I nostri punti spezzati

A Yom HaZikaron ci viene ricordato che tutti noi abbiamo perso qualcuno: il terribile prezzo che abbiamo pagato per essere liberi

Di Benjamin Kerstein

Benjamin Kerstein, autore di questo articolo

“Il mondo spezza tutti quanti – ha scritto Ernest Hemingway in Addio alle armi – e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza, li uccide. Uccide imparzialmente i molto buoni e i molto gentili e i molto coraggiosi. Se non siete fra questi potete esser certi che ucciderà anche voi, ma senza particolare fretta”. Hemingway non era né ebreo né israeliano, ma quando scrisse queste righe avrebbe potuto esserlo. Forse nessun popolo e nessun paese è stato spezzato tante volte quanto noi, e siamo diventati forti nei punti spezzati, ma sappiamo anche, con terribile intimità, che il mondo uccide imparzialmente chi è molto buono, molto gentile, molto coraggioso.

Da lunedì sera a martedì sera Israele rende omaggio a quella frattura. Yom HaZikaron, il nostro Memorial Day, ci permette di celebrare ognuno dei nostri molto buoni e molto gentili e molto coraggiosi che il mondo ha ucciso, e di chinare il capo mentre suonano le sirene, ricordandoci che queste fratture sono eterne. Sono il prezzo, il terribile prezzo che abbiamo pagato per essere liberi. In quei momenti, non pensiamo se fosse il prezzo da pagare. Non importa. Ciò che conta è onorare coloro che l’hanno pagato e deplorare il mondo che li ha costretti a farlo.

Recandoci nei cimiteri e accendendo le nostre candele, ricordiamo anche a noi stessi che ci siamo spezzati da loro. Forse sappiamo, in quei momenti, che non avevamo scelta, perché il mondo uccide chi non si spezza, e se c’è un principio che ha sostenuto il popolo ebraico lungo tutta la nostra lunga e sanguinosa storia è quello di sopravvivere, sopravvivere a tutti i costi, sfidare la malvagità del mondo continuando ad essere.

In Israele, questo è un modo di stare al mondo. Non solo per la storia, ma perché in un paese così piccolo come il nostro il mondo davvero spezza tutti. A Yom HaZikaron ci viene ricordato che tutti noi abbiamo perso qualcuno o conosciamo qualcuno che ha perso qualcuno. Non c’è casa in cui non ci sia stata morte.

“Chiniamo il capo mentre suonano le sirene, ricordandoci che queste fratture sono eterne”

Per me, il punto spezzato è un professore con cui ho studiato all’Università Ben-Gurion di nome Michael Feige. Era un insegnante gentile e compassionevole che ebbe pietà di un giovane che all’epoca parlava a malapena l’ebraico, e che assecondò i miei incerti tentativi di conseguire una laurea in quella lingua. Senza di lui, e altri accademici come lui, non avrei potuto farcela. Alcuni anni dopo che mi sono laureato, Michael Feige venne assassinato in un attentato con armi da fuoco. Poiché il nostro Memorial Day onora con i soldati caduti anche le vittime civili del terrorismo, ogni anno vado sul sito web delle Forze di Difesa israeliane e accendo una candela virtuale in sua memoria. Piango la perdita di un’altra vita, di un altro mondo, di un’altra mente brillante, di un altro essere umano, di un altro ebreo.

E mi chiedo cosa voglia di più il mondo da noi. Quante altre vite? Vorrei chiedere. Quanto sangue ancora? Non ne hai avuto abbastanza? Dacci un numero, fetido cannibale, così sapremo almeno quando sarà finita. E non arriva nessuna risposta.

Poi Yom HaZikaron finisce e, all’istante, inizia Yom HaAtzmaut, il Giorno dell’Indipendenza, con le sue gioiose celebrazioni, i fuochi d’artificio, i bambini che corrono per le strade spruzzando schiuma da barba sui passanti e l’onnipresente felicità per il miracolo della nostra risurrezione e liberazione. Alcuni ritengono che questo sia irragionevole, che ci dovrebbe essere almeno un giorno frapposto tra le due celebrazioni, che l’improvviso passaggio dal lutto alla gioia è troppo brusco e persino irrispettoso nei confronti del dolore e dei morti.

Non sono considerazioni infondate. Eppure, in un certo qual modo questo passaggio così repentino invia un messaggio importante, a noi e al mondo: Israele esiste perché il popolo ebraico ha sfidato un mondo malvagio, non solo fondando uno stato ebraico ma sopravvivendo per secoli a tutto ciò che il mondo poteva tirarci contro, anche i peggiori crimini della storia umana. Il nostro pianto mostra al mondo che sì, può commettere le sue malvagità, può spezzarci ancora e ancora, ma sappiamo che il mondo spezza tutti e che i forti non sono quelli che non si spezzano mai. Subito dopo, la nostra gioia ci ricorda che da questa continua frattura scaturisce il diritto di celebrare che, nonostante tutto questo, nonostante i più grandi sforzi del mondo, siamo diventati forti nei punti spezzati. Siamo noi che diciamo: ce la faremo, ti sfideremo, ti sconfiggeremo, ti spezzeremo, ma senza particolare fretta.

(Da: jns.org, 23.4.23)