I nemici di Israele dovranno prendersela anche con il Louvre. Ecco perché

Difficile distruggere tutte le testimonianze, abbondanti e in costante aumento, delle antiche radici del popolo ebraico in Terra d'Israele

Di Stephen M. Flatow

Stephen M. Flatow, autore di questo articolo

L’Autorità Palestinese e i suoi sostenitori hanno un nuovo nemico con cui fare i conti: il Louvre. Il museo più visitato al mondo, la famosa istituzione francese che custodisce alcune delle più grandi antichità e opere d’arte, potrebbe ritrovarsi nelle liste del boicottaggio anti-israeliano in giro per il mondo.

Infatti, tra le celeberrime collezioni del Louvre si trova una lastra di pietra con un’iscrizione che conferma l’antico legame del popolo ebraico con la Terra d’Israele. La pietra, nota come Stele di Mesha, fu scoperta originariamente nel 1868 vicino al Mar Morto, ma la sua iscrizione, scritta nella lingua degli antichi moabiti, era solo parzialmente comprensibile a causa di secoli di usura e danneggiamenti.

L’iscrizione parla di una guerra tra il re Mesha di Moab e gli ebrei: lo stesso conflitto descritto dalla Bibbia nel terzo capitolo del Libro dei Re. Di più. L’iscrizione sembra contenere le parole “Casa di David”, ma i danni subiti dal manufatto avevano finora impedito di provare in modo definitivo la presenza di queste parole.

Di recente, linguisti e storici associati a un progetto di ricerca della University of Southern California hanno analizzato il reperto con una nuova tecnologia chiamata Reflectance Transformation Imaging che “prende immagini digitali di un manufatto da diverse angolazioni e poi le combina per creare una resa digitale precisa e tridimensionale del pezzo”, come viene spiegato in un articolo pubblicato sulla Biblical Archaeology Review da due dei ricercatori, André Lemaire e Jean-Philippe Delorme. L’analisi con la nuova tecnologia ha permesso di leggere la sezione danneggiata della stele. Come si ipotizzava da tempo, l’iscrizione si riferisce effettivamente alla “Casa di Davide”. Sicché, ancora una volta, le scoperte archeologiche confermano eventi registrati da tempo nella Bibbia ebraica.

La Stele di Mesha, conservata al Louvre di Parigi

Com’è come non è, quello che non è menzionato affatto in questa e nelle altre iscrizioni antiche è il termine “Palestina” o “palestinesi”. I rappresentanti dell’Autorità Palestinese ripetono in continuazione che i veri abitanti e detentori originari della Terra Santa sono gli arabi palestinesi, le cui origini risalirebbero a migliaia di anni fa. Proprio lo scorso dicembre, in un’intervista all’agenzia di stampa Al-Arabiya il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen ha affermato: “Il popolo palestinese [arabo musulmano] esiste dall’alba dei tempi. Noi siamo qui sin dai giorni dei Cananei”.

Grazie ai ricercatori della University of Southern California, ora possiamo comprendere meglio il recente documento redatto da funzionari dell’Unione Europea che delinea la strategia per aiutare l’Autorità Palestinese a rivendicare come proprio un territorio che, in base a quanto stabilito dagli Accordi di Oslo, ricade nella parte controllata da Israele nota come Area C (e la cui sovranità non è “palestinese” ma oggetto di futuro negoziato ndr). Un paragrafo del documento “riservato” dell’Unione Europea fa esplicito riferimento alla necessità di “monitorare gli scavi archeologici israeliani nell’Area C”. Beh, hanno ragione a preoccuparsi degli scavi archeologici perché ogni volta che gli archeologi scavano, trovano nuove prove delle profonde radici degli ebrei in Terra Santa. A volte non c’è nemmeno bisogno che lo dicano gli archeologi, possono farlo anche i bambini. Letteralmente. Un paio di mesi fa, tre scolari israeliani di quarta elementare si sono imbattuti in una lampada a olio di duemila anni fa, portata alla luce da lavori di edilizia vicino al kibbutz Parod, in Galilea. Quello che salta fuori è che c’erano molti ebrei che vivevano in Galilea duemila anni fa, ma nessun “palestinese”.

Cosa possono fare gli arabi palestinesi con questi temibili bambini, per non parlare di tutti quei temibili archeologi? Possono cercare di distruggere le prove. Il quotidiano Israel HaYom ha riferito che arabi palestinesi hanno causato “danni irreparabili” nel Parco Nazionale di Samaria dove “si trovano importanti resti storici dell’era del Primo Tempio”. I vandali palestinesi sono così fieri della loro profanazione della storia che hanno persino pubblicato su Facebook le foto della loro impresa.

Ma l’Autorità Palestinese e i suoi sostenitori dovranno spingersi ben oltre, se vogliono distruggere tutte le testimonianze, abbondanti e in costante aumento, delle antiche radici del popolo ebraico in Terra d’Israele. Dovranno spingere la loro furia fino al Louvre di Parigi.

(Da: ins.org, 17.1.23)