I cinque fronti d’Israele (e non solo)

I leader del G7 dovrebbero ricordare che ciò che inizia come un attacco a Israele finisce sempre per diffondersi altrove, se i terroristi si sentono incoraggiati dall’inerzia internazionale

Di Liat Collins

Liat Collins, autrice di questo articolo

Un ufficiale israeliano ha parlato la scorsa settimana di un conflitto su cinque fronti. Li ho contati: Libano, Siria, Gaza, Cisgiordania e Iran. Quiz: trova l’elemento estraneo.

La Repubblica Islamica d’Iran è la principale fonte di conflitto, eppure non dovrebbe tecnicamente essere considerata un fronte. Iran e Israele non condividono un confine, o perlomeno non dovrebbero condividere un confine. L’Iran si trova a circa 1.500 chilometri di distanza. Ma quarant’anni fa, con la caduta dello scià e l’avvento della rivoluzione khomeinista, l’Iran dichiarò Israele suo nemico. E negli ultimi anni ha fatto di tutto per estendere la propria sfera di potere su paesi ed entità vicine. I tentacoli dell’Iran arrivano ora in Libano, Siria, Iraq e Yemen. Attraverso i suoi gregari e surrogati – Hamas, Jihad Islamica palestinese, Hezbollah, gli Houthi – l’Iran lancia attacchi contro obiettivi israeliani ed ebraici e contro l’Arabia Saudita, il suo rivale musulmano sunnita. Ecco perché le minacce e gli attacchi iraniani contro Israele dovrebbero essere presi sul serio da tutto il mondo.

La situazione si può facilmente riassumere così: tensioni a nord, a sud, a est e a ovest. Proprio mentre pensavo quanto fosse degno di nota il fatto che quest’anno il vertice dei leader mondiali G7 nella località francese di Biarritz non avesse messo in agenda il conflitto israelo-palestinese, ecco che il presidente francese Emmanuel Macron decideva di invitare il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif: una mossa probabilmente dettata sia dal desiderio del giovane politico francese di rafforzare la propria posizione di statista internazionale, sia dal suo tentativo di distogliere l’attenzione dai numerosi problemi in patria. Forse lo stesso si potrebbe dire del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che, alla sua eccentrica maniera, ha colto l’occasione per suggerire un incontro con il presidente iraniano Hassan Rouhani in cui discutere dell’accordo sul nucleare di Teheran. Rouhani, che non è il capo supremo in Iran – il capo dell’Iran è la Guida Suprema Ali Khamenei – ha respinto la mossa di Trump.

Rina Shnerb, 17 anni, di Lod, uccisa il 23 agosto da una bomba palestinese

Ma per la maggior parte degli israeliani il G7 è stato oscurato da eventi ben più vicini a casa. Venerdì 23 agosto Rina Shnerb, una ragazza che aveva appena festeggiato il suo 17esimo compleanno, è stata assassinata in un attacco terroristico particolarmente scioccante. Rina, suo padre Eitan e il fratello 19enne Dvir, che vivono a Lod, stavano facendo una gita presso una sorgente vicina a Dolev, nella regione di Benjamin (poco a nord di Gerusalemme ndr) quando sono stati investiti dall’esplosione di un ordigno che ha ucciso Rina all’istante, ha ferito gravemente suo fratello e ha inflitto ferite da schegge a suo padre. La morte di Rina giungeva a pochi giorni dall’assassinio di Dvir Sorek a Gush Etzion (poco a sud di Gerusalemme ndr). Gli attacchi terroristici in Giudea e Samaria (Cisgiordania) hanno dolorosamente ricordato che, sebbene le forze di sicurezza israeliane riescano a sventare in tempo centinaia di attentati ogni anno, non vi è alcuna garanzia che ogni cellula terroristica o lupo solitario venga catturato prima di compiere i suoi crimini.

Anche il sistema anti-missili “Cupola di ferro” non è infallibile, ma domenica 25 agosto ha salvato migliaia di vite e probabilmente ha evitato una guerra. Uno dei tre razzi palestinesi lanciati quella sera da Gaza è stato intercettato appena prima che si abbattesse su un affollato concerto all’aperto di fine estate nella città israeliana di Sderot. E’ stata un’altra di quelle occasioni in cui sono indotta a pensare che “Cupola di ferro” sia una sorta di moderno miracolo. L’estremo pericolo corso dal pubblico del concerto non è stato solo quello d’essere direttamente colpito dal razzo, ma anche quello molto reale di restare intrappolato in una calca mortale. I filmati hanno mostrato una situazione spaventosa in cui metà della folla si precipitava verso i cancelli mentre l’altra metà, compresi bambini piccoli, era stesa a terra. Non c’è da stupirsi che il locale centro d’assistenza post-trauma sia stato inondato da persone di ogni età in preda agli effetti dello shock. È stato un incubo, si è sfiorata una tragedia.

Attacco Hezbollah e risposta israeliana, domenica, al confine fra Israele e Libano

Se fossero rimaste uccise delle persone – dal razzo, dalle schegge o dalla calca – Israele avrebbe dovuto reagire con durezza. Ma i residenti locali ritengono giustamente che, in ogni caso, nessun paese dovrebbe considerare accettabile il regolare lancio di razzi sui suoi cittadini. In che punto esattamente la mancanza di una severa risposta si trasforma, da meritevole tentativo di prevenire un’ulteriore escalation, in un danno irreparabile alla deterrenza e diventa parte del problema?

Questi dilemmi che Israele si trova ad affrontare appiano evidenti anche sul fronte settentrionale. Qui gli eventi si sono sviluppati a un ritmo vertiginoso, ma avvolti in una nuvola di oscurità. Nel giro di pochi giorni, stando a quanto viene riferito, l’aeronautica israeliana ha colpito diversi obiettivi militari iraniani in Siria, Libano e Iraq. Tra questi, una unità affiliata alla Forza al-Quds del Corpo della Guardia Rivoluzionaria islamica iraniana stanziata nel villaggio di Aqrabah, a sud-est di Damasco. A quanto risulta, la forza si stava preparando a lanciare un attacco su Israele con droni multipli suicidi. Due membri di Hezbollah sarebbero stati uccisi nell’attacco. Mi è subito tornato in mente l’incidente dell’anno scorso quando un drone iraniano carico di esplosivo era penetrato nello spazio aereo israeliano dalla base aerea siriana T-4 ed era stato intercettato e abbattuto dalla forza aerea israeliana vicino a Beit Shean.

In Libano, Hezbollah ha affermato che nelle prime ore di domenica 25 agosto due droni israeliani si erano schiantati contro il centro mass-media dell’organizzazione, nel quartiere Dahiyeh di Beirut. Più tardi, un reportage del Times of London sosteneva che i droni avevano preso di mira il programma missilistico di Hezbollah, e in particolare dei contenitori con macchinari atti a miscelare propellenti di alta qualità per missili guidati di precisione. Altri esperti hanno detto che i droni abbattuti non erano israeliani ma iraniani. Secondo quanto viene riferito, Israele avrebbe anche colpito un magazzino di armi in una base del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-Comando Generale nella valle libanese della Bekaa. E’ stato anche colpito un convoglio di milizie sciite nell’Iraq occidentale.

Sebbene i dettagli certi siano pochi, un tema comune è chiaro: accanto alle minacce ormai familiari di attentati e lanci di razzi, l’era della guerra coi droni è ormai iniziata. Israele sta senza dubbio lavorando alla ricerca di soluzioni tecnologiche contro le nuove minacce poste da un massiccio attacco di droni, così come ha saputo sviluppare “Cupola di ferro” contro i razzi.

Nel frattempo, è chiaro che le azioni di questa settimana hanno anche una dimensione psicologica. Come Hamas e Hezbollah mirano a incutere paura negli israeliani, così Israele sa che la deterrenza è forza. A parte gli aspetti militari certamente importanti, c’è il messaggio altrettanto importante che l’intelligence israeliana tiene d’occhio i suoi nemici ovunque si trovino, e che Israele è in grado di agire sulla base di queste informazioni.

Mentre gli israeliani continuavano ad andare in gita e ai concerti, il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah ha formulato minacce contro Israele parlando da quello che conta essere il suo sicurissimo bunker. Gli orrendi gemelli terroristi Hamas e Hezbollah prendono nota attentamente della risposta di Israele ai loro attacchi, alle minacce e alle provocazioni. Loro, e il loro sponsor iraniano, vogliono anche vedere come reagisce il resto del mondo. I leader che si sono riuniti al vertice del G7 dovrebbero ricordare che ciò che inizia come un attacco a Israele finisce inevitabilmente per diffondersi altrove quando le organizzazioni terroristiche si sentono incoraggiate dall’inerzia internazionale. È tempo che l’Occidente si renda conto che l’Iran non è un fronte solo per Israele.

(Da: Jerusalem Post, 29.8.19)