Gli israeliani ricordano, per questo non ci credono

Tutti i tentativi di negoziare un accordo e di stabilire frontiere sicure sono stati clamorosamente frustrati: per questo oggi i sostenitori della scommessa "terra in cambio di pace" si ritrovano relegati ai margini della politica israeliana

Di David Horovitz

David Horovitz, autore di questo articolo

Gli israeliani, nel loro complesso, non credono che sia possibile fare la pace con i palestinesi, o anche solo separarsi da loro in sicurezza, almeno per il futuro prevedibile.

Gli israeliani ricordano bene la seconda intifada, quando il ritiro delle loro Forze di Difesa dalle principali città palestinesi della Cisgiordania in applicazione degli Accordi di Oslo aprì la strada a una crescita incontrollata dell’infrastruttura terroristica di Hamas e Fatah, che fu in grado di scatenare una spaventosa aggressione fatta di anni di attentati suicidi nei centri commerciali, nei negozi, sugli autobus, rendendo la nostra vita quotidiana quasi insostenibile, con la perdita di centinaia e centinaia di vite di civili israeliani innocenti.

Gli israeliani continuano a fare i conti con le violente conseguenze del loro ritiro unilaterale del 2005 dalla striscia di Gaza sulle linee pre-1967, che fu seguito dalla sanguinosa presa del potere da parte di Hamas, da tre conflitti maggiori e da un’infinita sequenza di lanci di razzi a intermittenza e di violenze ai confini, il tutto accompagnato da una colonna sonora di critiche e condanne internazionali contro Israele, colpevole del crimine di cercare di difendersi dagli attacchi provenienti da un territorio sul quale non abbiamo nessuna rivendicazione.

Gli israeliani ricordano che quando il primo ministro Ehud Olmert nel 2008 cercò disperatamente un compromesso di pace con il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen dando sostanzialmente ai palestinesi tutto ciò che ufficialmente dicevano di volere, Abu Mazen tergiversò, fece il difficile e alla fine se ne andò via senza nemmeno degnarsi di fare una controproposta.

“Gli israeliani ricordano”. Attentato contro un autobus durante la “seconda intifada”

Da allora Abu Mazen, il capo palestinese relativamente moderato rispetto al suo predecessore e ai suoi probabili successori, è rimasto alla guida di una nomenklatura palestinese che inculca e indottrina odio verso Israele, e lui stesso ha tenuto una serie di discorsi che irridono la legittimità di Israele, etichettando pubblicamente lo stato ebraico come “un progetto coloniale che non ha nulla a che fare con l’ebraismo”.

Tutti i nostri tentativi degli anni scorsi, sia di negoziare un accordo sia di stabilire unilateralmente frontiere sicure, sono stati clamorosamente frustrati. Per questo oggi i tradizionali sostenitori della scommessa “terra in cambio di pace” si ritrovano relegati ai margini della politica israeliana. In vista delle prossime elezioni del 2 marzo, i laburisti (che hanno ormai interiorizzato l’impossibilità di fare progressi sostanziali con i palestinesi nelle attuali condizioni, ma si sforzano di tenere aperta l’opzione futura di una soluzione a due stati) e il Meretz (l’unico partito sionista che ancora insiste a sostenere che un accordo è possibile in queste condizioni) si sono trovati costretti a unire le forze per non rischiare di scomparire dalla Knesset sotto la soglia elettorale del 3,5%.

L’unica alternativa credibile a un governo guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu è un partito (Blu-Bianco) guidato da un ex capo di stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane (Benny Gantz) che essenzialmente si oppone al primo ministro non per le sue posizioni circa i palestinesi, ma per la sua ostinazione a restare in carica nonostante debba essere processato per tre presunti casi di corruzione e abuso d’ufficio. Il fatto che Israele sta per eleggere il terzo parlamento in meno di dodici mesi evidenzia la spaccatura che divide i cittadini sull’opportunità che l’inesauribile Netanyahu rimanga primo ministro. Ma l’egemonia del centro e della destra in politica estera e di difesa conferma che la stragrande maggioranza degli israeliani è persuasa che, oggi e nel futuro prevedibile, abbandonare territori in cambio di semplici promesse è una strada senza alcuna possibilità di successo, e sicuramente una strada che non porta verso la pace.

(Da: Times of Israel, 2.2.20)

In giallo/ocra, lo stato palestinese che esisterebbe già oggi se nel 2008 i palestinesi avessero accettato la proposta di Olmert (clicca per ingrandire)