Fumata bianca a Gerusalemme

Dopo un processo elettorale di 90 giorni, 40 giorni per varare il nuovo governo.

Di Gil Hoffman

image_3683Ci sono voluti solo due giorni al Collegio dei Cardinali per scegliere, mercoledì a Roma, l’argentino Jorge Mario Bergoglio come nuovo leader di oltre un miliardo di cattolici nel mondo. Intanto dall’altra parte del Mediterraneo, in Israele, ci son voluti quaranta giorni per decidere che la persona incaricata di gestire circa due milioni e mezzo di alunni israeliani sarà Shai Piron e non Gideon Sa’ar, per combinazione anche questi di origine argentina. Se qualche argentino si sentirà deluso nel vederlo perdere la poltrona, probabilmente si consolerà con la conquista del papato.
La proverbiale fumata bianca emersa dai negoziati fra il primo ministro Benjamin Netanyahu e il leader di Yesh Atid (C’è futuro), Yair Lapid, mediati dal presidente di Bayit Yehudi (Casa ebraica), Naftali Bennett, permetterà a Israele di avere il nuovo governo in carica quando il presidente americano Barack Obama verrà in visita a Gerusalemme mercoledì prossimo.
Obama troverà un Netanyahu indebolito da un risultato elettorale che lo ha deluso, e da un processo di formazione della coalizione da cui è emerso molto meno forte di quanto sia stato negli ultimi quattro anni. L’uomo che solo nove mesi fa il “Time” aveva incoronato “re Bibi” dovrà ora consultarsi col “principe Yair”, alla sua sinistra, e col “duca Naftali”, alla sua destra, prima di prendere ogni decisione importante.
Lapid è emerso vincitore non solo dalle elezioni, ma anche dalle trattative per la coalizione, che costituiscono il vero campo di battaglia dove si decide chi guida il governo israeliano. Ha ottenuto un governo col numero di ministri che desiderava e il dicastero di prestigio che voleva per il suo numero due. Così ora, l’uomo che è entrato in politica chiedendo “dove sono finiti i soldi?” avrà la responsabilità della cassa del paese. Non è un papa, ma vale la pena notare che la persona ora al potere dietro al trono di Gerusalemme prega in una sinagoga “reformed” a Tel Aviv e l’anno scorso ha tenuto il discorso principale all’assemblea dei rabbini “conservative” ad Atlanta. Ora Lapid può promuovere un nuovo pluralismo religioso ebraico in Israele con un semplice tratto di penna sul bilancio dello stato, senza che possano farci nulla le proteste di migliaia di ultra-ortodossi.
Anche Bennett emerge dalle trattative con un successo al di là delle sue più rosee aspettative. Se fosse dipeso da Netanyahu (e da sua moglie Sara), probabilmente sarebbe rimasto a languire all’opposizione con dodici parlamentari frustrati. Invece Bennet ne esce con un portafoglio socio-economico importante, e userà la sua lingua madre, l’inglese, per guidare la diplomazia pubblica israeliana. Il suo partito è responsabile del ministero per gli affari religiosi, determinante per il carattere ebraico del paese, del ministero dell’edilizia e costruzioni e della Israel Lands Authority che può aiutarlo nel rapporto coi suoi elettori sia al di qua che al di là della Linea Verde. La cosa più importante, per Bennett, è che ha riportato i sionisti religiosi al loro antico ruolo di mediatori nazionali che colmano il divario fra differenti settori della popolazione. Probabilmente continuerà in quel ruolo ogni volta che vi saranno problemi fra i suoi “fratelli” Netanyahu e Lapid.
I grandi perdenti, naturalmente, sono gli ultra-ortodossi, che vedranno sfumare ingenti somme per le loro istituzioni e dovranno mandare più studenti di yeshivà al servizio di leva (civile o militare). Potrebbero inscenare proteste di massa e dire che Netanyahu non avrà mai più il loro appoggio, ma se lui alle prossime elezioni correrà contro Lapid, loro non potranno fare altro che tornare da lui con la coda fra le gambe.
Il piccolo perdente è Shaul Mofaz, di Kadima, che è risultato troppo irrilevante per riuscire a entrare nel governo. Il leader di un partito che aveva 28 seggi quando entrò nella coalizione, circa un anno fa, dovrà guardare col binocolo dai banchi più lontani il tavolo del governo al centro dell’aula della Knesset.
Ora che a Gerusalemme c’è stata la fumata bianca, Lapid, il cui nome in ebraico significa fiaccola, dovrà affrontare sfide quasi altrettanto formidabili di quelle che stanno di fronte al nuovo papa. Dovrà fare un corso accelerato di economia, riorganizzare le priorità della nazione e far passare il bilancio dello stato entro 45 giorni, oppure Israele dovrà andare nuovamente alle elezioni. Lapid avrà molte più possibilità di successo se finalmente si poserà la polvere sollevata dai fieri scontri con Netanyahu. Dopo un processo elettorale di 90 giorni e 40 giorni per la formazione del governo, è ora che si mettano al lavoro.

(Da: Jerusalem Post, 14.3.13)

Nelle foto in alto (da sinistra): Yair Lapid, Benjamin Netanyahu, Naftali Bennett