Giordania a rischio sopravvivenza?

Il primo ministro ha rivelato che a settembre Amman voterà contro la dichiarazione d’indipendenza palestinese.

Di Alexander Bligh

image_3189La Giordania è rimasta relativamente tranquilla da quando l’ondata di disordini popolari ha investito molti paesi arabi e del Nord Africa. Tuttavia, due recenti sviluppi indicano che forse il regno al confine orientale d’Israele è tutt’altro che tranquillo.
Lo scorso 9 luglio re Abdullah ha disposto un rimpasto del governo nemmeno cinque mesi dopo il suo insediamento: chiaramente una risposta alle dimostrazioni di protesta contro quella che viene denunciata come la corruzione del governo. Pochi giorni prima, il quotidiano del Dubai Al-Bayan faceva trapelare un rapporto secondo cui il primo ministro giordano avrebbe rivelato che il suo paese a settembre voterà contro l’indipendenza palestinese all’Assemblea generale dell’Onu, rompendo l’unanimismo del fronte arabo.
Come c’era da aspettarsi, la Giordania si trova a fronteggiare due grandi sfide. Da una parte vi sono le crescenti pressioni interne, soprattutto dal sud beduino che da più di novant’anni è la spina dorsale del regime. Finora Abdullah ha seguito le orme del padre, re Hussein, dimostrando non minore abilità nel tenersi in equilibrio fra tutti i soggetti interni. Dall’altra, la Giordania si avvicina a un bivio circa il suo atteggiamento verso i palestinesi. Nel mio libro “The Political Legacy of King Hussein” (L’eredità politica di re Hussein, 2004) ho analizzato i vantaggi che Hussein poteva aver incontrato nel perdere la Cisgiordania a vantaggio di Israele (con la guerra dei sei giorni del 1967). Innzitutto, Israele si è dovuto fare carico di risolvere la questione palestinese, e poi i palestinesi non sono più stati in condizione di reclamare la Giordania come uno “Stato palestinese”.
Negli ultimi tempi Israele sembra aver abbandonato la sua tradizionale posizione contraria alla nascita di uno Stato palestinese fra sé e la Giordania. Agli occhi dei giordani, questo si traduce in una posizione che può mettere in pericolo l’esistenza stessa del regno hascemita e del Trattato di pace israelo-giordano del 1994, nonché un abbandono de facto della tradizionale amicizia fra i due paesi sopravvissuta a tante crisi sin dagli anni ’60.
La Giordania ha cercato, generalmente con successo, di lasciar condurre a Israele la battaglia contro la creazione di uno Stato palestinese. Ma oggi Israele è visto come troppo debole per poter fermare il processo verso l’indipendenza palestinese. La creazione di tale Stato metterebbe a repentaglio l’esistenza stessa della Giordania: l’Olp è formalmente e idealmente votata ad assumere il controllo di tutta la ex Palestina mandataria, vale a dire: Giordania, Israele e territori (di Cisgiordania e striscia di Gaza). Considerando che Israele si terrà in ogni caso le sue terre all’interno delle linee pre-’67, il successivo bersaglio di un piccolo Stato palestinese, economicamente debole e politicamente irredentista, sarebbe la Giordania: un paese che è già stato campo di battaglia dell’Olp nel 1970-71.
Se questa è effettivamente la lettura attuale della Giordania, ne segue che Stati Uniti e Israele vengono visti come soggetti deboli su cui non si può fare affidamento per sostenere il regno. Non basta. Se la Giordania deve dare battaglia – diplomatica, in questo caso – essa dispone di un argomento assai forte: dichiarare uno Stato palestinese con Gerusalemme come capitale costituisce una flagrante violazione del Trattato israelo-giordano internazionalmente ratificato. Recita infatti quel documento (art. 9): “Quando avranno luogo i negoziati per lo status permanente, Israele darà priorità al ruolo storico della Giordania nei santuari [musulmani a Gerusalemme]”. Una dichiarazione d’indipendenza palestinese unilaterale (cioè, senza accordo sullo status permanente), a maggior ragione se proclama Gerusalemme come facente parte di quello Stato, non potrebbe essere approvata da nessun paese – almeno agli occhi dei giordani – dal momento che essa contraddice un elemento fondamentale dell’accordo di pace e lede direttamente gli interessi nella Città Santa della famiglia Hascemita, che si considera discendente dal Profeta Maometto.
Tirando le somme, un alleato forte e stabile degli Stati Uniti e dell’occidente, guidato da un coraggioso governante, verrebbe direttamente minacciato da uno Stato palestinese e a quanto pare si trova sul punto di doversi battere apertamente per la propria stessa sopravvivenza.

(Da: Jerusalem Post, 10.7.11)

Nella foto in alto: Alexander Bligh, autore di questo articolo

Il testo del Trattato di pace israelo-giordano del 26.10.1994 (in inglese):

http://www.mfa.gov.il/MFA/Peace%20Process/Guide%20to%20the%20Peace%20Process/Israel-Jordan%20Peace%20Treaty

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