Hamas ha scelto l’escalation

Quali le alternative a una guerra aperta contro il gruppo terrorista che controlla la striscia di Gaza?

Il momento in cui l’autobus israeliano è stato colpito lunedì da un missile anti-carro Kornet palestinese sparato dalla striscia di Gaza (dal filmato diffuso da Hamas)

Scrive l’editoriale di Ha’aretz: Ancora una volta, come in un ciclo inevitabile, i razzi volano verso le comunità israeliane attorno alla striscia di Gaza, gli abitanti di queste comunità corrono nei rifugi, le batterie “Cupola di ferro” intercettano i missili al meglio delle loro capacità, interviene l’aeronautica, nuvole di fumo si stagliano su Gaza, si tengono drammatiche consultazioni nel quartier generale dell’esercito e si iniziano a contare morti e feriti.

Questo ciclo distruttivo deve essere fermato immediatamente: non con la minaccia di distruggere Gaza, e nemmeno con dichiarazioni come quella fatta dal primo ministro Benjamin Netanyahu in conferenza stampa domenica a Parigi, quando ha detto: “Non esiste una soluzione diplomatica per Gaza come non esiste una soluzione diplomatica per l’ISIS”. Ma la soluzione non è militare, è politica. I residenti di Gaza hanno bisogno di posti di lavoro, elettricità, carburante, generosi investimenti e un piano d’emergenza per una rapida ricostruzione. Al di là dell’aspetto umanitario, sono gli interessi di sicurezza di Israele e la tranquillità per le comunità vicine a Gaza che richiedono queste condizioni. A breve termine, Israele deve frenare la sua risposta e non farsi trascinare in un’operazione militare su vasta scala, che causerebbe morti inutili da entrambe le parti e renderebbe la situazione di Gaza ancora più intollerabile. Anche se è circondato da ministri bellicosi, Netanyahu deve insistere nell’implementare ciò che ha detto due giorni fa: “Sto facendo tutto il possibile per evitare una guerra inutile. Ogni guerra reclama vite umane. Non ho paura di una guerra, se è necessaria. Ma faccio di tutto per evitarla se non è necessaria”.
(Da: Ha’aretz, 13.11.18)

Yoaz Hendel

Scrive Yoaz Hendel: Prima dei tragici eventi di domenica notte (che hanno causato la morte a Gaza di un alto ufficiale arabo-israeliano della comunità drusa), sembrava che “Pace adesso” fosse rinata all’interno del Likud (il partito di Netanyahu). Gli slogan erano gli stessi: “La pace si cerca di farla con i nemici”, “Dobbiamo tentare tutte le strade”, “Non ha senso lanciarsi in un’operazione militare perché finiremo per ritrovarci al punto di partenza”. D’altra parte, anche la sinistra israeliana soffre di dissociazione della personalità: i campioni delle concessioni per il compromesso e la pace erano improvvisamente diventati sostenitori di un’energica, e sanguinosa, operazione militare contro le continue aggressioni da Gaza: unicamente allo scopo di criticare l’attendismo di Netanyahu.  E solo a parole, ovviamente. Ma domenica sera le posizioni sono di nuovo cambiate: da queste parti la realtà confonde un po’ tutti.

Una decina di anni fa, insieme al prof. Zakai Shalom pubblicai un noioso studio accademico pieno di dati e citazioni intitolato Lasciate che vincano le Forze di Difesa israeliane. Da una parte c’erano le dichiarazioni di politici e opinionisti di sinistra che sostenevano che non si può sconfiggere militarmente il terrorismo, come sarebbe dimostrato dall’esperienza degli americani in Vietnam, dei sovietici in Afghanistan, dei francesi in Algeria e persino di Israele quando si è ritirato dal Libano meridionale infestato da Hezbollah. Dall’altra, c’erano quelli che invocavano un intervento militare per sconfiggere il terrorismo, e avevano ragione: quando le Forze di Difesa israeliane sono rientrate in Cisgiordania, hanno sconfitto il terrorismo suicida della “seconda intifada”. In quei giorni la sinistra sosteneva che non dovevamo entrare a Jenin e Nablus perché non avremmo risolto nulla. Adesso attacca Netanyahu perché “non fa nulla per fermare i razzi da Gaza”.

Mahmoud Abu Asbah, 48 anni, palestinese originario di Halhul, a nord di Hebron (Cisgiordania), è rimasto ucciso lunedì notte quando un razzo lanciato dai terroristi di Gaza ha colpito la casa dove si trovava, nella città israeliana di Ashkelon

So bene che l’ideologia odierna, in Israele, è: o sei con Netanyahu o sei contro Netanyahu. Tuttavia, trovo difficile liberarmi dalle conclusioni che ho tratto dal passato: coloro che non vogliono risolvere militarmente la situazione si ritroveranno a fare un’operazione militare senza possibile soluzione. Se non subito, comunque presto.

Dopo la campagna anti-Hamas dell’estate 2014, il governo israeliano si ho ritrovato con due sole opzioni: un piano Marshall finanziato a livello internazionale nella striscia di Gaza strettamente collegato alla smilitarizzazione della striscia, oppure un’operazione militare ben pianificata volta a distruggere una volta per tutte le centrali di Hamas e Jihad Islamica. Non esistono soluzioni provvisorie “comprate” con 15 milioni di dollari dal Qatar. È un’illusione. Lo stato nemico che esiste al nostro confine meridionale deve essere contenuto mediante la deterrenza: dando loro qualcosa da perdere o eliminando il regime che li controlla, e mettendo bene in chiaro il prezzo che comporta insistere con il terrorismo.

Tornare indietro al mese di marzo non è possibile né proponibile. Lo scorso marzo (inizio delle ondate di violenze al confine fra Gaza e Israele) eravamo sull’orlo di un’operazione militare, esattamente come adesso. Marzo è passato. Sono passati anche i 15 milioni di dollari del Qatar (un paese che sponsorizza il quartier generale di Hamas a Doha, offre rifugio ai capi dei Fratelli Musulmani in fuga dall’Egitto e ha stretti legami con l’ISIS e altre organizzazioni jihadiste). Forse è il momento di lasciar vincere le Forze di Difesa israeliane. Oppure spiegateci qual è la strategia alternativa.
(Da: YnetNews, 13.11.18)

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

Scrive Seth J. Frantzman: A quali logiche risponde, oggi, Hamas? Lo scorso marzo il primo ministro dell’Autorità Palestinese Rami Hamdallah si recava a Gaza con il suo capo dei servizi segreti, Majed Faraj: dovevano visitare un impianto di trattamento delle acque reflue e promuovere a una sorta di riconciliazione, una delle tante che Fatah, a capo dell’Autorità Palestinese, ha cercato di instaurare con Hamas. Ma qualcuno pensò bene di fare un attentato, cercando di far saltare in aria il convoglio di Hamdallah. Poche settimane dopo iniziava la campagna di violente proteste ai confini fra Gaza e Israele, nel quadro del continuo tentativo di Hamas di acquisire rilevanza e contrastare il riavvicinamento con l’Autorità Palestinese (che esige il suo disarmo).

Parallelamente, Hamas era allettata dalle possibilità di un cessate il fuoco con Israele mediato dall’Egitto e finanziato dal Qatar. L’Egitto si oppone a Hamas a causa delle sue connessioni con i Fratelli Musulmani, ma vuole anche che a Gaza regni la calma. Il Qatar sostiene Hamas e cerca di promuovere la ricostruzione a Gaza. Ma sia all’Egitto che al Qatar sono piace l’intransigenza di Hamas. Al contempo, sia all’Egitto che al Qatar non piacciono le sanzioni imposte a Gaza dall’Autorità Palestinese di Abu Mazen. Il ruolo giocato dell’Autorità Palestinese nel punire e isolare la striscia di Gaza viene troppo spesso ignorato. Negli ultimi sei mesi l’Autorità Palestinese ha cercato di piegare e isolare Gaza colpendone la popolazione ben più di quanto abbia mai fatto Israele. All’inizio di quest’anno ha tagliato gli stipendi agli abitanti di Gaza e i fondi per elettricità e carburante. L’Autorità Palestinese non vuole un’intesa separata fra Israele e Hamas perché ai suoi occhi legittimerebbe il potere di Hamas sulla striscia. Allo stesso tempo, è irritata dalle mosse americane e ha rotto ogni trattativa con gli Stati Uniti. Il che lascia sia la l’Autorità Palestinese che Hamas totalmente scollegati dai tradizionali alleati e dai canali di comunicazione.

Un’abitazione israeliana ad Ashkelon centrata da razzi palestinesi lanciati da Gaza

Al contrario, Israele si è mosso piuttosto bene nella regione. Le visite negli stati del Golfo fra ottobre e novembre di Netanyahu e dei ministri Miri Regev, Israel Katz, Ayoub Kara sono state un importante passo avanti. Intanto Netanyahu ha cercato di mantenere desta l’attenzione sulla minaccia iraniana in Siria. In questo contesto, la cosa meno auspicabile di tutte è una guerra a Gaza che trascinerebbe Israele in un altro round di combattimenti, con l’inevitabile conclusione che vedrebbe Israele vincere l’ennesima battaglia ma il conflitto a fuoco lento continuare all’infinito.

La realtà è che non esiste una strategia per Gaza almeno dal 2006/2007 (quando Hamas vinse le elezioni e poi scacciò Fatah con la violenza). Né Israele, né l’Egitto, né il Qatar, né gli Stati Uniti e nemmeno Ramallah hanno un piano per modificare l’attuale corso delle cose a Gaza. Si può correttamente attribuirne la colpa a Hamas, che non intende rinunciare né al suo potere né alle sue armi. Ma verosimilmente continuerà a farlo, perché non ha minimamente a cuore la gente di Gaza, e risponde piuttosto a un programma più ampio.

Detto tutto questo, nessuno in questo momento vuole una guerra. Ma una guerra può scoppiare lo stesso proprio perché è l’unica cosa che Hamas pensa di poter fare per ottenere qualche attenzione internazionale, o anche solo regionale. Un missile Kornet anti-carro sparato su un autobus (che Hamas credeva pieno di israeliani) e 460 razzi lanciati contro Israele in poco più di 24 ore non possono che esprimere l’intenzione di scatenare una guerra.
(Da: Jerusalem Post, 13.11.18)

Avi Issacharoff

Scrive Avi Issacharoff: Nel cercare di capire cosa è andato storto negli ultimi giorni, è difficile individuare una chiara decisione strategica.

Hamas e Israele avevano già avviato di fatto una tregua. La dirigenza dell’organizzazione di Gaza aveva investito grandi sforzi per arrivare a un cessate il fuoco e migliorare l’economia della striscia, aumentare le forniture di elettricità e persino pagare gli stipendi dai suoi dipendenti con le valigie di denaro trasferite dal Qatar grazie all’approvazione di Israele.

Anche il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu si era fatto in quattro per chiarire che non era interessato a nessuna escalation, e in sostanza accettava di pagare il “pizzo” a un gruppo terroristico che dichiara apertamente di mirare all’annientamento dello stato ebraico.

Ma l’incidente di domenica sera a Khan Younis, in cui un ufficiale druso delle forze speciali israeliane è rimasto ucciso insieme a sette membri del gruppo terroristico palestinese, ha portato la regione sull’orlo della guerra. Hamas si è trovata in una posizione difficile: reagire con violenza rischiando una guerra, o contenere l’incidente e rischiare l’accusa d’aver capitolato a Israele in cambio di denaro? Inizialmente sembrava che Hamas fosse incline a contenere l’incidente, ma alla fine la pressione sui suoi capi si è rivelata troppo forte e Hamas ha deciso di mettere a repentaglio tutto – stipendi, elettricità, aiuti umanitari – pur di salvaguardare la sua immagine di “autentica resistenza” di fronte ai gruppi jihadisti rivali attivi nella striscia: a cominciare dalla Jihad Islamica, che tende continuamente a scavalcare Hamas.

La speranza in questo momento è appesa all’interesse che hanno a fermare i combattimenti sia il governo Netanyahu che la dirigenza di Hamas. Forse questo basterà, alla fine, per calmare la situazione. L’unica alternativa sarebbe una guerra a tutto campo dal costo estremamente pesante per entrambe le parti.
(Da: Times of Israel, 13.11.18)

.

Traduzione dei sottotitoli: Questo autobus, questa auto, questo panificio, questa casa, e questa, e anche questa sono state colpite da razzi lanciati da Gaza contro israeliani innocenti. Come reazione ai 37 razzi lanciati da Gaza, le Forze di Difesa israeliane hanno colpito decine di obiettivi terroristici appartenenti a Hamas e alla Jihad Islamica palestinese. I terroristi prendono di mira i civili, Israele prende di mira i terroristi

 

Per scorrere la galleria d’immagini, cliccare sulla prima e proseguire cliccando sul tasto “freccia a destra”: