Haj Amin al-Husseini, il vero responsabile della nakba

La pace potrà arrivare quando gli arabi riconosceranno che la nakba fu causata dall'estremismo violento del mufti alleato dei nazisti, che respingeva ogni compromesso istigando ovunque alla violenza contro gli ebrei

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Nel marzo del 1949 il mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini, viveva sotto stretta sorveglianza ad Alessandria dopo essere fuggito dall’Europa dove sarebbe stato processato a Norimberga come criminale di guerra.

Facciamo un passo indietro. Più di ogni altro arabo, il mufti al-Husseini è l’uomo che incarnò l’antisemitismo islamico contemporaneo e il rifiuto arabo di scendere a patti con la presenza di Israele nella regione. Fu lui che fabbricò il mito della “Al-Aqsa in pericolo” secondo cui gli ebrei complotterebbero per distruggere la moschea sulla spianata del Monte del Tempio e costruire il Terzo Tempio sulle sue rovine. Fu lui il principale istigatore delle violenze anti-ebraiche del 1920 e del 1929. Fu lui che capeggiò la rivolta araba contro inglesi ed ebrei nella seconda metà degli anni ’30 durante la quale vennero uccisi 300 ebrei e 262 soldati britannici. Gli inglesi reagirono col pugno di ferro e la popolazione araba locale pagò un prezzo pesante: 5.000 morti. Ma 3.500 di loro furono vittime di una campagna fratricida scatenata dal mufti contro i suoi avversari.

La nakba non iniziò nel 1948. Iniziò con l’esodo dell’élite araba di Palestina in fuga dal terrore del mufti. E chi sosteneva il mufti? La Germania nazista. A seguito di un’intesa raggiunta tra il mufti e i rappresentanti nazisti, i tedeschi gli mandavano finanziamenti poiché gli ebrei erano nemici sia dei nazisti sia degli islamisti. E le vittime di questa coalizione furono per lo più musulmani. La società araba in Palestina cominciò a disintegrarsi mentre l’yishuv, la comunità ebraica, progrediva e costruiva un nuovo porto e si rendeva economicamente sempre più autonoma per non dover dipendere dalla popolazione araba locale, istigata all’odio e alla violenza dagli uomini del mufti.

Il mufti Amin al Husseini con Adolf Hitler, in Germania nel 1941 (clicca per ingrandire)

Come conseguenza della rivolta araba, nel 1937 la Gran Bretagna creò la Commissione Peel che alla fine dei suoi lavori raccomandò di dividere il territorio assegnando al futuro stato ebraico solo 4.840 kmq e 110.000 kmq al futuro stato arabo (90.000 in Transgiordania e 20.000 nella parte occidentale della Palestina Mandataria). Il mufti non solo si mise alla testa della lotta violenta contro gli ebrei a cui veniva attribuita quella piccola porzione di territorio. Egli chiese anche che gli ebrei venissero rispediti in Europa: quella stessa Europa da dove gli ebrei cercavano di fuggire alla vigilia dello sterminio nazista.

Divenuto un ricercato, il mufti fuggì in Libano e poi in Iraq, dove continuò la sua collaborazione con la Germania nazista istigando all’odio contro gli ebrei e incoraggiando la loro persecuzione. La sua propaganda contribuì a scatenare il pogrom di Farhud, a Baghdad nel 1942, durante il quale almeno 179 ebrei furono assassinati dalla folla araba. Gli ebrei in Iraq erano cittadini leali, produttivi e ben integrati. Per placare le pressioni dei nazionalisti iracheni si spinsero al punto di sottoscrivere una dichiarazione anti-sionista. Inutilmente: erano comunque e innanzitutto degli ebrei.

Dall’Iraq, il mufti si spostò in Germania per continuare a tramare l’annientamento degli ebrei del Medio Oriente. Dopo la fine della guerra mondiale riuscì a sottrarsi all’imputazione come criminale di guerra al processo di Norimberga fuggendo in Egitto, per organizzare di nuovo l’opposizione a qualsiasi compromesso che consentisse una qualunque autonomia ebraica nella regione, non importa quanto piccola e limitata.

Torniamo così al 10 marzo 1949, quando Yedioth Ahronoth pubblicò la notizia che il muftì era scampato a due tentativi di omicidio. E chi aveva cercato di ucciderlo? Dei profughi arabi dalla Palestina. È difficile verificare le informazioni relative a quei tentati omicidi, ma è chiaro che il mufti era odiato da molti dei profughi che sapevano bene quanto fosse responsabile della loro condizione. L’uomo che aveva sistematicamente adottato la linea più estremista e intransigente, che aveva eliminato i suoi avversari interni, che aveva causato la fuga degli arabi dalla Palestina ancor prima della decisione di spartirla in due stati, che aveva innescato le violenze anti-ebraiche a Baghdad, che si era opposto a qualsiasi possibile accordo, quello era il maggior responsabile della nakba degli arabi palestinesi del 1948. C’erano molti oppositori al mufti nel mondo arabo: molti avevano capito che il mufti li stava guidando da una disfatta all’altra. Ma alla fine era prevalso il fanatismo, mentre tra gli ebrei dell’yishuv era prevalso il pragmatismo.

Il giorno in cui gli arabi riconosceranno la loro responsabilità per la nakba sia palestinese ched ebraica, e si affrancheranno dalla falsa narrativa palestinese, vi sarà davvero la possibilità di un accordo e di una riconciliazione. Deve accadere, per noi e per loro, inshallah, a Dio piacendo.

(Da: YnetNews, 15.5.19)

In un video dell’incontro nel 1941 tra Adolf Hitler e il gran mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini si vede l’allora leader della comunità arabo-musulmana della Palestina Mandataria riverire il Führer con il saluto nazista.
Il video è stato postato sull’account Twitter “American Zionism” in reazione ai recenti commenti della congressista Usa di origine palestinese Rashida Tlaib secondo la quale gli arabi palestinesi garantirono “un rifugio sicuro agli ebrei post-Shoà”.

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