Fra Atene e Gerusalemme

Cos’è che è andato storto in Grecia ed è andato invece per il verso giusto in Israele?

Editoriale del Jerusalem Post

Durò 20 ore la riunione governo israeliano presieduto da Shimon Peres (a sin nella foto) che il 30 giugno 1985 varò il piano di riforme economiche che evitò a Israele una deriva “alla greca”

Durò 20 ore la riunione del governo israeliano presieduto da Shimon Peres (a sinistra nella foto) che il 30 giugno 1985 varò il piano di riforme economiche che evitò a Israele una deriva “alla greca” (clicca l’immagine per ingrandire)

Non è ancora chiaro cosa riserva per il futuro della Grecia, e per il futuro di tutta l’Unione Europea, il fragoroso “no” nel referendum di domenica scorsa. Ma è interessante che il giorno stesso in cui i greci si recavano alle urne a respingere il pacchetto di salvataggio dei creditori, il ministro degli esteri greco Nikos Kotzias iniziava una visita di tre giorni in Israele, prevalentemente centrata sui rapporti bilaterali economici e militari e sulla situazione diplomatica con i palestinesi.

Cadendo in un momento così cruciale per l’economia greca, la visita suscita inevitabilmente la domanda: negli ultimi decenni, cos’è che è andato storto ad Atene ed è andato invece per il verso giusto a Gerusalemme tanto da evitarle una deriva economica alla greca?

Un’altra coincidenza che rende ancor più pertinente il confronto è che, esattamente trent’anni fa, Israele marcava una drammatica rottura con le fallimentari politiche economiche quasi-socialiste che avevano generato iperinflazione, un settore pubblico ipertrofico e un debito pubblico paralizzante. Il 30 giugno del 1985 l’allora primo ministro Shimon Peres (laburista), insieme con il ministro delle finanze Yitzhak Moda’i (Likud) e l’economista Michael Bruno, facevano passare alla Knesset un drastico piano per la stabilizzazione economica. Nel giro di due anni, il tasso di inflazione scese dal 450% a livelli molto più gestibili.

Ovviamente i confronti tra l’economia greca e quella israeliana non possono spingersi molto più in là. Infatti gran parte del problema della Grecia è collegato alla sua appartenenza all’euro-zona. Dal momento che la Grecia ha abbandonato la dracma per l’euro nel 2001, le è diventato impossibile combattere l’economia stagnante con la svalutazione della propria moneta che renderebbe le esportazioni greche e il turismo in Grecia più attraenti per gli stranieri.

Eppure agli israeliani conviene fare tesoro dell’esperienza della crisi greca, come è stato sottolineato dal presidente uscente del Consiglio Economico Nazionale, prof. Eugenio Kandel, alla vigilia della visita del ministro degli esteri greco. Secondo Kandel, parte della spiegazione del successo di Gerusalemme ha a che fare con le politiche economiche. Mentre i greci hanno miseramente mancato l’obiettivo di rimanere all’interno delle linee guida dell’Unione Europea in fatto di finanza pubblica, negli ultimi dieci anni o giù di lì Israele tagliava le dimensioni del suo settore pubblico, riduceva i trasferimenti sociali e dimostrava responsabilità finanziaria mantenendo costantemente un basso deficit di bilancio espresso come percentuale del Pil. Mentre in Grecia il rapporto debito/Pil è salito dal 94,1% del 2003 al paralizzante 177,2% del 2014, in Israele nello stesso periodo il rapporto debito/Pil è sceso dal 93,9% al 68,8%. Il rating della Grecia (Moody) è sceso da A1 (nel 2002) a Caa3, mentre quello di Israele è passato da A2 ad A1 (nel 2015).

Comunque il successo dell’economia israeliana non è solo legato alla disciplina finanziaria. Una spesa prudente tiene in equilibrio il bilancio, ma non genera reddito. La forza trainante della notevolissima crescita del Pil israeliano sono state le sorprendenti innovazioni nel campo della medicina, dell’hi-tech e delle scienze applicate. Centinaia di aziende internazionali hanno creato centri di ricerca e sviluppo in Israele per attingere a risorse umane di livello mondiale. E quelle aziende hanno pompato miliardi di dollari nell’economia israeliana.

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Forse è l’antica e radicata etica pedagogica ebraica che incoraggia a porre e porsi domande, forse è la formazione pronto-uso che tanti giovani israeliani ricevono dal servizio di leva nelle Forze di Difesa, forse è la realtà geopolitica che non lascia a Israele altra scelta che essere sempre e costantemente un passo avanti rispetto ai suoi tanti acerrimi nemici: quale che sia la ragione, è un fatto che Israele ha più società quotate al NASDAQ di qualsiasi altro paese al mondo dopo Stati Uniti e Cina.

Nel 2004 il Pil pro capite israeliano era di 21.796 dollari, inferiore a quello della Grecia (25,837 dollari). Ma secondo i dati della Banca Mondiale, da allora il Pil pro capite greco è rimasto stagnante, mentre il Pil pro capite israeliano è aumentato di circa il 50%, salendo a 32.691 dollari (in valuta del 2015). E mentre la disoccupazione in Grecia saliva dall’8,4% del 2002 al 26,5% del 2014, la disoccupazione in Israele scendeva dal 12,8% del 2002 al 5,9% del 2014.

Due i fattori che spiegano le strade così diverse percorse negli ultimi decenni dell’economia di Gerusalemme e da quella di Atene. In primo luogo, mentre lo stato ebraico riusciva a pareggiare il bilancio, a tenere a bada i sindacati e a ridurre gli sprechi del settore pubblico, i greci mostravano molta meno autodisciplina in tutti questi campi. In secondo luogo, e più significativamente, la cultura israeliana ha alimentato una predisposizione impressionante verso l’innovazione e la creatività che si è tradotta in un Pil pro capite più elevato, in maggiori investimenti internazionali e in un ambiente imprenditoriale più dinamico.

L’esperienza greca deve essere un monito per la leadership politica a Gerusalemme perché rimanga vigile contro l’irresponsabilità finanziaria e rimuova gli ostacoli all’innovazione.

(Da: Jerusalem Post, 7.7.15)

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