Gli Stati Uniti di Biden sapranno cambiare il Consiglio Onu per i diritti umani?
Un paio di riforme si impongono come assolutamente urgenti se si vuole dare credibilità all'organismo Onu e porre fine alle sue smaccate discriminazioni
Di Itzhak Levanon
Una delle prime decisioni della nuova amministrazione del presidente americano Joe Biden è stata quella di rientrare, a Ginevra, nel Consiglio Onu per i diritti umani. L’ex presidente Donald Trump aveva lasciato l’organizzazione affermando che era estremamente prevenuta nei confronti di Israele.
Personalmente ritengo che la decisione di tornare nel Consiglio sia giusta e faccia ben sperare. Vale la pena cercare di trasformare un’organizzazione problematica dal suo interno anziché lasciare che i nostri nemici facciano tutto quello che vogliono. In diverse occasioni Israele ha affermato che il Consiglio Onu per i diritti umani è così fazioso e disonesto che non abbiamo alcun bisogno di starci dentro. In pratica è vero. Ma come non si diserta un avamposto militare anche se considerato di importanza secondaria, così non si esce da un’organizzazione internazionale che ti dà addosso.
Il Consiglio Onu per i diritti umani (United Nations Human Rights Council, UNHRC) venne creato poco più di un decennio fa sulle rovine della Commissione Onu per i diritti umani (United Nations Commission on Human Rights, UNCHR). Nel corso di un intero anno di dibattiti, a cui presi parte, si discusse il meccanismo migliore per il nuovo organismo. Riponevamo molte speranze nella creazione di un’organizzazione corretta e giusta. In effetti, il nuovo Consiglio è risultato più efficiente della precedente Commissione. Tutti i paesi, senza eccezioni, avrebbero dovuto sottoporsi allo scrutinio del Consiglio durante due giorni di dibattito sullo stato dei diritti umani nei rispettivi paesi e sarebbero stati chiamati ad attuarne le raccomandazioni. Purtroppo, il nuovo Consiglio ha ereditato anche degli elementi negativi. Uno di questi è il preconcetto della Commissione, l’articolo speciale contro Israele: non riuscimmo a porre fine a questa evidente discriminazione, per la mia massima frustrazione.
Annunciando il suo rientro nel Consiglio Onu per i diritti umani, Washington ha espresso l’intenzione di avviare cambiamenti nel funzionamento dell’ente: proposito lodevole che deve essere incoraggiato. Solo una superpotenza come gli Stati Uniti può guidare un processo di riforma così profondo.
Ecco due misure che, se adottate, permetteranno sia agli Stati Uniti che a Israele di convivere serenamente con il Consiglio per i diritti umani. La prima è annullare quell’articolo 7 che prende di mira solo Israele (imponendo al Consiglio di discutere comunque, in ogni sessione, le vere o presunte violazioni dei diritti umani da parte di Israele e solo di Israele ndr). Solo allora Israele sarà uguale a tutti gli altri membri del Consiglio e come tutti gli altri dovrà sottoporsi in modo equo allo scrutinio del Consiglio.
La seconda misura è cambiare il processo di elezione dei membri chiamati a far parte del Consiglio per tre anni. Oggi queste elezioni si svolgono su base regionale. Invece, i paesi dovrebbero essere eletti in base ai loro meriti, alle loro prestazioni in materia di diritti umani. In questo modo si metterebbe fine alla farsa per cui regimi criminali come Siria, Iran, Cuba e simili siedono impunemente e senza vergogna sul palco del Consiglio per i diritti umani.
Conoscendo le angoscianti violazioni dei diritti umani in diversi paesi, le guerre civili, i colpi di stato, le persecuzioni di stampa oppositori e ong, queste riforme all’interno del Consiglio Onu per i diritti umani si impongono come un obiettivo di urgenza assoluta.
(Da: Jerusalem Post, 22.2.21)