I campioni del boicottaggio, e i loro utili idioti

Omar Barghouti, promotore del movimento BDS, ha il diritto di dire scemenze, ma perché l'intervistatrice (israeliana) non lo ha incalzato?

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Questa settimana Le Monde ha pubblicato un’intervista a Omar Barghouti, uno dei promotori del movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele). Il suo argomento, in sostanza, è che non vi sarebbe alcun problema se gli ebrei vivessero come minoranza sotto governo arabo nello “stato esemplare” che lui punta a creare (al posto di Israele e territori palestinesi). Dopo tutto, spiega Omar Barghouti, gli ebrei “non hanno mai sofferto nei paesi arabi: non ci sono stati pogrom, non c’è stata persecuzione. E poi, in generale, gli ebrei prosperano come minoranza in Europa e negli Stati Uniti”. Dunque, dov’è il problema? Che facciano il piacere di accettare di vivere come minoranza sotto la “democrazia araba”, universalmente nota per la sua propensione a proteggere le minoranze, soprattutto se si tratta di ebrei.

Il Nostro soffre evidentemente di una forma di doppia cecità: cecità rispetto al passato e cecità rispetto al presente. Dubito che sia possibile citare una sola comunità ebraica vissuta sotto dominio musulmano che non abbia patito persecuzioni, con o senza rapporti con il sionismo. L’elenco è lunghissimo, e potrebbe iniziare da quel grande amico degli ebrei che fu il capo dell’Alto Comitato Arabo nell’era del Mandato Britannico, quell’Hajj Amin al-Husseini che – come è noto – guidò il pogrom contro gli ebrei di Baghdad del 1941, il famigerato Farhud, e da lì poi si spostò a Berlino con lo scopo di convertire il massimo numero di musulmani al nazismo. Al-Husseini parlò e scrisse esplicitamente del suo piano di sterminare tutti gli ebrei presenti nei paesi arabi.

Le mappe invariabilmente utilizzate dalla propaganda palestinese illustrano esplicitamente l’obiettivo di cancellare Israele sostituendolo con un unico stato arabo

Le mappe invariabilmente utilizzate dalla propaganda palestinese illustrano esplicitamente l’obiettivo di cancellare Israele sostituendolo con un unico stato arabo

E’ un diritto di Omar Barghouti dire scemenze. Ma quando gli viene offerto un pulpito di tale importanza, gli si dovrebbe anche chiedere: scusi, ma di che cavolo sta parlando? Ha forse scordato i pogrom contro gli ebrei in Libia del 1945 e del 1948, e ad Aden nel 1948, e in Marocco, a Damasco e ad Aleppo, giusto per citare i primi che vengono in mente? A centinaia furono uccisi, per il solo fatto che erano ebrei. E se guardiamo al presente, dove sono esattamente tutte queste minoranze che vivono in pace e tranquillità nei paesi arabi? Può darsi che Omar Barghouti intendesse fare riferimento – che so? – ai musulmani neri del Darfur in Sudan.

Come è possibile che l’intervistatore non lo abbia incalzato? Ebbene, andando a vedere si scopre che l’intervistatore è un’israeliana, Nirit Ben Ari, che in passato ha sostenuto il partito nazionalista arabo-israeliano Balad. Alla vigilia delle ultime elezioni ha pubblicato un articolo a sostegno della Lista Araba Comune, ed è anche un’accanita sostenitrice della campagna BDS. Nirit Ben Ari aveva chiesto di intervistare Omar Barghouti per conto di Ha’aretz, ma il palestinese mise in chiaro che si rifiutava di essere intervistato da un qualsiasi quotidiano israeliano per via della “egemonia sionista”. Bisognava forse informarlo che il sostegno al boicottaggio sta diventando la linea centrale di Ha’aretz. Giusto questa settimana l’editore del giornale, Amos Schocken, ha dichiarato di essere a favore del boicottaggio generale, non solo sugli insediamenti, perché “non riesce a vedere la differenza tra ciò che facciamo e ciò che facevano i bianchi in Sudafrica”. Non la vede?

Più e più volte, a partire dalla Commissione Peel del 1937 per passare al piano di spartizione Onu del ’47 e arrivare fino ai parametri di Clinton del 2000 e alla proposta Olmert del 2008, i palestinesi hanno rifiutato ogni e qualsiasi proposta che avrebbe dato loro l’indipendenza. E’ chiaro il motivo: non vogliono uno stato a fianco di Israele. La campagna per il boicottaggio di Omar Barghouti lo dice chiaro: vogliono uno stato al posto di Israele. Ma la cecità è un problema serio, soprattutto quella di chi non vuole vedere.

(Da: YnetNews, 13.7.15)

 

«Imperniato da più di cento anni sul mito di una “età dell’oro” arabo-islamica – perduta nei secoli della decadenza e della dominazione straniera; da riscoprire e ricreare oggi, attraverso un processo di “rinascita” (nahda), di resurrezione (ba’ath), persino di ritorno al passato (salafiya) – il nazionalismo arabo ha seguito un percorso che lo ha portato, nel corso del XX secolo, su posizioni generalmente esclusiviste, caratterizzate nel complesso da un rapporto conflittuale con tutti coloro che nel programma nazionalista arabo non potevano o non volevano riconoscersi del tutto. Irrigidito nel proprio obiettivo storico – indipendenza e unità, nel nome della originaria qawmiya (comunità araboislamica) – il nazionalismo arabo ha elaborato politiche, strategie e psicologie tendenzialmente sorde a tutto ciò che sembra metterlo in discussione. Il rapporto con le culture e le potenze straniere tende a ridursi – almeno nella retorica ufficiale – a due sole opzioni: ostilità o collaborazionismo. Il rapporto con le minoranze religiose e culturali, presenti da secoli all’interno dei territori a maggioranza arabo-islamica, diviene sempre più problematico. Come accecato dall’ansia di rigenerare la “arabità” ad ogni livello, il nazionalismo arabo tende a negare l’esistenza stessa di gruppi etnico-linguistici diversi da quello maggioritario e a negare loro qualsiasi forma di libertà culturale o di autonomia politica. La repressione, anche durissima, di queste minoranze viene giustificata con l’accusa di essersi fatte strumento dell’ingerenza straniera: coloniale prima, imperialista poi. A ben vedere, l’ostilità del nazionalismo arabo nei confronti dell’indipendenza ebraica in Medio Oriente (movimento sionista e stato di Israele) non si discosta da questo schema: una minoranza non-araba e non-islamica che rivendichi apertamente la propria autonomia e indipendenza rappresenta, agli occhi del nazionalismo arabo, un attentato al progetto di unità della nazione araba, condizione indispensabile per superare la situazione di decadenza e soggezione.» (Marco Paganoni, Ad rivum eundem. Cronache da Israele, Milano, Proedi, 2006, pp. 87 ss.)