Gli Usa hanno ucciso il generale più ottuso, sopravvalutato (e rovinoso) del Medio Oriente

Ma quale grande stratega: Soleimani smontato da Friedman sul New York Times

Da un articolo di Thomas L. Friedman

Thomas Friedman, editorialista e mediorientalista del New York Times

“Un giorno potrebbe esserci una via di Teheran intitolata a Donald Trump”. Questo l’incipit del commento di Thomas Friedman sull’eliminazione di Qasem Soleimani. Nel pezzo sul New York Times dell’editorialista liberal e anti-trumpiano non c’è ombra di critica. Anzi, alla seconda riga si legge che “Trump ha ordinato l’assassinio dell’uomo più ottuso dell’Iran e del più sopravvalutato stratega del Medio Oriente”. Ma come, il generale ucciso da un drone nella notte tra giovedì e venerdì non era un genio militare? Per niente, assicura Friedman. E spiega perché.

1) Ha sprecato un’opportunità storica. Nel 2015, dopo la firma del trattato sul nucleare, l’Iran si era liberato delle pesanti sanzioni che subiva dal 1979. L’anno dopo, la sua economia era cresciuta del 12%. E che ha fatto Soleimani, con l’avallo della Guida Suprema Ali Khamenei? Ha lanciato (proprio come paventava Israele ndr) “un aggressivo progetto imperiale regionale” che ha dato all’Iran e ai suoi alleati il controllo del potere in Libano, Siria, Iraq e Yemen, ma ha suscitato la reazione dei regimi sunniti e di Israele, e ha fornito a Trump la giustificazione per smontare il trattato voluto da Barack Obama. E nonostante il ritorno delle sanzioni avesse fatto decrescere l’Iran del 10% e la disoccupazione fosse arrivata al 16%, il regime ha destinato altre risorse ai piani guerrafondai di Soleimani, scatenando una maxi rivolta con l’aumento del prezzo della benzina.

Gennaio 2020: manifestanti iracheni festeggiano l’uccisione di Qassem Soleimani

2) Ha sottovalutato Israele. La scelta di salvare Assad e aiutarlo a massacrare mezzo milione di persone mirava a fare della Siria una base in cui piazzare missili ad alta precisione puntati su Tel Aviv. Ma il “genio” ha scoperto che combattere Israele — con la sua straordinaria combinazione di forza aerea, unità d’élite, intelligence e cyber-difesa — è tutt’altra storia che combattere le milizie sunnite siriane. Israele ha reagito con forza martellando le postazioni filo-iraniane, e i suoi servizi segreti hanno un tale livello di penetrazione nella mitica Forza Quds di Soleimani che “se un loro aereo carico di munizioni atterrava in Siria alle 5 di sera, alle 5 e mezza era già distrutto”.

3) Ha contribuito a far nascere l’Isis. È vero che Soleimani ha combattuto lo Stato Islamico in una tacita alleanza con gli Usa. Ma è anche vero che l’Isis è stato una reazione alle scelte del premier iracheno sciita Nuri Kamal al-Maliki, spinto dal generale di Teheran a cacciare i sunniti da governo ed esercito, a smettere di pagare gli stipendi ai soldati sunniti, a uccidere e arrestare un gran numero di pacifici manifestanti sunniti e in generale a trasformare l’Iraq in uno stato settario dominato dagli sciiti. L’Isis fu la controreazione.

27 novembre 2019: manifestanti sciiti issano la bandiera irachena davanti al consolato iraniano in fiamme a Najaf, città santa sciita dell’Iraq meridionale

4) Ha fatto odiare l’Iran in tutto il Medi Oriente. L’ambizione di diventare la potenza dominante tra Golfo Persico e Mediterraneo ha portato Teheran a formare «stati negli stati» in tutta la regione. Ma è stata proprio la presenza soffocante degli scagnozzi di Solimani in Libano, in Siria, in Iraq, nello Yemen, a Gaza a impedire a questi paesi di concentrarsi su sviluppo e lotta alla corruzione. E così Solimani e i suoi scagnozzi sono stati sempre più visti e odiati come potenze imperiali, persino più dell’America di Trump. E l’Iran è detestato dai movimenti democratici della regione che riuniscono giovani sia sciiti che sunniti. Sono stati proprio degli sciiti iracheni a bruciare, il 27 novembre, il consolato iraniano a Najaf e issare una bandiera irachena al posto di quella iraniana. Mentre la violenta protesta della scorsa settimana contro ambasciata Usa a Baghdad era solo una messinscena di Soleimani. I manifestanti erano miliziani filo-iraniani pagati. Nessuno a Baghdad si è bevuto la sceneggiata.

5) Si è tirato addosso l’ira degli Usa. Colpendo a ripetizione obiettivi americani, Solimani voleva provocare una reazione eccessiva degli Stati Uniti che causasse la morte di molti iracheni e una conseguente ondata di indignazione contro Washington. Trump non ha abboccato, e ha colpito direttamente lui.

25 ottobre 2019: manifestanti antigovernativi libanesi (a sinistra) aggrediti da squadristi Hezbollah nel centro di Beirut

6) Ha soffocato un paese fantastico. “Non so se eliminare Soleimani sia stata una scelta saggia, ma so che in Medio Oriente il contrario di male non sempre è bene, ma spesso è disordine”, scrive Friedman. Togliere di mezzo un elemento negativo come il generale iraniano non vuol dire che al suo posto ce ne sarà uno positivo. “Suleimani era parte di un sistema chiamato Rivoluzione Islamica iraniana. Quella rivoluzione è riuscita a usare la violenza e il denaro del petrolio per rimanere al potere sin dal 1979, e questa è la tragedia dell’Iran, una tragedia che la morte di un generale iraniano non cambierà. L’Iran è l’erede di una grande civiltà e i suoi cittadini si distinguono per il loro talento ovunque, tranne che in Iran. Il fatto stesso che Suleimani fosse il più famoso iraniano nella regione la dice lunga sulla totale vacuità di quel regime e di come ha sprecato la vita di due intere generazioni di iraniani perseguendo la dignità in tutti i posti sbagliati e in tutti i modi sbagliati“.

E pensare che la democrazia probabilmente gli avrebbe salvato la vita: “Se in Iran ci fossero una libera stampa e un vero parlamento, Suleimani sarebbe stato licenziato da tempo per totale inettitudine».

(Da: New York Times, Rassegna Stampa Corriere della Sera Digital Edition, israele.net, 3-4.1.20)