Golan e legge israeliana

La situazione giuridica delle Alture in caso di eventuale ritiro israeliano

Da un articolo di Dan Izenberg

image_1520Nel caso, assai improbabile, che la ridda di discussioni fra Israele e Siria porti a un trattato di pace comprendente un ritiro dalle alture del Golan, per applicarlo il governo del primo ministro israeliano Ehud Olmert dovrebbe superare un paio di ostacoli legali.
Questo perché nel 1981 Israele estese ufficialmente la propria giurisdizione alle alture del Golan. Quella Legge sulle Alture del Golan, approvata a maggioranza semplice, non prevedeva nessuna particolare condizione per un’eventuale successiva modifica o revoca. Per cambiarla, sarebbe stata sufficiente un’altra maggioranza semplice.
Le cose stavano in questo modo quando, nel 1992, divenne primo ministro Yitzhak Rabin, che avviò seri negoziati con la Siria durante i quali mise in chiaro che era pronto a lasciare il Golan nel quadro di un accordo di pace complessivo. In effetti, fu proprio Rabin a lanciare per primo l’idea di un referendum (istituto peraltro non previsto dalla legge israeliana) per verificare se la maggioranza del paese fosse favorevole a tale soluzione. Rabin disse che, se la maggioranza fosse risultata contraria, non avrebbe firmato l’eventuale trattato.
Poi i negoziati con la Siria fallirono. Nel frattempo, tuttavia, coloro che erano convinti che il Golan (o almeno una sua parte consistente) non dovesse in ogni caso essere ceduto, si erano presi un bello spavento. Il loro leader era l’ex generale (ed eroe della guerra del Kippur) Avigdor Kahalani, allora deputato laburista, che lasciò il partito proprio a causa dei negoziati sul Golan. Kahalani diede vita a un nuovo partito chiamato Terza Via.
Dopo la sconfitta dei laburisti alle elezioni del 1996, Kahalani entrò nel governo guidato da Binyamin Netanyahu. Nel tentativo di garantirsi che nessun governo potesse più fare ciò che aveva tentato Rabin, Kahalani propose un emendamento alla Legge sulle Alture del Golan secondo cui sarebbe stata necessaria una maggioranza di 81 parlamentari (su 120) per revocarla. La proposta venne respinta. Si giudicò che fosse troppo poco democratico esigere una maggioranza di parlamentari tanto più elevata di quella necessaria per indicare l’autentica volontà della maggioranza del paese.
Fallito il tentativo, Kahalani optò per una tattica differente e lanciò una battaglia parlamentare per far approvare una legge che si applicasse a qualunque porzione di territorio che fosse stato dichiarato sotto giurisdizione israeliana. La Knesset approvò questa legge in base alla quale, se il governo decide di cedere una qualunque porzione di territorio dove si esercita la giurisdizione israeliana, la decisione deve essere sottoposta al parlamento e ottenere la maggioranza assoluta dei voti (61). Se le Knesset approva la decisione del governo, essa deve poi essere ratificata dalla nazione attraverso un referendum.
Non molto dopo, i timori che avevano spinto Kahalani ad agire sembrarono di nuovo concretizzarsi. Dopo l’elezione a primo ministro di Ehud Barak, nel 1999, vennero nuovamente avviati intensi negoziati con la Siria. A quel punto il ministero della giustizia iniziò a lavorare su una bozza di legge che mettesse a punto il meccanismo per tenere un referendum nazionale. In quei mesi governo e opposizione dibatterono vivacemente su chi avrebbe avuto diritto di voto al referendum, quale maggioranza fosse richiesta, quale quesito porre all’elettorato ecc. Tutte discussioni che non giunsero alla conclusione: nel frattempo i negoziati con la Siria erano di nuovo falliti.
La legge che richiede la ratifica da parte della maggioranza assoluta della Knesset e della maggioranza dell’elettorato in un referendum per poter cedere territorio israeliano è valida per qualunque parte di Israele all’interno della Linea Verde (ex linea armistiziale fra Israele e stati arabi dal 1949 al 1967), dunque anche in caso di eventuali scambi territoriali con i palestinesi, nonché alla parte est di Gerusalemme, sottratta al controllo giordano con la guerra dei sei giorni del ’67. Subito dopo la fine della guerra, infatti, il governo estese a questa parte della città la giurisdizione israeliana; decisione consolidata poco dopo con la Legge Fondamentale su Gerusalemme che sanciva la riunificazione della capitale d’Israele.
Viceversa, la legge sul referendum non si applica alla Cisgiordania e non si è dovuta applicare alla striscia di Gaza al momento del disimpegno del 2005. Dal 1967, infatti, Israele non ha mai esteso la propria giurisdizione su questi territori. Pertanto essi non costituiscono territorio sovrano d’Israele. Per la verità, l’anno scorso, durante le infuocate discussioni sul ritiro da Gaza, alcuni parlamentari di destra cercarono di far passare una legge che obbligasse il governo dell’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon a indire un referendum prima di attuare lo sgombero. Ma la legge non passò e Sharon poté procedere senza ulteriori impedimenti giuridici.

(Da: Jerusalem Post, 20.12.06)