I Mondiali in Qatar: una tragedia araba

La prima Coppa del Mondo in Medio Oriente è diventata una farsa internazionale, un'atrocità morale e una metafora del secolo dello sperpero delle ricchezze naturali arabe

Di Amotz Asa-El

Amotz Asa-El, autore di questo articolo

Fu uno dei momenti più appassionanti della storia dello sport. Il viso stravolto dal dolore mentre si avviava all’ultimo giro della corsa di 5.000 metri delle Olimpiadi di Helsinki del 1952 dietro ad altri tre corridori, il cecoslovacco Emil Zatopek accelerò improvvisamente, superò uno a uno i tre avversari e vinse la medaglia d’oro. Avendo già vinto nei 10.000 metri decise poi di correre la maratona, per la prima volta nella sua vita, e vinse anche quella, stabilendo record olimpici in tutte e tre le gare. Zatopek ne emerse come un simbolo di tutto ciò che lo spettacolo dello sport dovrebbe promuovere: impegno, resistenza, forza di volontà, umiltà e anche idealismo. “Un atleta non può correre con i soldi in tasca – disse – Deve correre con la speranza nel cuore e i sogni nella testa”.

Il candido appello di Zatopek a tenere separati denaro e sport è andato in frantumi già da molto tempo, in particolare con la vendita di sponsorizzazioni aziendali ai Giochi Olimpici di Los Angeles del 1984, e poi con lo schieramento nel 1992 del dream team statunitense, con star della NBA come Michael Jordan, Larry Bird e Magic Johnson che sicuramente gareggiavano con i soldi in tasca. Tuttavia, la conquista dello sport da parte del denaro non è mai stata così estrema, sfacciata, corrotta e disumana come nel caso della Coppa del Mondo di calcio aperta domenica in Qatar, e che si è già squalificata come una farsa internazionale, un’atrocità morale e una tragedia araba.

La scelta stessa del Qatar per ospitare la Coppa del Mondo, l’evento televisivo più seguito dall’umanità, è stata assurda. Con meno di 400mila cittadini e quindi privo della base di tifosi e degli stadi necessari per ospitare una Coppa del Mondo, la candidatura del Qatar era terribilmente inferiore a quelle di Australia, Giappone, Corea e Stati Uniti. Ovvio che il successo della sua candidatura abbia suscitato forti sospetti di corruzione.

Circondata da amiche e da quattro delle sue figlie, Laduwati mostra la foto di suo marito, Gangaram Mandal, morto in Qatar. La famiglia non ha ricevuto alcun indennizzo dal datore di lavoro (The Guardian, 1.4.22)

Nel gennaio 2011 un reportage del Wall Street Journal affermava che il Qatar aveva fatto dubbi investimenti in “accademie del calcio” nei paesi d’origine dei dirigenti elettori e che aveva pagato 3 milioni di dollari alla star del calcio francese Zinedine Zidane per sostenere la propria candidatura. Secondo servizi della stampa britannica, i funzionari della FIFA (l’organo di governo del calcio mondiale) che hanno votato per il Qatar avrebbero ricevuto milioni di dollari. Nel 2019, il Sunday Times riferiva che tre settimane prima del voto l’emittente statale del Qatar Al Jazeera aveva offerto alla stessa FIFA 400 milioni di dollari. Altri 100 milioni di dollari vennero promessi se la candidatura del Qatar avesse vinto, un caso evidente di conflitto di interessi per la FIFA. Ma ciò che il Qatar si proponeva di acquistare, la FIFA lo ha prontamente venduto. E fu solo l’inizio di una folle baldoria di acquisti.

Il Qatar ha comprato otto stadi con tappeto erboso importato ed enormi sistemi di condizionamento dell’aria. Ha comprato praticamente l’intera forza lavoro richiesta da questa impresa gigantesca. E ora si scopre che il Qatar ha comprato anche i tifosi pagando viaggio, alloggio e biglietti d’ingresso allo scopo di riempire gli stadi che gli altri paesi candidati avrebbero facilmente riempito alla massima capacità. Il Qatar ha persino importato gran parte dei giocatori della sua squadra nazionale, fino a quando le critiche straniere non l’hanno costretto a ridurne il numero.

Seduto sopra uno dei più grandi giacimenti estrattivi pro capite del mondo, per il Qatar il denaro non è mai stato un problema: ha speso l’astronomica cifra di 220 miliardi di dollari (quasi 10 volte ciò che Israele spende in un anno per la difesa) per un evento che dura un mese. Fortunatamente, ha utilizzato parte di quella fortuna per costruire hotel, strade, un aeroporto e un sistema metropolitano che torneranno utili per anni. Disgraziatamente, ha fatto tutto questo a un prezzo moralmente intollerabile. Gli imponenti lavori pubblici per la Coppa del Mondo in Qatar non sono un progetto del Qatar per la prosaica ragione che non esiste un popolo del Qatar: esistono solo diverse tribù la cui popolazione complessiva è inferiore a quella di Arlington, in Texas (di Palermo o di Bologna, in Italia ndr). Il Qatar ha quindi affittato la massiccia forza lavoro che ha materialmente costruito il suo mega-progetto: 30.000 lavoratori stranieri secondo i suoi stessi dati. Molti di questi sono da annoverare fra i 6.500 lavoratori stranieri che sono morti in Qatar dopo che il paese ha vinto la candidatura ai Mondiali, stando a un’inchiesta pubblicata l’anno scorso dal Guardian. Dietro a questo numero spaventoso si cela una cultura di abusi sui lavoratori, alloggi subumani, passaporti sequestrati, cibo e paghe che il New York Times in un reportage del 2013 ha definito “schiavitù a contratto”. Domenica, mentre miliardi di spettatori assisteranno alla partita iniziale tra Qatar ed Ecuador nello stadio Al-Bayt a forma di tenda, il sangue dei lavoratori che lo hanno costruito griderà da sotto i suoi 60.000 posti a sedere e il tetto retrattile.

Tra le vittime della Coppa del Mondo in Qatar bisogna annoverare non solo i lavoratori indiani, pakistani, bengalesi e altri ingaggiati dall’Asia meridionale, ma anche i milioni di lavoratori arabi che non sono stati assunti. Come ha sempre fatto con il resto della sua forza lavoro straniera – che ammonta a circa cinque volte la popolazione nativa – il Qatar ha evitato di assumere lavoratori provenienti da terre arabe più povere, come il vicino Egitto, sebbene siano connazionali arabi che parlano la stessa lingua del Qatar e praticano la sua fede sunnita. Se il Qatar avesse davvero a cuore i suoi fratelli arabi – come lascia sempre intendere la copertura del conflitto israelo-palestinese fatta dalla sua celebre tv Al-Jazeera – avrebbe trasformato la Coppa del Mondo in una celebrazione panaraba di sviluppo e solidarietà, programmando delle partite in altri paesi arabi alcuni dei quali – come Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia – sono veri protagonisti del calcio. Ma niente del genere è passato per la mente dei dirigenti del Qatar.

L’egoismo ha caratterizzato la condotta del Qatar non meno della crudeltà, della sfarzosa cafonaggine e dell’avidità che hanno finito col generare una vera e propria metafora dell’abuso economico e dell’abuso morale fatto dal petrolio arabo per quasi un secolo: il Secolo Arabo di tesori sperperati, dignità screditata e speranze perdute.

(Da: Jerusalem Post, 20.11.22)