Hezbollah mostra il suo vero volto al mondo arabo

Qui non si tratta di qualche attentato contro turisti israeliani. Qui l’obiettivo è l’Egitto stesso

di Zvi Mazel

image_2467Molti egiziani non riescono a credere che Hezbollah avesse suoi agenti in Egitto e stesse organizzando degli attentati terroristici in quel paese. Anche la maggior parte degli altri paesi arabi non riescono a capacitarsene, anche se non hanno reagito ufficialmente: stanno ancora cercando di farsene una ragione.
Eppure le notizie della scorsa settimana non dovrebbero sorprenderli. L’Iran non ha mai nascosto il suo proposito di esportare il suo tipo di rivoluzione islamista in tutto il Medio Oriente, accompagnandola con la distruzione di Israele. Hamas e Hezbollah sono gli strumenti che il regime di Teheran utilizza per perseguire questo obiettivo. Ciò nondimeno il solo pensiero che un gruppo armato arabo abbia creato una rete terroristica nel cuore dell’Egitto viene percepito dalla maggior parte degli arabi come la violazione di un tabù. I commentatori possono pontificare finché vogliono sull’indebolimento dell’Egitto, ma il paese dei faraoni rimane il più importante dei paesi arabi. Ha la popolazione più numerosa e vanta una storia e una cultura straordinarie. La sua posizione strategica non ha eguali dal momento che controlla il Canale di Suez e si trova all’incrocio fra Asia e Africa. Infine, ma non meno importante, quello egiziano è l’esercito arabo più potente in tutto il Medio Oriente. Se le attività sovversive di Hezbollah avessero avuto successo, probabilmente l’esercito sarebbe stato chiamato al comando, con quali conseguenze per la regione e per il processo di pace nessuno può saperlo.
Qui non si tratta di qualche beduino convinto con la corruzione a compiere attacchi terroristici contro turisti israeliani (come è già avvenuto). Qui l’obiettivo era l’Egitto stesso. Secondo le dichiarazioni dei funzionari egiziani, un agente Hezbollah chiamato Mohamed Yousuf Sami Shehab aveva già reclutato una cinquantina di giovani: libanesi, siriani, sudanesi e palestinesi, più una dozzina di sciiti egiziani. Gli stranieri erano entrati in Egitto con passaporti falsi. Al momento del loro arresto sono stati trovati in possesso di due milioni di dollari, oltre a diverse auto e ordigni esplosivi pronti all’uso. Stavano creando una struttura terroristica un po’ in tutto il paese, compreso l’Alto Egitto; stavano acquistando un appartamento ad Aguza, una delle migliori località del Cairo; e stavano prendendo in affitto decine di ville e negozi nel Sinai, da Dahab a Nueiba a Rafah. Nella città di Suez avevano affittato delle ville prospicienti il Canale allo scopo di monitorare il traffico marittimo, probabilmente per pianificare attacchi contro navi americane e israeliane. Attraverso il Canale passano navi da guerra americane dirette verso il Golfo Persico con rifornimenti e rinforzi per Kuwait, Qatar, Iraq e Afghanistan. Hezbollah potrebbe anche aver pensato di far affondare una nave nel Canale di Suez, cosa che avrebbe costretto tutto il traffico marittimo dall’occidente verso il Golfo Persico e l’Asia a navigare per migliaia di chilometri in più doppiando il Capo di Buona Speranza.
Secondo fonti ufficiali egiziane, Hezbollah intendeva lanciare una massiccia serie di attentati terroristici. Bersagli americani e israeliani erano naturalmente i primi da colpire, ma lo scopo era quello di destabilizzare l’Egitto e provocare enormi manifestazioni che avrebbero potuto abbattere il regime e portare a un pronunciamento militare.
Il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah si è tradito quando ha ammesso, nel suo discorso di venerdì, che Sami Shehab è affiliato alla sua organizzazione e che era stato mandato in Egitto per portare “assistenza logistica” a Hamas nella striscia di Gaza. Nello stesso tempo, Nasrallah lanciava un virulento attacco all’Egitto condannandolo per il blocco di Gaza e lo smantellamento dei tunnel del traffico d’armi: parole che equivalevano a una dichiarazione di guerra all’Egitto.
A quel punto il primo ministro egiziano Ahmed Nazif dichiarava che non è possibile scendere ad alcun compromesso sulla sicurezza del paese. Il presidente Hosni Mubarak e il ministro degli esteri Ahmed Abul Gheit si sono finora astenuti dal commentare pubblicamente ma hanno lasciato campo libero a un certo numero di fonti anonime che hanno attaccato Nasrallah con grande durezza.
Bisogna tenere a mente che l’Egitto è alla testa del fronte dei paesi arabi pragmatici in lotta contro le attività sovversive iraniane in tutta la regione. Durante la seconda guerra in Libano di Israele contro Hezbollah, nell’estate 2006, il Cairo venne violentemente attaccato dai mass-media siriani, iraniani e Hezbollah per il suo presunto appoggio a Israele; lo stesso quest’anno durante la controffensiva israeliana anti-Hamas nella striscia di Gaza.
È ben noto che l’Iran vede il trattato di pace tra Egitto e Israele come il fumo negli occhi. Il trattato è considerato uno dei maggiori ostacoli sulla via della rivoluzione islamista lanciata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini nel 1979, e Teheran infatti troncò i rapporti diplomatici con l’Egitto dopo la firma di quel trattato. Sforzi recenti da parte iraniana per rinnovare quei rapporti sono falliti perché Teheran rifiuta di cambiare il nome di una delle maggiori strade nella capitale iraniana intitolata all’assassino di Anwar Sadat. Ma è stato anche suggerito che la richiesta non fosse che un pretesto: Mubarak, che conosce bene le intenzioni iraniane, non ha alcuna fretta di rinnovare le relazioni con quel paese. La reazione iraniana è stata quella di incrementare le sue attività sovversive nella regione, e in particolare contro l’Egitto.
Un altro pericoloso aspetto della battaglia è la volontà di sempre più paesi arabi di dotarsi di un proprio programma nucleare per controbilanciare quello di Teheran. L’Egitto è giunto alla fase finale della progettazione di quattro impianti nucleari per la produzione di energia elettrica.
Un anno fa Mubarak si espresse pubblicamente contro gli sforzi fatti per promuovere l’islam sciita, accusando gli sciiti di essere più fedeli all’Iran che ai loro rispettivi paesi. In questa lotta l’Egitto si trova alleato con Arabia Saudita, Giordania e Marocco contro l’Iran e i suoi alleati: Siria, Sudan, Hezbollah, Hamas, Jihad Islamica e altri organizzazioni minori.
È attraverso Hezbollah che l’Iran è più attivo. Agenti e istruttori provenienti da Hezbollah sono al lavoro in Iraq, dove addestrano miliziani filo-iraniani; nello Yemen, dove sostengono il Houthiin, un movimento sciita estremista in rivolta contro il governo; e nel Bahrain, dove aiutano le forze dell’opposizione sciita. È assai probabile che quello che vediamo ora non sia che una parte di una ben più vasta impresa sovversiva.
Nelle scorse settimane lo scontro fra campo arabo pragmatico da una parte e l’Iran coi suoi accoliti dall’altra è venuto apertamente alla luce del sole. Un ufficiale iraniano ha dichiarato che il Bahrain era una provincia dell’Iran, mandando in collera tutti i paesi arabi. Mubarak è volato immediatamente nella capitale del Bahrain, Manana, per affermare che il Bahrain era e rimane arabo. Pochi giorni dopo, il sunnita Marocco ha rotto le relazioni diplomatiche con l’Iran a causa delle attività dei predicatori sciiti a libro paga di Teheran. Per rendere evidente il suo malcontento, Mubarak non ha partecipato al summit annuale della Lega Araba che si è tenuto a Doha, capitale del Qatar, alla fine di marzo. E il suo rappresentante ha lanciato un duro attacco all’Iran, senza mai nominarlo espressamente ma dicendo che gli arabi non devono lasciare che elementi non-arabi interferiscano nei loro affari interni. Ha poi accusato la tv Al-Jazeera di istigare le masse arabe alla rivolta contro i loro governi, una frecciata diretta all’emiro del Qatar che possiede la popolare emittente e che ultimamente si è avvicinato al campo iraniano.
La rete messa in piedi da Hezbollah è la risposta iraniana. E arriva in un momento cruciale per l’Egitto, dove nessuno sa cosa accadrà veramente quando Mubarak uscirà di scena e dove la Fratellanza Musulmana continua a rafforzarsi.
Alcuni suggeriscono che la faida tra Egitto e Iran possa tornare a vantaggio di Israele, me non è affatto vero. Israele ha bisogno di un Egitto stabile e forte.
Intanto si affaccia un nuovo attore sulle scena. Il presidente americano Barack Obama ha avviato un dialogo con la Siria e sta per avviarne uno con l’Iran. L’Egitto e il campo arabo pragmatico non sono affatto felici di questo sviluppo, anche se non lo ammetteranno pubblicamente. Preferirebbero piuttosto vedere Stati Uniti e Israele bombardare l’Iran e sbarazzarsi della minaccia iraniana, giacché sanno fin troppo bene ch’essa non verrà rimossa dalla diplomazia. Sanno che la ragion d’essere del regime degli ayatollah è promuovere la rivoluzione islamista e che l’unico modo per fermarli è il ricorso alla forza.

(Da: Jerusalem Post, 13.04.09)