Gaza: quali prospettive?

Hamas sembra solida, e le alternative persino peggiori

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2725Da quando Hamas ha vinto le elezioni palestinesi nel 2006 e l’anno successivo (falliti i tentativi di creare un governo di unità nazionale palestinese) ha preso il potere con la violenza nella striscia di Gaza, Israele ha cercato di accelerare la fine del gruppo islamista senza fare ricorso a un intervento a tutto campo mirato a una totale vittoria militare. La speranza è che Hamas continui a vedersi negata la legittimità internazionale, che vada gradualmente perdendo la sua capacità di governare Gaza, e che questa organizzazione apertamente votata alla distruzione di Israele finisca con l’essere rimpiazzata da una dirigenza palestinese più moderata. Ecco perché il governo israeliano ha preferito non ordinare alle forze armate di scalzare Hamas dalla striscia di Gaza durante la campagna di un anno fa, optando piuttosto per il mantenimento dell’embargo economico.
Ora anche l’Egitto, sul suo versante del confine, sta stringendo l’assedio su Hamas costruendo una barriera sotterranea intesa a tagliare i tunnel del traffico di armi e merci che servono da ciambella di salvataggio per il quasi-stato di Hamas. Con tutta evidenza Hamas è molto preoccupata del potenziale impatto sulla sua capacità di andare avanti con la sua campagna contro Israele, e sulla sua capacità di far fronte alle necessità della popolazione di Gaza. Per questo all’inizio di questo mese ha orchestrato violente proteste al confine con l’Egitto, fino ad arrivare a una sparatoria costata la vita a un soldato egiziano: uno sviluppo che di per sé tradisce il profondo nervosismo di Hamas.
Ma l’Egitto, nonostante le proteste, rimane irremovibile. Hamas è la branca palestinese dei Fratelli Musulmani, eterna minaccia per il regime di Mubarak, ed evidentemente il Cairo ha deciso che i traffici clandestini di Hamas e il pericolo di una sua crescente influenza nella penisola del Sinai rappresentano una sfida troppo grave alla sovranità egiziana.
A questo punto vi sono pochi segnali che il regime di Hamas a Gaza stia scricchiolando. In realtà Hamas si è dimostrata perfettamente in grado di ripristinare il suo potere, anche all’indomani dei devastanti colpi subiti durante la campagna israeliana del gennaio scorso. Ma qualora Hamas incominciasse effettivamente a perdere la presa, è tutt’altro che garantito che si realizzerebbe la speranza condivisa da israeliani ed egiziani: un ritorno di Gaza sotto i laici di Fatah che renda possibile una nuova stabilità.
Fra i possibili scenari alternativi della successione a Gaza, in effetti, c’è anche la prospettiva di una crescita del campo della jihad globale ispirato da al-Qaeda. È da anni che questo campo sta cercando di prendere piede a Gaza, finora con scarso successo: ha imparato a sue spese che la sua presenza può essere tollerata da Hamas solo finché non pone un’aperta sfida al suo potere. Così, lo scorso agosto, quando lo sceicco Abdel-Latif Moussa pensò di utilizzare il sermone del venerdì pomeriggio nella sua moschea di Rafah per proclamare la nascita nella striscia di Gaza meridionale di un “emirato islamico”, primo passo del processo verso l’obiettivo di al-Qaeda di creare un califfato islamico, la risposta di Hamas è stata spietata: centinaia di miliziani di Hamas (senza tanti scrupoli etici) hanno dato l’assalto alla moschea a colpi di granate RPG e raffiche di mitra uccidendo o ferendo quasi tutti quelli che vi si trovavano. Da allora i jihadisti globali di Gaza si stanno leccando le ferite, cercando di ricostruire le loro forze senza infastidire di nuovo Hamas.
Secondo un recente studio, avrebbero anche cercato di sollecitare l’appoggio e il riconoscimento della rete “ufficiale” di al-Qaeda di Osama bin Laden. Lo studio, condotto dal
Washington Institute for Near East Policy insieme all’ex vice direttore generale dei servizi di sicurezza israeliani Yoram Cohen, afferma che al-Qaeda si sta dimostrando riluttante a concedere il suo imprimatur ai potenziali “combattenti della fede” di Gaza. Almeno per ora.
Sebbene al-Qaeda abbia a lungo rimproverato a Hamas di non guardare al di là di Israele e di non essersi collegata con la guerra globale di bin Laden, lo studio afferma che tuttavia resta scettica sulla affidabilità e sull’impegno ideologico dei jihadisti di Gaza. Ma i jihadisti non abbandonano le speranze e sostengono di essere impegnati nella progettazione di attentati su grande scala, nel tentativo di guadagnarsi l’approvazione di al-Qaeda.
Al-Qaeda ha già dimostrato la sua capacità di andare a riempire il vuoto lasciato da stati fallimentari e di trasformare territori senza sovranità in basi per la sua guerra santa globale. Per adesso la presa di Hamas sulla striscia di Gaza rimane salda e resta remota la prospettiva che venga rimpiazzata da un’entità ancora più estremista, formata da una coalizione di organizzazioni affiliate ad al-Qaeda e dedite alla guerra globale di bin Laden. Ma l’intenzione sicuramente esiste. E l’esistenza di uno scenario così cupo non fa che sottolineare la crescente complessità del tentativo di risolvere il conflitto israelo-palestinese finché il popolo palestinese resta spaccato in due distinte entità, geografiche e politiche, ostili fra di loro.

(Da: Jerusalem Post, 19.1.10)

Nella foto in alto: Una poliziotta di Hamas a Gaza