Greenblatt: “L’applicazione della legge israeliana a parti della Cisgiordania non è illegale”

“Non è terra palestinese: è terra contesa, e la controversia va risolta col negoziato” spiega l’ex inviato Usa in un articolo pieno di apprezzamento per lo storico editoriale in ebraico dell’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti

Di Jason Greenblatt

Jason Greenblatt, autore di questo articolo, è stato l’inviato della Casa Bianca per il Medio Oriente dal gennaio 2017 all’ottobre 2019

Un giornale israeliano ha pubblicato venerdì scorso un editoriale firmato da Yousef al-Otaiba, ambasciatore a Washington degli Emirati Arabi Uniti. Ho lavorato tre anni alla Casa Bianca per avvicinare Israele e i suoi vicini arabi, e sebbene in generale il messaggio dell’editoriale potrebbe potenzialmente minare i miei sforzi e quelli dell’amministrazione Trump, mi complimento con Otaiba per averlo scritto. Sono contento che si sia rivolto direttamente al pubblico israeliano.Inoltre, il suo pezzo è ben scritto e privo degli accenti isterici e dei commenti  automatici che spesso caratterizzano i diplomatici e i politici che parlano del conflitto israelo-palestinese.

Non voglio tuttavia ingenerare equivoci. Per dirla senza mezzi termini, sono in netto disaccordo con alcune parti dell’editoriale. Ad esempio, non sono d’accordo sul fatto che l’estensione della sovranità israeliana alle aree contemplate costituirebbe un’appropriazione illegale di terra. Anche il governo degli Stati Uniti non la pensa così, motivo per cui la “Visione per la pace” del presidente Donald Trump prevede questa misura. Personalmente sostengo la misura, ma la mia opinione personale non è rilevante. Non sono israeliano. Sarà il governo d’Israele democraticamente eletto a decidere se procedere in questo senso.

Sono anche in forte disaccordo con l’uso del termine “terra palestinese”. Non è terra palestinese: è terra contesa, e l’unico modo per dirimere la contesa è che le due parti possano direttamente negoziare insieme una soluzione. Ma questa strada si è dimostrata impraticabile, e questo è uno dei principali motivi per cui abbiamo elaborato in questo modo la “Visione per la pace”.

La leadership palestinese è spaccata, forse in modo irrimediabile, tra la dirigenza di Ramallah e i sanguinari terroristi finanziati dall’Iran che a Gaza sottomettono circa due milioni di palestinesi e causano tante sofferenze a palestinesi e israeliani. Ma la dirigenza di Ramallah ha respinto la “Visione per la pace” prima ancora che fosse pubblicata. In effetti, hanno respinto più e più volte i piani e le idee avanzate dalle precedenti amministrazioni americane.

La “quercia solitaria”, simbolo sopravvissuto della Gush Etzion pre-48: un gruppo di comunità ebraiche poco a sud di Gerusalemme. I primi quattro villaggi agricoli, fondati nel 1940-47 su proprietà acquistate negli anni precedenti, vennero distrutti dalla Legione Araba in quello che è passato alla storia come il massacro di Kfar Etzion. L’area, rimasta sotto occupazione giordana dal ’49 al ’67, è oggi di nuovo abitata da israeliani

La nostra opinione è che la dirigenza di Ramallah non dovrebbe più avere potere di veto su ciò che accade in questa terra e agli israeliani che vi abitano. Ma per tutelare i palestinesi, abbiamo dato loro un lungo periodo – quattro anni – per mettere ordine in casa loro in modo che anch’essi possano ottenere i molti benefici contemplati dalla “Visione per la pace”.

Dopo aver trascorso innumerevoli ore nelle capitali arabe per tre anni, ho appreso che siamo d’accordo molto più di quanto non siamo in disaccordo. So anche che amici e alleati possono non essere d’accordo su cose importanti, e che gli Emirati Arabi Uniti sono amici e alleati importanti degli Stati Uniti. In definitiva, gli Emirati Arabi Uniti hanno il diritto di fare ciò che è meglio per loro e di agire in base a quello in cui credono. Così come rispetto il diritto di Israele di prendere le sue decisioni (inclusa la decisione discussa nell’editoriale), allo stesso modo rispetto il diritto degli Emirati Arabi Uniti di prendere le loro decisioni.

Come viene sottolineato nell’editoriale, negli ultimi anni gli Emirati Arabi Uniti hanno introdotto alcuni eccezionali cambiamenti rispetto a Israele e alla comunità ebraica. Sono il frutto della forte leadership e della lungimiranza di Sua Altezza Reale Mohammed bin Zayed, un leader pragmatico, di larghe vedute e tollerante, che mira a unificare e far progredire la regione in una direzione positiva. Se Israele sceglierà di procedere con l’applicazione della legge israeliana in quelle aree, spero comunque che continueranno a esserci significativi progressi nelle relazioni tra Emirati Arabi Uniti e Israele. Si tratta di progressi importanti per la regione per molti motivi, inclusa la sicurezza.

Non dimentichiamo che lo scorso gennaio Otaiba, insieme all’ambasciatore dell’Oman Hunaina al-Mughairy e all’ambasciatore del Bahrein Abdullah bin Rashid Al Khalifa, è venuto alla Casa Bianca per presenziare all’annuncio ufficiale della “Visione per la pace” di Trump. Nutro gradissimo rispetto per quella storica scelta. Essi applaudirono in molti punti e vennero calorosamente accolti e applauditi dai presenti. Non erano d’accordo con tutto ciò che c’era nella “Visione per la pace” (probabilmente erano ben lungi dall’esserlo), eppure vennero e ci supportarono.

Attendo tuttora con ansia di mangiare cibo kasher quando sono in visita negli Emirati Arabi Uniti. Spero che gli Emirati Arabi Uniti continueranno a sviluppare la Abrahamic Family House ad Abu Dhabi, che vedrà sorgere nello stesso complesso una moschea, una chiesa e una sinagoga. Sarei entusiasta di pregare in quella sinagoga con i miei tefillin così come ho pregato l’anno scorso in una sinagoga nel Bahrain.

Nonostante le nostre profonde differenze su alcuni di questi temi, sarò per sempre grato che in alcune capitali della regione la leadership è sempre stata disposta a intrattenere colloqui schietti, sinceri e in alcuni casi assai sorprendenti. Riconosciamo tutti che la strada per la pace è estremamente complicata e difficile. La regione è estremamente complicata. Ma questi difficili colloqui e dibattiti, compresi i temi trattati nell’editoriale dal mio amico Yousef, devono aver luogo se vogliamo poter compiere progressi significativi.

(Da: Jerusalem Post, 15.6.20)