Godersi l’oasi, tra una tempesta e l’altra

Pensieri di un ex capitano dei marines che trascorre il suo primo capodanno ebraico da israeliano

Di David Morgenstern

David Morgenstern, autore di questo articolo

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Poco più di un anno fa presi la decisione di trasferirmi in Israele. Ero spinto da svariati motivi, sia personali che professionali, ma dopo quattro intensi anni nel Corpo dei Marines, compresi due turni in Afghanistan, uno dei miei obiettivi principali era quello di godermi un po’ di pace e tranquillità.

So che a molti questa può sembrare una battuta o un’impagabile ingenuità: volevi un po’ di serenità e hai scelto proprio il Medio Oriente? Ma io ero già stato in questo paese molte volte e sapevo come, nonostante tutte le spigolosità e i titoli urlati, la vita quotidiana in Israele può essere un’esperienza davvero rilassante e gratificante.

E così è stato, negli oltre otto mesi da quando sono arrivato. Le spiagge, la vita notturna, le bellezze naturali e quelle opera dell’uomo, gli amici, la famiglia: tutto questo ha garantito esattamente quel relax e quella pace mentale che avevo sperato. Ovunque si viva, in Israele, è sempre saggio restare vigili, ma in generale me ne vado in giro senza stress e senza alcuna sensazione di pericolo personale. Naturalmente le cose stanno così solo grazie al fatto che i giovani d’Israele stanno di guardia anche per me, su tutte le frontiere. Dopo tutto, proprio questo è Israele: un’oasi di modernità circondata da forze che possono essere descritte solo come barbare e medievali.

Shanà tovà (buon anno) su un aquilone israeliano

Shanà tovà (buon anno) su un aquilone israeliano

Mentre scrivo, l’attacco occidentale contro la Siria e la possibile rappresaglia contro Israele sembrano un po’ meno imminenti di un paio di giorni fa. E qui è sceso un silenzio sospeso, mentre ci apprestiamo a celebrare il Capodanno ebraico e a ricordare il 40esimo anniversario della Pearl Harbor d’Israele (l’attacco arabo nel giorno di Kippur del 1973). Ma ancora una volta percepisco la sottile ombra di una vaga minaccia incombente. Vale per tutti, qui in Israele.

Una volta all’anno, i marines si mettono in fila ed entrano in una camera a gas dove ci esercitiamo all’uso delle maschere in una densa nuvola di gas lacrimogeni. Non è un’esperienza piacevole e uno dei miei momenti più felici è stato quando, l’anno scorso, ho restituito la mia maschera alla fine del servizio attivo. Questa mattina, però, mi sono ritrovato a provare la mia maschera “made in Israel”, giusto per assicurarmi che il mio addestramento sia applicabile anche a questo particolare modello.

La maggior parte degli esperti reputa molto basse, in questo momento, le probabilità di un attacco non convenzionale su Israele, ed io stimo praticamente a zero le probabilità che debba utilizzare davvero la mia maschera antigas. Ma sono un convinto sostenitore del farsi trovare preparati; e non sono l’unico, a giudicare dalle frotte di israeliani che nei giorni scorsi hanno affollato i centri di distribuzione delle maschera antigas.

Beh, questo è il Medio Oriente. Sapevo che la pace e la tranquillità che avrei trovato qui sono un momento di calma tra ineluttabili tempeste. Pensavo che la prossima volta i venti avrebbero soffiato dall’Iran e in un certo senso è quello che avviene, tramite i loro clienti siriani e Hezbollah. Solo, non mi aspettavo che accadesse così presto. Speravo in almeno un anno intero di tranquillità, qui in Israele, prima di trovarmi di nuovo in una guerra.

Forse, nonostante tutto, io e gli altri israeliani vedremo realizzato il nostro desiderio di pace; cioè, di una proroga temporanea del periodo di calma. Ma viaggiando verso nord per trascorrere con la famiglia le prossime feste ebraiche, in fondo al mio bagaglio, rannicchiata tra il mio costume da bagno e la mia ansia, porterò con me la mia maschera antigas.

(Da: Times of Israel, 2.9.13)