Giordania e Arabia Saudita verso la riconciliazione del secolo?

Grazie anche al piano Trump, i due storici rivali potrebbero trovare un’intesa a Gerusalemme contro il loro nemico comune: la Turchia

Di Nadav Shragai

Nadav Shragai, autore di questo articolo

In una prospettiva storica, l’ipotizzato riavvicinamento tra Giordania e Arabia Saudita, se mai si concretizzerà, costituisce praticamente un miracolo. Il loro comune “avversario” , la Turchia, è il motore di questo sorprendente sviluppo. Incrementando le sue proprietà immobiliari e con esse la sua influenza sul Monte del Tempio e nella Città Vecchia di Gerusalemme, la Turchia minaccia di sottrarre ai giordani il loro ruolo di custodi dei luoghi santi musulmani.

E’ da cento anni che giordani e sauditi si combattono per il controllo dei luoghi santi musulmani. Hussein Ibn Ali, della famiglia Hashemita, che fu sharif ed emiro della Mecca dal 1908 al 1917, si diceva discendente diretto dal profeta Maometto per 37esima generazione. La dinastia Hashemita, che ora controlla la Giordania, governò fino al 1924 l’Arabia Saudita da dove venne cacciata dalla casata dei Saud. Sicché, sulla scia della prima guerra mondiale, gli Hashemiti persero la custodia della Mecca e di Medina, cosa che non hanno mai perdonato ai sauditi.

La Giordania, ufficialmente fondata nel 1946, solo tra il 1948 e il 1967 ha avuto il controllo su Gerusalemme est e la Città Vecchia. Dopo averne perso il controllo (nella disastrosa campagna contro Israele del 1967 ndr), la Giordania si è consolata con il ruolo di custode del complesso della moschea al-Aqsa sul Monte del Tempio, considerato il terzo luogo sacro dell’islam dopo La Mecca e Medina.

Hussein Ibn Ali, della famiglia Hashemita, sharif ed emiro della Mecca dal 1908 al 1917

Per anni i sauditi hanno continuato a smaniare per il Monte del Tempio, ma i giordani sono sempre riusciti a tenerli a bada. Il caso più recente si è avuto in relazione all'”accordo del secolo” proposto dell’amministrazione Trump. Il re giordano Abdullah ha minacciato gli Stati Uniti di sospendere il trattato di pace con Israele se gli americani dovessero rimpiazzare i giordani con i sauditi come custodi del Monte del Tempio. Abdullah aveva respinto anche l’eventualità di una tutela congiunta con i sauditi. Nell’ambito della sua battaglia contro l’”accordo del secolo”, il Regno giordano ha persino permesso al Waqf (l’ente che gestisce il patrimonio islamico ndr) di accogliere come membro lo sceicco Akram Sabri, un religioso di alto livello strettamente legato al presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

L’attuale voltafaccia della Giordania (vedi riquadro sotto ndr) deriva presumibilmente dall’essersi resa conto tardivamente di quanto sta crescendo il potere di Erdogan a Gerusalemme est, comprese la Città Vecchia e il Monte del Tempio. La Giordania, timorosa di perdere il proprio potere sia verso l’Arabia Saudita che la Turchia, sta valutando di cedere alla pressione americana e cooperare con lo storico rivale, l’Arabia Saudita, e le sue vaste disponibilità finanziarie, contro il nuovo e apparentemente più pericoloso avversario, la Turchia.

Dieci anni dopo l’incidente della nave filo-Hamas Mavi Marmara, la Turchia è diventata un attore centrale nella lotta per Gerusalemme est, dove finanzia lavori di costruzione e ristrutturazione e diverse attività civili. Non sono attività terroristiche, ma mirano a rafforzare i legami tra gli abitanti di Gerusalemme est e gli agenti dei Fratelli Musulmani attivi nella città.

Forse Stati Uniti, Israele e Giordania sperano che l’Arabia Saudita, con la sua immensa ricchezza, competa con i numerosi investimenti turchi. I sauditi potrebbero acquistare direttamente una “testa di ponte” a Gerusalemme o permettere alla Giordania di riabilitare il suo indebolito status nella città a fronte alla crescente influenza turca. Un tale sviluppo, qualora effettivamente Giordania, Arabia Saudita e Israele forgiassero un asse comune sul Monte del Tempio, rappresenterebbe un ulteriore passo verso la pace come l’avevano immaginata re Hussein e Yitzhak Rabin 25 anni fa: un’amministrazione multi-confessionale (ancora informale, in questa fase) per il Monte del Tempio, luogo santo sia per i musulmani che per gli ebrei.

(Da: Israel HaYom, 1.6.20) 

Daniel Siryoti

Scrive Daniel Siryoti: Israele e Arabia Saudita sarebbero impegnati in colloqui segreti sin dallo scorso dicembre, attraverso la mediazione americana, sull’ipotesi di includere rappresentanti sauditi nel Consiglio islamico Waqf del Monte del Tempio di Gerusalemme. Lo sviluppo avrebbe luogo sullo sfondo dell’ipotesi di accordo prospettato dal piano del presidente Usa Donald Trump e del progetto di allargare la sovranità israeliana alla Valle del Giordano e ai grandi blocchi di insediamenti in Giudea e Samaria. Alti diplomatici sauditi a conoscenza dei particolari hanno confermato a Israel HaYom che si tratta di “colloqui delicati e segreti, condotti da piccole squadre di diplomatici e funzionari della sicurezza di Israele, Stati Uniti e Arabia Saudita, come parte dell’iniziativa ‘prosperità per la pace in Medio Oriente’ dell’amministrazione Trump”.

Secondo un alto diplomatico saudita, fino a pochi mesi fa i giordani – che detengono uno status speciale ed esclusivo nella gestione del Waqf – si opponevano categoricamente a qualsiasi cambiamento nel Consiglio dell’ente. Da allora, tuttavia, Amman ha cambiato posizione a seguito delle intense interferenze turche a Gerusalemme est e in particolare sul Monte del Tempio.

La Cupola della Roccia, di fonte alla moschea al-Aqsa sulla spianata del Monte del Tempio a Gerusalemme

Dopo i violenti incidenti alla Porta della Misericordia del complesso della moschea al-Aqsa e i disordini seguiti alla decisione della polizia israeliana di posizionare dei metal detector all’ingresso del luogo santo, i giordani decisero, in violazione degli Accordi di Oslo, di includere rappresentanti palestinesi nel Consiglio del Waqf. I rappresentanti palestinesi entrati nel Waqf hanno poi aperto le porte al governo turco che ha potuto stabilire una presenza sul luogo santo finanziando progetti per decine di milioni di dollari, trasferiti a organizzazioni no profit turco-islamiste. I finanziamenti sono stati approvati dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Per tutta risposta i giordani hanno detto a Israele e Stati Uniti che il Regno Hascemita era disposto ad ammorbidire la sua posizione sull’incorporamento di rappresentanti sauditi nel Waqf alle seguenti condizioni: che la Giordania mantenga il suo status esclusivo sul Monte, che l’Arabia Saudita trasferisca milioni di dollari in donazioni a ong islamiche che operano a Gerusalemme est e che l’Arabia Saudita eserciti pressioni diplomatiche per espellere le organizzazioni turco-islamiste che operano sotto gli auspici palestinesi.

Un alto diplomatico arabo ha detto a Israel HaYom: “Se i giordani consentissero ai turchi di operare senza ostacoli nel complesso della moschea di al-Aqsa, nel giro di pochi anni il loro status speciale nel Waqf e nei luoghi santi musulmani finirebbe relegato esclusivamente ‘sulla carta’. Hanno bisogno dei soldi e dell’influenza dei sauditi per bloccare Erdogan. Anche Israele e Stati Uniti sono interessati all’operazione perché desiderano il sostegno saudita al piano di pace degli Stati Uniti e all’iniziativa di annessione israeliana, e l’Arabia Saudita a sua volta potrebbe garantire il sostegno del Bahrein e degli Emirati Arabi Uniti”. Il diplomatico arabo ha comunque aggiunto che “è ancora troppo presto per dire se questa iniziativa sarà effettivamente realizzata. L’idea è che i rappresentanti sauditi funzionino rigorosamente come osservatori, in modo da non sminuire lo status esclusivo dei giordani”.
(Da: Israel HaYom, 1.6.20)