I nostri ragazzi prima di tutto

Una semplice verità: i soldati israeliani non uccidono mai in modo indiscriminato

Da un articolo di Eitan Haber

image_2580Nei giorni precedenti la guerra dei sei giorni (1967), i siriani sparavano quotidianamente ai veicoli di pattuglia delle Forze di Difesa israeliane. E io, da impavido corrispondente di affari militari, cercavo di descrivere per i miei lettori queste pattuglie pur sapendo che, al momento in cui il nostro servizio di pattuglia giornaliero fosse arrivato in un certo punto, avrebbe subito un pesante fuoco nemico.
Quel giorno il comandante della pattuglia era il compianto colonnello Haim Sela. Arrivammo vicino alle postazioni siriane, ma non accadde nulla. Quel giorno ne scrissi sul giornale, ringraziando in silenzio il Signore e la mia buona sorte per non aver incontrato il fuoco siriano.
Il giorno seguente ripetemmo lo stesso tragitto. Avvicinandoci alla postazione siriana, trattenevamo il respiro. Eravamo tesi. Non è possibile dare un’idea di questa tensione, quando una persona sa che la sua vita è appesa a un filo. Qualunque soldato che abbia mai preso parte a un’operazione contro forze nemiche potrebbe descrivere meglio di me quei minuti e quei secondi di angoscia.
Poi, improvvisamente, quando eravamo vicini alla postazione siriana, un portachiavi cadde dalla tasca di uno dei soldati facendo lo stesso rumore di un proiettile. Un attimo dopo tutta la terra tremava, tutti sparavano a in ogni direzione; si unì anche l’artiglieria, e poi i mezzi corazzati. Si scatenò l’inferno. Noi, i giornalisti, stavamo inginocchiati nel veicolo militare pregando Dio, la mamma e il papà di salvarci da quel finimondo.
Quello che sto per scrivere non è specificamente rivolto ai membri di “Breaking the Silence” (Rompere il silenzio): agiscono in base alla loro coscienza, e talvolta anche noi ci diciamo: è un bene che fra noi ci sia gente come loro. E poi non v’è dubbio che hanno vissuto momenti difficili, in guerra e durante le operazioni difensive di routine. Il problema nasce dal fatto che essi non vogliono prendere in considerazione il vero problema, o almeno così sembra.
In guerra spesso una frazione di secondo può fare la differenza tra un sospiro di sollievo e il sospiro di dolore dei genitori, alcune ore più tardi, quando gli ufficiali dell’esercito bussano alla loro porta. In molte occasioni, durante una battaglia, si tratta di “noi o loro”, e a volte “loro” significa una donna che camminava nell’ombra, un uomo che sbirciava al momento sbagliato, o addirittura un bambino curioso.
Ho visto molte cose nella mia vita, e purtroppo ho visto anche i corpi smembrati di bambini, donne e vecchi che hanno pagato con la loro vita il prezzo della guerra. Non esiste una guerra asettica. La questione è se “Breaking the Silence” capisce che i soldati temono per la loro vita, e temono il fuoco nemico.
Questo non significa, Dio non voglia, che i soldati israeliani non abbiano il dovere di essere doppiamente attenti, o che le nostre truppe abbiano il grilletto facile, ma dobbiamo dire chiaramente quanto segue, per quanto crudele possa sembrare: in guerra molti civili innocenti muoiono anche, ma non solo, perché i soldati, anche quelli israeliani, cercano di salvare la propria vita, e per loro la loro vita è più importante di quella degli altri. La guerra non è un gioco.
Tutti quei rispettabilissimi membri di “Breaking the Silence” avrebbero dovuto operare perlomeno una netta distinzione tra spensierate uccisioni indiscriminate ai limiti dell’incosciente allegria, e – tutt’altra cosa – l’adozione di misure precauzionali, magari anche eccessive, ma volte soltanto a evitare di subire danni. È così che funziona. I nostri ragazzi vengono prima di tutto.
Le Forze di Difesa israeliane, e questa è la verità, esaminano ogni singolo caso di questo tipo, traggono conclusioni e a volte puniscono più severamente degli eserciti di altri paesi. Quando un giorno, ad esempio, avremo accesso alle vicende dell’esercito americano in Iraq, verrà fuori che, in confronto, quello israeliano era un convento di santi.
È bene che ne parliamo, che traiamo conclusioni e apprendiamo insegnamenti, e che indaghiamo e incriminiamo e puniamo. Tuttavia dobbiamo dire questo a noi stessi: la vita dei nostri ragazzi è più preziosa di quella di chiunque altro, la cui morte peraltro compiangiamo sinceramente.

(Da: YnetNews, 27.07.09)

Nella foto in alto: Eitan Haber, autore di questo articolo, fu a lungo consigliere di Yitzhak Rabin, nonché uno dei negoziatori degli Accordi di Oslo e del Trattato di pace fra Israele e Giordania