Gerusalemme: occhio alle fake news

Visita di Trump, 50esimo della riunificazione di Gerusalemme e fiducia cieca nelle fonti palestinesi: ecco la miscela per una "tempesta perfetta" di cattivo giornalismo

di Tamar Sternthal

Tamar Sternthal, autrice di questo articolo

Accompagnato da varie controversie e un alto tasso di imprevedibilità, il presidente Donald Trump arriva lunedì a Gerusalemme, la contestata capitale d’Israele: una combinazione di fattori già di per sé altamente infiammabile dal punto di vista dell’informazione. A ciò si aggiunga il fatto che Gerusalemme è in assoluto la città contesa soggetta alla maggior copertura mediatica al mondo. Agli 800 giornalisti stranieri che stazionano in Israele in modo permanente, nei prossimi giorni andranno ad aggiungersi centinaia di altri inviati per coprire la visita di un presidente nella cui elezione si dice che abbiano giocato alla grande le fake news (notizie false). Se tutto ciò non bastasse, questa settimana Israele celebra la ricorrenza (secondo il calendario ebraico) dei 50 anni dalla riunificazione di Gerusalemme, avvenuta il 7 giugno 1967 con la sbalorditiva vittoria nella guerra dei sei giorni, un evento che i palestinesi piangono come una naksa (débâcle), termine che riecheggia la nakba (la “catastrofe” dovuta alla nascita di Israele). Innescata dalla chiusura egiziana degli stretti di Tiran al traffico israeliano – di per sé un atto di guerra – unita all’espulsione delle truppe delle Nazioni Unite, all’ammasso di truppe arabe ai confini e ai martellanti appelli bellicosi per la distruzione di Israele, la guerra si conclude inaspettatamente in sei giorni con la conquista da parte israeliana della Cisgiordania e della parte orientale di Gerusalemme (precedentemente occupate dalla Giordania), delle alture siriane del Golan, della penisola egiziana del Sinai e della striscia di Gaza (precedentemente occupata dall’Egitto).

1905: ebrei in preghiera al “Muro del pianto”. Ma il New York Times scrive che “è diventato” sacro per gli ebrei dopo il 1967

I palestinesi rivendicano Gerusalemme – sede di governo, parlamento e Corte Suprema israeliani – come loro capitale. Gerusalemme, con il Monte del Tempio – il luogo più sacro dell’ebraismo, terzo luogo sacro dell’islam – si trova al centro del conflitto israelo-palestinese, vera ossessione dei mass-media occidentali. Insomma, ci sono tutte le condizioni per una “tempesta perfetta” di informazioni distorte o travisate nella copertura giornalistica delle prossime settimane.

Per Gerusalemme non sarebbe una novità. Tanto per fare un esempio rimasto tristemente famoso, Mary Leigh Summerton, una studentessa di giornalismo dell’Arizona State University, scrisse sul giornale del suo campus d’aver visto coi propri occhi degli ebrei ortodossi lapidare a morte un ebreo paraplegico che aveva usato la sedia a rotelle elettrica al Muro Occidentale durante il sabato. Scrisse: “Ho potuto sentire l’odore del sangue di quell’uomo e mi sono sentita svenire”. Si trattava di una notizia totalmente inventata, una pura calunnia. Avvenne nel 1994, decenni prima che si sentisse parlare di fake news.

Ma non sono solo i giornalisti dilettanti che si fanno beccare a inventare fatti di sana pianta. Facciamo un salto in avanti al 2005, quando Carolyn Wheeler riferì sul Globe and Mail di Toronto: “I leader palestinesi sono usciti coi volti scuri dall’incontro nell’abitazione di Sharon nella città vecchia di Gerusalemme”. Naturalmente l’incontro si era svolto nella residenza ufficiale dell’allora primo ministro Sharon, nel quartiere ebraico di Rehavia, nella Gerusalemme occidentale, e non nel quartiere musulmano della Città Vecchia. Lo svarione rivelò che Wheeler scriveva come se fosse stata presente di persona, ma non lo era: pessimo giornalismo. Nel 2010, l’Economist, seguendo Al Jazeera, accusò di razzismo i semafori di Gerusalemme sostenendo che “restano verdi solo pochi secondi per le automobili provenienti dai quartieri palestinesi mentre rimangono verdi diversi minuti per le automobili che vengono dagli insediamenti ebraici”. Una balla clamorosa che se non altro aveva il pregio d’essere assai fantasiosa.

Articoli pieni di fake news sono anche quelli in cui i giornalisti riportano acriticamente come dati di fatto dichiarazioni palestinesi infondate. Nel 2000, il Wall Street Journal fu costretto a fare ammenda per aver scritto che nel 1969 un ebreo israeliano tentò di appiccare un incendio alla moschea di Al Aqsa. In realtà, si trattava di un cristiano australiano (squilibrato). L’anno scorso il New York Times rilanciò la falsa accusa che inquilini palestinesi nella Gerusalemme orientale venivano sfrattati per motivi assolutamente futili, come aver cambiato una vecchia porta arrugginita. La direzione si trovò poi costretta a pubblicare una nota in cui riportava in dettaglio le conclusioni del tribunale, da cui risultava che si trattava di famiglie che da tempo non pagavano l’affitto, in tutto o in parte, o che non abitavano più nell’appartamento da decenni. Nel 2017 la direzione del New York Times si trovò costretta a pubblicare una nota per rettificare un articolo che, ripetendo a pappagallo le tesi palestinesi volte a negare la storia ebraica, sosteneva che non si sa se sul Monte del Tempio sorgessero il Primo e il Secondo Tempio ebraico. “La questione – dovette precisare la direzione – è quale fosse il punto esatto in cui sorgevano i templi ebraici all’interno dei 37 acri della spianata sulla sommità del Monte del Tempio, ma è fuori discussione che sorgessero là sopra”. Vatti a fidare di certe fonti…

Purtroppo, i mass-media non sempre imparano dai propri errori. Il Washington Post, ad esempio, ha più volte riportato, e poi dovuto correggere, l’affermazione che il Muro Occidentale (“del pianto”) sarebbe il luogo più sacro dell’ebraismo, mentre naturalmente il luogo più sacro dell’ebraismo è il sito del Sancta Sanctorum sul Monte del Tempio. Il New York Times ha dovuto ripetutamente rettificare articoli faziosi che si riferivamo al Monte del Tempio come un luogo santo dell’islam ignorando il fatto che è innanzitutto il luogo più sacro dell’ebraismo. Fino alla settimana scorsa, quando un articolo del New York Times ha ripetuto questo errore aggiungendo per di più che la zona del Muro Occidentale “è diventata” un luogo sacro per gli ebrei a partire dal 1967, come se non fosse tale da secoli.

È impossibile prevedere cosa emergerà dalla visita a Gerusalemme del presidente Trump. Di una cosa, però, si può star certi: non mancheranno i casi di cattivo giornalismo che per qualche motivo, quando si tratta di Gerusalemme, sono abituali quanto le preghiere davanti alle antiche pietre del Muro Occidentale.

(Da: Times of Israel, 21.5.17)