Hezbollah celebra la sua vittoria, Israele piange i suoi caduti

I fatti mostrano quanto siano distanti i valori da un parte e dall'altra del confine

Da un articolo di Anshel Pfeffer

image_1378Grande parata a Beirut sud, venerdì pomeriggio, per celebrare la “divina vittoria” di Hezbollah contro Israele. Ma cosa ci sarà mai di divino o di vittorioso in una guerra nella quale il movimento jihadista libanese ha perduto un quarto dei suoi combattenti, causando al Libano danni incalcolabili e probabilmente più di mille morti civili? Se Hassan Nasrallah canta vittoria, come dovremmo definire il nostro versante di questa guerra noi israeliani?
Secondo qualunque criterio, sia assoluto che relativo, le perdite israeliane in vite e danni materiali sono state molto inferiori a quelle subite da Hezbollah. Inoltre, la situazione della sicurezza al confine settentrionale di Israele è nettamente migliorata con lo schieramento dell’esercito libanese e della forza multinazionale. Eppure non è in programma nessuna parata della vittoria per le strade di Gerusalemme. Al contrario, esiste un profondo sentimento di frustrazione per una situazione che non è come dovrebbe essere.
Ci si è tanto domandati se Nasrallah, dopo più di due mesi, sarebbe finalmente uscito dal suo nascondiglio per partecipare in pubblico alle celebrazioni di Beirut, e se Israele avrebbe approfittato di questa eventualità per completare il lavoro lasciato incompiuto. Ma Nasrallah non aveva nulla di cui preoccuparsi. Un mese fa un riuscito bombardamento sul suo bunker avrebbe sollevato il morale e permesso a Israele di finire la guerra con una qualche sensazione d’aver vinto. Ora potrebbe portare solo una breve, amara soddisfazione. Ma c’è qualcosa che gli israeliani desideravano molto di più della morte di Nasrallah, ed era potere vedere di nuovo a casa loro Gilad Shalit, Ehud Goldwasser e Eldad Regev, riuniti con le loro famiglie per Rosh Hashana (il capodanno ebraico). E se il prezzo per questo, o il prezzo per rivederli sani e salvi un qualunque giorno dell’anno che inizia, è lasciare vivo Nasrallah, va bene così. E questo è un altro motivo per cui non vi sarà nessun parata della vittoria a Gerusalemme, anche se gli israeliani non hanno perduto la guerra.
Per tutto il mese passato Israele è stato angosciato dalla pressione esercitata da soldati reduci dai campi di battaglia, da famigliari di caduti, da politici e giornalisti per una sorta di dimissioni collettive della leadership militare e politica del paese, e per un processo nazionale di autocritica e di espiazione. Sono pressioni ancora presenti, anche se i toni si sono un po’ attenuati.
Alla fine di un anno ebraico, gli ebrei sono chiamati a un bilancio privato e personale delle loro azioni nel corso dei mesi precedenti. Coloro che hanno lasciato le loro famiglie e i loro posti di lavoro reclutati nelle unità della riserva con una telefonata d’emergenza nel pieno della notte, coloro che hanno ospitato in casa i profughi della Galilea che fuggivano i bombardamenti Hezbollah, tutto il paese che non ha mai ceduto al panico né alla disperazione continuando a far funzionare l’economia, tutti costoro possono affrontare il riesame di Rosh Hashana a testa alta. E non hanno bisogno di alcuna parata per sapere che hanno vinto la loro guerra.
Le parate militari non appartengono alla tradizione di Gerusalemme. Se ne sono tenute ben poche, in Israele, in questi primi 58 anni di esistenza. Una soltanto negli ultimi trent’anni. Vediamo qualcosa di vagamente grottesco nel concetto stesso di parata, e l’ultima volta che le Forze di Difesa israeliane hanno sfilato nella capitale, in occasione della giornata della riunificazione di Gerusalemme 1998, l’evento venne clamorosamente ridimensionato. Eppure gli stranieri continuano a definire Israele una società militarista.
Non è considerato politicamente corretto, anzi addirittura razzista, affermare che una certa nazione o una certa religione riconosce alla vita umana meno valore di altre. E allora forse vale la pensa semplicemente ripetere quello che si è fatto notare all’inizio di questo articolo: 163 israeliani sono stati uccisi in quest’ultima guerra, alcuni ancora mancano all’appello, e per questo noi israeliani iniziamo l’anno nuovo sfiduciati e col cuore pesante.
Il Libano e Hezbollah hanno perduto circa duemila vite in un mese di una guerra da loro scatenata, e oggi a Beirut si celebra una “vittoria divina”. I fatti parlano da sé.

(Da: Jeruslem Post, 22.09.06)

Nella foto in alto: Durante la parata della vittoria venerdì a Beirut, poster inneggianti al terrorista Samir Kuntar, detenuto in Israele.