I cessate il fuoco che Netanyahu accettava, Hamas violava e il Controllore di stato non vede

Non è dai giuristi né dal balletto delle accuse reciproche che Israele può apprendere come migliorare la propria difesa

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

La striscia di Gaza è controllata da un’organizzazione terroristica con una piattaforma antisemita che prevede l’annientamento degli ebrei. La comunità internazionale ha cercato più volte di raggiungere un qualche tipo di accordo con questa organizzazione. Il tentativo più rilevante è stato fatto dal Quartetto Onu, Unione Europea, Stati Uniti e Russia, ma non è servito. Hamas ha sempre rifiutato.

Hamas infatti preferisce l’industria della morte – razzi e tunnel terroristici – rispetto allo sviluppo del benessere. Agisce esattamente come le altre organizzazioni jihadiste internazionali. Tutto ciò che producono è distruzione. Ogni tanto subisce un colpo, accumula nuove energie per oliare gli ingranaggi dell’industria della morte, e trascina Israele in un nuovo round di combattimenti.

Nelle due settimane che precedettero l’inizio dell’ultimo round, l’operazione anti-terrorismo dell’estate 2014, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu cercò ripetutamente di evitare l’escalation verso una guerra a tutto campo. I razzi si abbattevano già su Israele, ma Netanyahu insisteva: tenne un discorso in cui disse a chiare lettere che alla calma Israele avrebbe risposto con la calma. La sinistra applaudiva, la destra si arrabbiava. E i razzi continuavano ad arrivare.

Dopo l’iniziò dell’operazione furono avanzate ripetute proposte e iniziative per un cessate il fuoco. Netanyahu le accettava, Hamas le violava sistematicamente. Il ministro Naftali Bennett, intanto, continuava a opporsi al cessate il fuoco. Quando venne formulato l’ultimo cessate il fuoco, quello che pose fine all’operazione, Bennett votò contro: “Non occorre un cessate il fuoco – disse – Occorre estinguere il fuoco”.

Joseph Shapira, attuale Controllore di stato israeliano

Ciò nonostante, nel suo recente rapporto il Controllore di stato israeliano ha stabilito che “il gabinetto di sicurezza non ha saputo discutere un’alternativa diplomatica né la grave situazione umanitaria nella striscia di Gaza”. Come, come? Un’alternativa diplomatica con Hamas che violava ogni cessate il fuoco raggiunto? E non mi risulta che il gabinetto di Harry Truman si occupasse della situazione umanitaria nella Tokyo bombardata, né che il gabinetto di Winston Churchill si occupasse della situazione umanitaria a Dresda. Non mi pare che l’amministrazione Obama abbia discusso a lungo della situazione delle tribù al confine tra Pakistan e Afghanistan costantemente sotto il fuoco a causa dei talebani che si nascondevano in mezzo a loro. Ma il Controllore di stato israeliano ritiene suo dovere ficcare il naso nelle considerazioni strategiche.

Detto per inciso, personalmente ritengo che il governo israeliano dovrebbe offrire a Hamas tutto: assistenza, fine del blocco anti-terrorismo, aiuto economico internazionale, un porto marittimo, un aeroporto e anche caramelle per i bambini palestinesi attaccate a ogni sacco di cemento importato a Gaza. Tutto, insomma, a un’unica condizione: che Hamas accetti il semplice principio della smilitarizzazione in cambio della prosperità. Cosa che Israele dovrebbe continuare a offrire più e più volte, anche se Hamas continua più e più volte a rifiutare.

Ma, con tutto il rispetto, questa è politica e non ha nulla a che fare con le competenze del Controllore di stato. Non ci fu solo l’offerta di Netanyahu “calma in cambio di calma” mentre Israele veniva già attaccato con i razzi e reagiva con moderazione e autocontrollo. Ci furono ben dodici offerte di cessate il fuoco a operazione iniziata: promosse o accettate da Israele, tutte respinte o violate da Hamas. Perfino voci della sinistra israeliana riconobbero gli “straordinari” tentativi di Netanyahu. Il Controllore ha gli occhi ma non vede, ha le orecchie ma non sente.

Ragazzini palestinesi in età scolare addestrati al terrorismo da Hamas

Non tutto può essere demandato ai magistrati. Giudici e giuristi non sanno nulla di guerra, non sanno nulla di politica, non sanno nulla di processo decisionale. E certamente non sanno nulla sul trarre lezioni dall’esperienza. C’è una cosa sola che sanno fare: cercare colpevoli. E’ nel loro DNA. Il loro modo di procedere è accusatorio: imputati, processo, sentenze. Ed ecco i risultati. La settimana scorsa, in Israele, nessuno sembrava impegnato a far tesoro delle conclusioni e trarre lezioni per il futuro. Sarebbe la cosa importante da fare, ma non è appassionante. La domanda più intrigante è: chi è il colpevole? Ancor prima che l’indagine avesse inizio, era chiaro che si sarebbe trattato di una procedura con dei sospetti da trasformare in colpevoli. “Questo rapporto è un atto d’accusa”, ha tuonato il capo dell’opposizione Isaac Herzog un giorno prima che il rapporto venisse pubblicato. Aveva ragione, ed è proprio qui il problema. Non abbiamo alcun bisogno di atti d’accusa, abbiamo bisogno di cambiamenti.

Non è una novità. E’ un rituale che si ripete. Ogni guerra e operazione militare degli ultimi decenni si è conclusa con aspre critiche. Vengono formulate raccomandazioni di cambiamenti, ma quello di cui tutti si occupano sono le accuse contro singoli individui. A Hamas non pare vero. Israele incolpa se stesso e si condanna per non aver saputo proporre “un’alternativa diplomatica”!

Non è che tutte le scelte fatte durante quell’operazione siano state perfette, naturalmente. Non è che non ci sia spazio per miglioramenti. Non è che non vi sia bisogno di critiche costruttive. Ma tutte queste cose non vengono fatte, e non saranno fatte, da commissioni d’inchiesta né dal Controllore di stato. Per esaminare le performance e i miglioramenti necessari non occorrono giuristi, giacché i giuristi sanno di guerre e strategie e processi decisionali ed esame delle performance quanto io so di farmacologia. Le commissioni d’inchiesta giuridiche nominate dall’epoca della guerra di Yom Kippur del ’73 fino ad oggi non hanno migliorato nulla sul piano pratico e operativo. Sembra più un rito vudu collettivo. E’ questo che ci serve per prepararci alle prossime operazioni a difesa del paese?

Ecco un bel compito per i parlamentari che vogliono pensare fuori dagli schemi: ideare un meccanismo  efficiente per studiare le operazioni e trarne utili conclusioni, al posto della giuridizzazione attuale. Abbiamo bisogno di politici e generali che si presentino davanti a questi comitati senza bisogno di avvocati, per dire dove hanno commesso un errore, dove si poteva fare diversamente, senza avere una spada di Damocle sopra la testa. Perché con una spada di Damocle sopra la testa, una persona normale cerca solo di sottrarsi alle responsabilità. Un sistema che crea accuse e incriminazioni non è un sistema che porta a utili cambiamenti. Abbiamo bisogno di una sensata opzione alternativa: non per salvare questo o quel generale, questo o quel politico, ma per salvare noi stessi.

(Da: YnetNews, 5.3.17)