno portato alla vittoria muovendo guerra a tutto campo contro i ribelli e i loro sostenitori. Quasi mezzo milione di siriani hanno pagato con la vita, altri 2 milioni sono stati feriti o mutilati, circa 10 milioni hanno perso la casa e 8 milioni di questi hanno cercato rifugio in altri paesi.

Ma la vittoria di Assad è superficiale e carente per due ragioni. Primo, perché la Siria è stata quasi completamente distrutta. Ci vorranno anni e soprattutto miliardi di dollari per riabilitare il paese. In secondo luogo, fatto ancora più importante, Assad deve interamente la sua vittoria ai russi e agli iraniani, che sono coloro che attualmente tirano le fila in Siria.

Almeno 250mila persone sono sfollate nel sud della Siria a partire dal 19 giugno

Israele s’è fatto una ragione della vittoria di Assad e del suo previsto ritorno alla frontiera del Golan.

Fin dall’inizio della guerra civile siriana Israele decise di tenersene fuori, e una volta che vi irruppero i russi il governo israeliano decise di privilegiare i rapporti diplomatici con Mosca anche a costo della permanenza di Assad al potere. In ogni caso in Israele non si dimentica che, sin dai tempi della guerra del Kippur del 1973, la dinastia Assad, retorica a parte, ha preservato la calma lungo il confine del Golan.

Tuttavia la sfida più pressante per Israele, sul fronte nord, è la crescente presenza iraniana, che nessuno sembra vedere volentieri, ma nessuno sembra nemmeno in grado di fermare. Israele ha deciso di fare da sé.

Ora, mentre la guerra in Siria entra nelle sue fasi finali, l’attenzione si sposterà inevitabilmente sulle prossime mosse di Teheran e sugli sforzi di Israele per contrastarle.

(Da: Israel HaYom, 8.7.18)