Gioco di finzioni

Il mondo chiede che Hamas finga di accettare Israele, come fece lOlp nel 1988.

Da un articolo di Saul Singer

image_1103A quanto pare il mondo intero, compresi Russia ed Egitto, chiede che Hamas riconosca il diritto di Israele ad esistere. In realtà quello che chiede è che Hamas finga di accettare Israele, come fece l’Olp nel 1988. Purtroppo, come si è visto, una finzione di riconoscimento può solo portare a una finzione di pace.
Ma Hamas, e forse è una fortuna, ha dato finora pochi segnali di voler abbandonare la sua famosa integrità. Come ha spiegato un suo leader, Mahmoud al-Zahar, a un giornale israeliano durante la campagna lo scorso ottobre, “alcuni israeliani pensano che quando parliamo di Cisgiordania e striscia di Gaza intendiamo rinunciare alla nostra guerra storica, ma non è così”. Parlando pochi giorni fa in Sudan, il leader di Hamas con base a Damasco Khaled Mashaal ha affermato: “Il nostro obiettivo è liberare Gerusalemme e purificare la moschea di al-Aqsa. Non temete, non riconosceremo Israele”. Ha poi aggiunto, facendo riferimento al proposito occidentale di tagliare i fondi: “Siamo una nazione pronta anche a morire di fame”.
Queste sono considerate le brutte notizie. La buona notizia, ci viene spiegato, sarebbe se Hamas cambiasse tono, come molti diplomatici si attendono, e “riconoscesse” Israele. Ma cosa significa realmente riconoscimento?
Non è impossibile che forti pressioni internazionali possano indurre Hamas a “riconoscere” Israele, nonostante le attuali spacconate dei suoi capi. Ma in realtà tutto ciò che la comunità internazionale chiede è ciò che chiese all’Olp: che riconosca la realtà di fatto di Israele – cosa piuttosto difficile da negare – più che accettare che Israele abbia un qualunque diritto di esistere.
Gli studiosi del processo di pace ricorderanno che in effetti l’Olp si impegnò a molto più che una mera presa d’atto della realtà Israele. Nella sua lettera a Yitzhak Rabin del 9 settembre 1993, Yasser Arafat affermava : “L’Olp riconosce il diritto dello Stato di Israele ad esistere in pace e sicurezza”. E proseguiva: “L’Olp considera [la firma di Oslo] un evento storico che inaugura una nuova epoca di coesistenza pacifica, senza violenze o atti che possano mettere a rischio la pace e la stabilità. Di conseguenza l’Olp rinuncia all’uso del terrorismo e ad altri atti di violenza, e si assume la responsabilità di garantire che tutti i soggetti e i membri dell’Olp vi si attengano, ad impedirne le violazioni e a perseguire i violatori”. Sarebbe difficile chiedere impegni migliori di questi. Perché non li hanno rispettati?
Le due teorie standard sono: Israele ha rovinato tutto ampliando gli insediamenti, oppure Arafat intendeva mantenere gli accordi solo fino a quando Israele avrebbe esaurito le sue concessioni e progettava di prendersi il resto con il terrorismo. Un semplice esercizio mentale conferma la seconda ipotesi: quand’anche Israele non avesse aggiunto una sola casa in un solo insediamento, è difficile credere che sarebbero andati diversamente il rifiuto di Arafat dello stato che gli venne offerto nel 2000 a Camp David, né il suo successivo lancio della guerra terroristica
Il problema principale non furono né gli insediamenti, molti dei quali Israele si era offerto di sgomberare, né ciò che Arafat aveva promesso, che praticamente non poteva essere di più. Il problema fu che né l’occidente né Israele si proposero seriamente di ottenere un’autentica trasformazione dell’ideologia palestinese.
A confronto, si noti l’enorme cambiamento occorso nel pensiero israeliano a partire dal 1993. Fino al giorno prima che venissero annunciati gli Accordi di Oslo, quasi tutti gli israeliani consideravano l’Olp un’organizzazione puramente terrorista e lo stato palestinese, a maggior ragione se guidato dall’Olp, un vero anatema. Invece, alle prossime elezioni, sebbene lo zoccolo duro del Likud sulla carta rimanga contrario a uno stato palestinese, i partiti alla sua destra non ci si aspetta che ottengano più di una decina di seggi. Israele nel suo complesso è giunto a considerare la creazione di uno stato palestinese come una cosa che risponde ai propri interessi.
Ci si aspettava che un’analoga trasformazione avesse luogo sul versante palestinese. L’Olp era stata votata alla totale distruzione di Israele almeno quanto lo è oggi Hamas. Oltre a rinunciare formalmente a quell’obiettivo, ci si aspettava che i palestinesi arrivassero ad accettare il diritto degli ebrei ad avere uno stato in terra d’Israele parallelo al loro diritto, ed anche nel loro interesse.
Non è così inverosimile come potrebbe sembrare. Ancora oggi i palestinesi sono meno poveri e, sotto molti aspetti, più liberi dei loro vicini siriani, egiziani e persino giordani. Il che è chiaramente dovuto a Israele, e la differenza fra la sorte dei palestinesi e quella del resto del mondo arabo sarebbe diventata ancora più acuta se i palestinesi avessero scelto di vivere in pace con Israele. Ma in pratica nessuno si prese nemmeno la briga di chiedere ai palestinesi di cambiare, mentre cambiavano gli israeliani. L’idea che i palestinesi accettino che gli ebrei avessero il diritto di creare uno stato in terra d’Israele, e che non sono dei ladri che se ne stanno su “terre rubate ai palestinesi”, non viene nemmeno presa in considerazione, figuriamoci considerarla realistica.
In effetti, perché mai dovremmo perseguire un obiettivo così utopistico? Egiziani e giordani sono ancora convinti che Israele non abbia un vero diritto di esistere, eppure sembrano essersi rassegnati ad accettare Israele. Questo approccio pragmatico non potrebbe essere il nostro obiettivo anche con i palestinesi? Sì, ma solo provvisoriamente, e solo se non ci facciamo illusioni chiamando “pace” questo risultato. Bisogna riconoscere che il rifiuto di accettare Israele non è che un caso particolarmente virulento del rifiuto generale islamista di considerare legittima qualunque sovranità non-islamica, da qualunque parte, compreso il mondo arabo. La vera opposizione a Israele è islamista, non nazionalista. I veri nazionalisti possono accettare due stati. Gli islamisti no.
L’obiettivo ultimo non può essere semplicemente che Hamas, o i palestinesi in generale, diano voce al riconoscimento che Israele esiste, bensì che abbandonino l’idea che ogni sovranità non-islamica sia illegittima. Può darsi che sia un obiettivo di lungo termine, ma non ci si arriverà mai se non si incomincia. I leader occidentali dovrebbero affermare chiaramente che alla radice del conflitto arabo-israeliano, come alla radice della guerra islamista contro l’occidente, c’è il rifiuto che un qualunque non-musulmano possa gestire il potere. La guerra non è contro il terrorismo, ma contro l’ideologia che produce il terrorismo.
Costringere Hamas a fingere di accettare Israele può essere un primo passo necessario. Ma più necessario è rendersi conto che, mentre coloro che rifiutano la sovranità “cristiana” su America ed Europa vengono considerati pazzi estremisti, quelli che professano un’analoga opinione su Israele continuano a far parte del consenso generale in tutto il mondo arabo, sia tra i “nazionalisti” che tra gli islamisti.

(Da: Jerusalem Post, 16.02.06)

Nella foto in alto: il primo ministro incaricato palestinese Ismail Haniya (Hamas)