Giorno della Shoà e Giorno dei Caduti: il prima e il dopo dell’indipendenza ebraica

Il messaggio è semplice e forte: senza quei soldati che hanno combattuto, e che continuano a combattere anche oggi, non avremmo né libertà né indipendenza

Editoriale del Jerusalem Post

Il cimitero militare e il Memoriale nazionale dei caduti sul Monte Herzl a Gerusalemme

Sarà un Israele molto diverso dal solito quello che rimarrà sull’attenti, al suono delle sirene alle undici di martedì mattina, per un minuto di raccoglimento nella Giornata dedicata alla Memoria dei caduti in guerra e per terrorismo. E’ una tradizione sbalorditiva, tipicamente israeliana. Appena prima delle sirene le auto sfrecciano e la gente cammina e parla nelle strade affollate. Mentre suonano le sirene, tutto si ferma in un’improvvisa calma quasi inquietante. Appena cessate le sirene, il trambusto riprende come prima.

Quest’anno, poiché il coronavirus ha ridotto significativamente l’attività sulle strade, il cambiamento non sarà così marcato come negli anni passati. Le strade sono già molto più silenziose del solito. Tuttavia, il debito che il paese sente di avere nei confronti di coloro cui rende omaggio in questo giorno rimane più forte che mai. Indipendentemente dal numero di auto che si fermeranno tutt’a tratto su strade e autostrade, indipendentemente dal fatto che a causa del virus decine di migliaia di persone non potranno recarsi in visita sulle tombe dei loro cari, i caduti saranno ricordati nei cuori e nelle case di milioni di israeliani che possono vivere, crescere e prosperare nel primo stato ebraico indipendente dopo duemila anni grazie al sacrificio di coloro che per difendere quella indipendenza hanno combattuto e sono morti.

Ventitremila ottocento sedici è il numero di persone che sono cadute in Israele dal 1860, la data-simbolo dell’inizio dell’impresa ebraica per rifondare Sion, l’anno in cui per la prima volta degli ebrei si stabilirono fuori dalle protettive mura dell’antichissimo quartiere ebraico della Città Vecchia di Gerusalemme. Aharon Hershler, uno studente di yeshiva di 23 anni trasferitosi da bambino con la sua famiglia dall’Ungheria a Gerusalemme, venne ucciso da arabi fuori le mura della Città Vecchia nel 1873. È la prima vittima, che dà inizio al doloroso elenco del Ministero della difesa israeliano, un elenco che purtroppo anche lo scorso anno si allungato con altri 42 nomi.

Viglia di Yom HaZikaron, Giornata dei Caduti, in un cimitero militare israeliano

Il comitato incaricato nel 1951 dal governo israeliano di indicare un giorno per commemorare i soldati caduti prese la saggia decisione di fissarlo una settimana dopo il giorno israeliano della Memoria della Shoà, e immediatamente prima della Giornata dell’Indipendenza. Fu una scelta saggia, anche se questo significava sottoporre ogni anno il paese a una sequenza di sferzate emotive con il passaggio repentino dalla gioia della Pasqua ebraica al dolore del giorno della Shoà, al dolore ulteriore del giorno dei caduti e poi di nuovo, in un attimo, all’esplosione di festa e di gioia per la giornata dell’Indipendenza.

Ma celebrare il giorno dei Caduti fra quello della Shoà e quello dell’Indipendenza garantisce una cruciale visione del contesto storico. Il totale di 23.816 caduti (cui vanno aggiunte 3.153 vittime del terrorismo) è un numero quasi insopportabile. Ognuna di quelle persone è un mondo che si è spento, un’intera vita perduta di speranze, promesse e gioie rimaste inespresse. È un numero enorme, un numero deprimente. Un numero, tuttavia, che impallidisce di fronte alla Shoà. Spieghiamoci meglio. Nei giorni orribili tra agosto e ottobre 1942, al culmine del demoniaco piano di sterminio dell’intero ebraismo polacco chiamato Operazione Reinhard, ogni giorno venivano uccisi circa 15.000 ebrei. In altre parole, i nazisti impiegavano meno di due giorni per uccidere il numero di ebrei che hanno combattuto e sono morti per la difesa Israele negli ultimi 160 anni. Questo diminuisce il lutto e il dolore? Neanche per idea. La perdita è spaventosa, e per ogni famiglia colpita è insopportabile. Ma il contesto è importante. Come per il suono delle sirene, anche queste cifre costituiscono un drammatico prima e dopo su cui riflettere: prima dell’indipendenza ebraica e dopo l’indipendenza ebraica.

Se celebrare il giorno dei caduti così vicino al giorno delle vittime della Shoà ha un denso significato storico, allo stesso modo vi è un profondo significato nel celebrarlo subito prima della giornata dell’Indipendenza. Il messaggio è semplice, ma è importante che sia scolpito nella coscienza della nazione: senza quei soldati che hanno combattuto – e senza i soldati che continuano a combattere oggi – semplicemente non avremmo libertà e indipendenza. Punto.

(Da: Jerusalem Post, 26.4.20)