Guerra di religione a Gaza

Inesorabilmente avviato un processo di algerizzazione nei territori palestinesi

Da un articolo di Ronny Shaked

image_1574È una guerra che sta diventando sempre più difficile fermare. A quanto pare, non può essere fermata da accordi e incontri fra il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il capo del politiburo di Hamas Khaled Mashaal, né dall’intervento di sauditi, siriani o egiziani. Persino la creazione di un governo di unità nazionale è improbabile che possa fermare gli scontri.
I mass-media israeliani usano la parola araba “falatan” (mancanza di sicurezza): uno stato di illegalità diffusa, di guerra per bande e milizie. Ma è una descrizione imprecisa. La guerra viene combattuta fra Hamas e Fatah. Le milizie e altre organizzazioni, dalla Jihad Islamica al Fronte Popolare, non vi prendono parte. In effetti cercano anzi di mediare, riconciliare e porre fine ai combattimenti. Anche la gran parte della popolazione palestinese non vi prende parte e cerca di starsene a casa.
Hamas si è imbarcata in questa guerra forte di circa 10.000 combattenti: 6.000 nei ranghi di quella che è diventata nota come la Forza di Polizia Esecutiva, creata dallo stesso governo Hamas, e 4.000 membri delle Brigate Izz al-Din al-Qassam. Si tratta di uomini ben addestrati, organizzati in una struttura quasi militare, equipaggiati con ogni sorta di arma, compresi fucili di precisione, strumenti di comunicazione, giubbotti antiproiettile, attrezzature per la visione notturna, mitra Kalashnikov, granate a mano ed RPG, più quantità praticamente illimitate di munizioni. Si tratta di una forza pronta per la battaglia, intensamente addestrata negli ultimi due anni e pronta, oggi, a ingaggiare una guerra civile.
Contro di essa sono schierati i lealisti di Fatah e di Abu Mazen insieme alle forze di sicurezza nazionale che, tutti insieme, ammontano a circa 60.000 uomini. Per la maggior parte, tuttavia, mancano di addestramento e combattono con armi leggere, scarse munizioni e pochi mezzi logistici. Soprattutto, non sono stati addestrati in vista di uno scontro armato con Hamas.
È una situazione che può essere assimilata a quella che vede forze di difesa civile che si trovano a fronteggiare unità d’elite. Nei combattimenti dei giorni scorsi Hamas ha impegnato il 100% delle sue forze, mentre Fatah e i suoi fiancheggiatori hanno schierato non più del 10% degli effettivi. Sebbene abbia prevalso nella battaglia all’Università Islamica di Gaza, Fatah ha subito duri colpi in altri luoghi. La maggior parte delle vittime si contano nelle file di Fatah. Hamas ha avuto la meglio nelle battaglie del fine settimana.
Lo scontro interno palestinese non è diverso da altre guerre civili. Si tratta di una guerra sui valori, sul modo di vita e sull’identità futura della società e dello stato palestinesi: vede contrapporsi il nazionalismo laico di Fatah e l’estremismo islamista di Hamas. Hamas si batte con veemenza in nome della religione, sostenuta da “fatwe” (editti religiosi) che definiscono i membri di Fatah come eretici, giustificando l’uccisione di altri musulmani. Una guerra di questo genere è quella che ha avuto luogo in Algeria. Fonti di Fatah dicono che gli scontri mirano appunto a prevenire una “algerizzazione” dei territori.
Hamas tratta quelli di Fatah come dei “mortadin”, vale a dire come coloro che hanno abbandonato la via dell’islam dopo la morte del Profeta Muhammad (Maometto). Il suo successore, il Califfo Abu Bakr, emise un editto religioso che permetteva e incoraggiava la loro uccisione.
I membri di Fatah, dal canto loro, si considerano come i veri musulmani e vedono Hamas come “’khawaraj”, un gruppo che si staccò dalla comunità islamica aderendo strettamente alle leggi religiose, e che definisce coloro che non ne seguono l’esempio come eretici punibili con la morte.
Sia Fatah che Hamas sono convinti che la resa dei conti interna all’Autorità Palestinese sia già iniziata. Pertanto Hamas insite sul creare un governo di unità nazionale, sotto la cui copertura manterrebbe il potere e continuerebbe a instillare i principi dell’estremismo islamista nella popolazione.
Hamas e Abu Mazen vogliono entrambi un governo di unità nazionale per arrivare a una pausa nei combattimenti, allo scopo di rafforzare le rispettive forze in vista del prossimo round di scontri, destinato a culminare o in una vittoria militare o in una vittoria nelle urne.
Ma è improbabile che un governo di unità nazionale possa colmare il divario, e gli scontri riprenderanno inesorabilmente. La scelta definitiva sarà fatta solo dopo uno spargimento di sangue, e dopo che la parte sconfitta avrà abbassato le armi accettando l’autorità della parte vincente.

(Da: YnetNews, 4.02.07)