I nuovi problematici amici di Israele: l’eterno dilemma fra interessi e valori

Israele è uno stato che deve tutelare i propri interessi, ma è anche uno stato ebraico che si fonda su valori etici non negoziabili

Analisi di Moshe Arens, Herb Keinon, Nadav Eyal

Moshe Arens

Scrive Moshe Arens: Quando si scelgono gli alleati con cui contrapporsi a un nemico comune è perfettamente legittimo bilanciare interessi e valori. Winston Churchill e Franklin Roosevelt scelsero di allearsi con la feroce dittatura comunista di Stalin nella guerra contro la Germania nazista. Senza la partecipazione dell’esercito sovietico, l’obiettivo sarebbe stato irraggiungibile. Gli interessi nazionali fecero premio sulle pure differenze ideologiche, e fu giusto così. Non è facile trovare casi altrettanto netti. Molte alleanze forgiate dagli Stati Uniti con l’”uomo forte” di turno in varie situazioni locali si sono rivelate sbagliate. In quei casi, il pericolo che correvano gli Stati Uniti non giustificava l’accantonamento dei valori ideologici in nome di un’alleanza con dittatori che non avevano alcun rispetto per quei valori. Nella maggior parte dei casi non si trattava d’altro che di matrimoni d’interesse.

Oggi, dopo le rivelazioni del macabro assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, gli Stati Uniti e Israele dovranno operare una scelta nei loro rapporti con l’Arabia Saudita, vista finora come un affidabile alleato nel tenere a freno la minaccia dell’espansionismo e del terrorismo iraniano in Medio Oriente. L’Arabia Saudita, il paese arabo più esteso e più forte, vede giustamente nell’attuale regime iraniano un nemico implacabile che mira alla sua distruzione, nel quadro del suo espansionismo in Medio Oriente. Ed è visto a Washington e Gerusalemme come un naturale e prezioso alleato contro un nemico comune. Gran parte di ciò che si sapeva del regime dittatoriale e arbitrario in vigore in Arabia Saudita è stato opportunamente ignorato in nome dell’”interesse nazionale”.

A sinistra, il giornalista saudita Jamal Khashoggi. A destra, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman

Ma le recenti rivelazioni circa il premeditato omicidio di Khashoggi nel consolato saudita ad Istanbul, cui ha fatto seguito quello che il presidente Usa Donald Trump ha definito “la peggiore operazione di insabbiamento della storia”, richiede una revisione di questa posizione. A questo punto sembra quasi bizzarro cercare un equilibrio tra gli interessi nazionali americani e israeliani e il plateale disprezzo degli ideali di giustizia e diritto che caratterizza l’Arabia Saudita. Non è possibile alcun equilibrio. Nulla può giustificare la recente conferma di come si comporta il regime saudita, e un’alleanza con i governanti sauditi non può che mettere in dubbio la natura morale di qualunque alleanza.

Per quanto riguarda l’interesse nazionale, Stati Uniti e Israele sono in grado di fronteggiare la minaccia iraniana con l’aiuto dei loro alleati, e persino da soli se necessario. Il regime iraniano è sull’orlo della bancarotta e un’azione risoluta da parte di Washington e Gerusalemme può contrastare i suoi piani, e fors’anche mettere in ginocchio quel regime. La cooptazione del regime saudita in questa alleanza può solo indebolire l’impresa mettendone in dubbio il fondamento morale. E Israele non dovrebbe tirarsi indietro solo perché è il paese più minacciato dai piani del regime iraniano. Anzi, dovrebbe farsi promotore di questa scelta, che non ha bisogno di aspettare ulteriori prove. Ciò che occorre sapere, si sa già. Oltretutto, una tale decisione potrebbe persino accelerare quei cambiamenti di cui c’è così evidentemente bisogno in Arabia Saudita: un possibile effetto collaterale positivo.
(Da: Ha’aretz, 30.10.18)

Herb Keinon

Scrive Herb Keinon: Lunedì scorso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è congratulato con l’ultraconservatore populista Jair Bolsonaro per la sua vittoria nelle elezioni presidenziali in Brasile. “L’ho chiamato – ha twittato Netanyahu – e gli ho detto che sono certo che la sua elezione porterà a una grande amicizia tra i nostri popoli e a un rafforzamento dei legami tra Brasile e Israele. Aspettiamo la sua visita in Israele”. Nel giro di pochi minuti la Twitter-sfera si è riempita di messaggi che accusano Netanyahu di andare di nuovo a braccetto con leader autoritari. Molti tweet l’hanno fatto elogiando per contro l’ex presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva, descritto come “un uomo del popolo”. Bolsonaro ha sconfitto il candidato del Partito dei Lavoratori Fernando Haddad, sostenuto da Lula, l’ex-presidente oggi in prigione per corruzione. I benpensanti di tutto il mondo sono inorriditi dal fatto che Netanyahu si congratuli con Bolsonaro, un uomo contraddistinto da un pessimo curriculum di dichiarazioni contro gay, donne e minoranze.

Ma la domanda è: Israele dovrebbe davvero auspicare un altro leader in Brasile che insista nella politica di quelli precedenti, apertamente ostile verso lo stato ebraico? Come si comportò Lula con Israele, quando era al potere? Nel 2009 si oppose alle sanzioni contro l’Iran volte a fermare il programma nucleare di Teheran, e ospitò in Brasile con tutti gli onori l’allora presidente iraniano, il fanatico antisemita Mahmoud Ahmadinejad.

L’allora presidente brasiliano Lula depone una corona di fiori sulla tomba di Yasser Arafat

L’anno seguente restituì la visita recandosi a Teheran. Nel 2010, durante la sua visita in Israele, Lula si rifiutò di deporre una corona di fiori sulla tomba di Theodor Herzl a Gerusalemme, come gli chiedeva allora il protocollo israeliano, ma non esitò ad avvolgersi in una kefiah e andare a deporre una corona sulla tomba di Yasser Arafat a Ramallah (forse, di fronte alle scelte dell’attuale governo israeliano, dovrebbero farsi un esame di coscienza tutti quei liberal illuminati che per decenni hanno tollerato, quando non attivamente promosso, l’isolamento e l’umiliazione sistematica di Israele ndr).

Sempre nel 2010, Lula riconobbe lo “stato palestinese” (senza attendere un accordo negoziato con Israele), una mossa che spinse un certo numero di altri paesi sudamericani a fare altrettanto. Il successore di Lula, Dilma Rousseff, anch’essa del Partito dei Lavoratori, ritirò l’ambasciatore brasiliano da Israele per consultazioni come forma di protesta per l’operazione anti-Hamas a Gaza dell’estate 2014, e nel 2015 si rifiutò di accogliere come ambasciatore israeliano a Brasilia Dani Dayan perché risiede al di là della “linea verde”. Sotto i governi del Partito dei Lavoratori, il Brasile ha votato quasi sempre contro Israele nei forum internazionali e si è posto alla testa delle linea dura contro Israele nel gruppo dei paesi BRICS: Brasile, India, Cina, Russia e Sudafrica.

Un recente comizio di Jair Bolsonaro

Ora arriva Bolsonaro, un cristiano evangelico che dice che il suo primo viaggio all’estero sarà in Israele, che vuole spostare l’ambasciata del suo paese a Gerusalemme, che vuole chiudere l’ambasciata palestinese in Brasile perché “la Palestina” non è “uno stato”, e che vuole approfondire la cooperazione con Israele per tutto ciò che lo stato ebraico può insegnare e offrire al suo paese. E cosa dovrebbero dire Netanyahu e Israele? “No grazie, preferiremmo Lula e quelli come lui perché le loro tendenze sono più liberali e illuminate?”. Quale stato agirebbe in questo modo? Forse che la Francia rompe i rapporti con la Cina a causa del pessimo curriculum di Pechino in fatto di diritti umani? Forse che l’India si rifiuta di avere a che fare con il presidente russo Vladimir Putin perché non è un democratico alla Thomas Jefferson?

Con l’ascesa elettorale di leader populisti di destra un po’ in tutto il mondo, Israele si trova sempre più spesso con amici problematici, come Viktor Orban in Ungheria e Rodrigo Duterte nelle Filippine. Ma un governo può accogliere le politiche di un leader verso il proprio paese senza accettare per questo tutto ciò che quel leader fa e dice. Netanyahu può accogliere le nuove politiche del leader brasiliano nei confronti di Israele senza abbracciare l’intero pacchetto di Bolsonaro. Se Bolsonaro manterrà le sue promesse elettorali verso Israele, le politiche mediorientali del suo importante paese potrebbero cambiare drasticamente e questo è un bene per Israele e per il Medio Oriente. Ciò non significa che Israele debba accettare tutto ciò che il leader brasiliano rappresenta. Ma i paesi hanno interessi concreti, e uno spostamento della politica brasiliana verso una posizione più equilibrata è qualcosa che risponde sicuramente all’interesse di Gerusalemme: che è precisamente il motivo per cui Netanyahu si è congratulato con il nuovo presidente sudamericano.
(Da: Jerusalem Post, 31.10.18)

Nadav Eyal

Scrive Nadav Eyal: I paesi, e in particolare Israele, devono tener conto di considerazioni morali e liberali quando si tratta delle relazioni estere? E’ una domanda che risuona spesso e che onestamente non ha una risposta ovvia. Le relazioni diplomatiche si basano principalmente sugli interessi. Il continuo tentativo di “incivilire” altri regimi, molti dei quali non democratici, non è necessariamente efficace, e quando viene promosso dalle superpotenze ha raramente successo. Un chiaro esempio è la condotta degli Stati Uniti negli anni ’90, ed è certo che tentativi analoghi da parte di Israele sarebbero ancora meno efficaci.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha degli obiettivi immediati: promuovere politiche favorevoli alle posizioni di Israele, ad esempio con il trasferimento delle ambasciate a Gerusalemme. Coloro che sono disposti a collaborare, che siano il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, il primo ministro ungherese Victor Orbán o il neo presidente brasiliano Jair Bolsonaro, saranno considerati interlocutori legittimi. E’ questo l’argomento che si sente ripetere quando un autocrate, o un leader democraticamente eletto, mirano a limitare le libertà nel loro paese ma sostengono Israele. E’ un argomento che va contestato poiché si basa su un errore grave, che comporta conseguenze di vasta portata.

Innanzitutto, la politica estera non si basa esclusivamente su politiche a breve termine, ma principalmente su relazioni a lungo termine. Cosa succederà dopo Orbán, dopo Duterte, dopo il presidente Usa Donald Trump e tutti gli altri? Israele avrà coltivato relazioni amichevoli con questi leader o con i loro paesi e le rispettive opinioni pubbliche? Per rispondere a questa domanda, sarebbe utile esaminare se e come i leader usano Israele, e cosa ha da dire sullo stato ebraico l’altra parte politica.

La rappresentante della politica estera dell’Unione Europea Federica Mogherini ricevuta a Teheran dal ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif

C’è una differenza tra i rapporti amichevoli, che Israele deve mantenere con ogni governo eccetto quelli macchiati da crimini di guerra e crimini contro l’umanità, e una relazione molto più stretta con quei governi, che potrebbe mettere a repentaglio il futuro di Israele una volta scomparso il leader autoritario. Può darsi che sia giusto per Israele preservare buone relazioni con Duterte. Ma invitarlo in Israele, unico paese occidentale che Duterte abbia visitato, appare proprio come la smodata esagerazione che potrebbe costare cara a Israele nell’arena politica. Il primo errore, dunque, è il pensiero a breve termine.

Il secondo errore è l’idea che Israele, lo stato del popolo ebraico, non abbia più di altri il dovere di essere avveduto, etico e concreto. Etico, poiché in quanto nazione perseguitata per lunghissimi anni, gli ebrei si sono sempre distinti per dedizione ai diritti civili e umani e hanno accanitamente promosso, a volte sacrificando se stessi, una società liberale. Ma la condotta di corto respiro di cui stiamo parlando viene anche percepita come ingenua, dal momento che nelle relazioni internazionali vi è anche il dovere di essere avveduti e concreti. Il motivo per cui certi regimi cercano di stringere legami stretti con Israele non deriva soltanto dal fatto che Israele è una nazione di successo economico e tecnologico, e in ottimi rapporti con gli Stati Uniti. L’amicizia con lo stato ebraico serve ad alcuni di questi paesi e ai loro governanti per crearsi una nuova verginità. Ed è proprio per questo che il popolo ebraico deve agire con grande cautela morale: perché gli ebrei perseguitati hanno fatto di tutto per promuovere i valori illuministi liberali. L’obbligo di agire con cautela significa non gettare via, per un tornaconto immediato, qualcosa che ha un valore e un’importanza enormi per Israele, indipendentemente dal Brasile e dall’Ungheria.
(Da: YnetNews, 31.10.18)