Gli Stati Uniti l’avevano promesso, Israele l’ha fatto

Due attacchi a impianti siriani per la produzione di armi chimiche attribuiti a Israele sono una mossa di autodifesa vitale, ma anche un chiaro messaggio che va al di là della Siria

Di Yoav Limor

Yoav Limor, autore di questo articolo

Gli attacchi attribuiti a Israele contro strutture segrete dove il regime siriano intendeva rilanciare la sua produzione di armi chimiche avevano tre obiettivi. Il primo era quello di impedire alla Siria di mettere le mani su armi non convenzionali, anche se erano solo nelle fasi iniziali di sviluppo. Il secondo era mettere in chiaro al presidente siriano Bashar Assad che Israele non avrebbe permesso alla Siria di tornare a minacciarlo con armi di distruzione di massa. Il terzo, fare arrivare ad altri paesi, in primis all’Iran, il messaggio che Israele è pronto a intraprendere analoghe operazioni contro chiunque sviluppi armi che minaccino la sua esistenza.

Lunedì scorso il Washington Post ha rivelato che due attacchi aerei attribuiti a Israele hanno preso di mira siti in cui la Siria stava sviluppando armi chimiche. Il primo attacco ha avuto luogo il 5 marzo 2020 e ha preso di mira un edificio fuori Homs quando si era scoperto che la Siria aveva acquisito una grande quantità di fosfato tricalcico, che può essere utilizzato per produrre agenti nervini. Il secondo attacco è avvenuto l’8 giugno di quest’anno e ha preso di mira un bunker nella città di An Nasriyah, a nord di Damasco, e altri due siti vicino a Homs. In questi attacchi sarebbero rimasti uccisi sette militari siriani, tra cui un generale di nome Ayham Ismail, un alto funzionario del CERS, il Centre D’Etudes et de Recherches Scientifiques che sviluppa le armi chimiche del paese.

2017: vittime siriane di attacchi chimici da parte del regime di Assad

La Siria disponeva di un enorme arsenale di armi chimiche, per lo più agenti nervini letali. Il regime di Assad ha usato armi chimiche contro la sua opposizione interna in decine di casi, ma è stato costretto a cambiare rotta quando più di 1.400 cittadini siriani vennero uccisi in un attacco a Damasco nell’agosto 2013. Dopo che gli Stati Uniti minacciarono di attaccare la Siria in risposta a quel massacro, Assad accettò di rinunciare al suo arsenale di armi chimiche, e americani e russi raggiunsero un accordo in base al quale oltre 1.300 tonnellate di armi chimiche vennero rimosse dalla Siria e distrutte.

Ma Assad, nonostante la promessa di non farlo, ha continuato a usare altri tipi di armi chimiche contro i suoi avversari, principalmente gas cloro. Israele aveva avvertito che il fatto che il mondo gli permetteva di farlo avrebbe alla fine portato il regime siriano a riprendere la produzione di armi chimiche più sofisticate, come è puntualmente accaduto. A quanto pare, diversamente dal passato Israele ha deciso di non aspettare che la Siria acquisisse grandi scorte di armi chimiche, e di eliminarle invece nelle prime fasi. Ma il fatto che la Siria abbia continuato i suoi sforzi per sviluppare queste armi anche dopo che è stata attaccata una prima volta dimostra che Assad, a dispetto del volto presentabile che cerca di mostrare al mondo, continua a perseguire mezzi di distruzione di massa.

Agosto 2013: esperti Onu con i campioni provenienti dal sito di un attacco con armi chimiche nel quartiere Ain Tarma di Damasco

Il reportage del Washington Post non chiarisce quale sia stata la reazione degli Stati Uniti agli attacchi e, cosa più rilevante, perché non sono stati gli Stati Uniti ad attaccare visto che avevano esplicitamente promesso che non avrebbero permesso alla Siria di dotarsi di armi chimiche di alcun tipo. Può darsi che Israele li abbia semplicemente battuti sul tempo effettuando i suoi attacchi nel quadro delle operazioni che, a quanto risulta, svolge regolarmente in Siria (sebbene in questo caso gli obiettivi non fossero iraniani o gregari iraniani, ma specificamente siriani). È anche possibile che gli americani si siano semplicemente rifiutati di fare ricorso alla forza militare: sia l’amministrazione Trump, che era in carica al momento del primo attacco, sia l’amministrazione Biden che era in carica durante il secondo.

Come che sia, astenendosi dall’attaccare le strutture del regime siriano volte alla produzione di armi chimiche, gli americani hanno perso ancora una volta l’opportunità di mandare un chiaro messaggio al Medio Oriente e al mondo intero. Israele, dal canto suo, ha invece tenuto fede (ancora una volta) ai suoi principi e ha persino ampliato la cosiddetta Dottrina Begin, che consiste nel non permettere che nessun paese della regione si doti di capacità militari chimiche o nucleari.

A quanto pare, è proprio questo che c’era dietro al reportage pubblicato lunedì. Le informazioni apparse sul Washington Post non sono state attribuite a funzionari israeliani, ma le modalità e i tempi della pubblicazione suggeriscono che qualcuno voleva far sapere adesso di quegli attacchi, mentre sono in corso i negoziati sul nucleare iraniano, per assicurarsi che la notizia riecheggiasse al di là della Siria, soprattutto in Libano (dove è installato Hezbollah) e a Teheran.

(Da: Israel HaYom, 14.12.21)