I paesi arabi minacciano di scavalcare Abu Mazen
La retorica intransigente del presidente palestinese potrebbe tradursi in un clamoroso boomerang
Alti rappresentanti delle nazioni arabe moderate hanno informato gli inviati americani in Medio Oriente che sarebbero pronti ad appoggiare un piano di pace dell’amministrazione Usa per la regione indipendentemente dal fatto che l’Autorità Palestinese accetti di discuterne. Negli giorni scorsi diversi alti funzionari di Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti si sono incontrati con il consigliere della Casa Bianca Jared Kushner e con il rappresentante speciale degli Stati Uniti per i negoziati internazionali Jason Greenblatt e, stando a quanto riferito, hanno affermato che, essendo stanchi degli intransigenti rifiuti del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), non intralceranno il presidente Donald Trump quando presenterà il suo piano di pace per il Medio Oriente. La Casa Bianca ha fatto sapere la settimana scorsa che il preannunciato piano potrebbe essere presentato il prossimo agosto.
Dopo che Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale d’Israele lo scorso dicembre, Abu Mazen ha dichiarato che non avrebbe più intrattenuto alcun colloquio di pace con gli Stati Uniti. “La Fatahland che fa capo ad Abu Mazen non è disponibile – ha scritto lunedì il commentatore israeliano Amnon Lord – ma questo va ben al di là della sua rottura con Washington sul trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. Ha a che fare con la natura provvisoria della leadership di Abu Mazen. Con i suoi discorsi antisemiti e le sue maledizioni contro Trump e l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele David Friedman, Abu Mazen si è bruciato i ponti con Washington. La piazza palestinese è piena di odio. Nasser Laham, caporedattore dell’agenzia di stampa palestinese Maan, molto vicino ad Abu Mazen, ha affermato in una recente intervista che il capo palestinese, un presunto moderato, è in effetti ‘più radicale della maggior parte’ e che l’Autorità Palestinese ‘non ha altro da discutere con gli ebrei se non il loro andarsene dal paese’. La storia, ha tenuto a precisare Laham, conosce le emigrazioni di massa di interi popoli”.
Alti rappresentanti del Cairo e di Amman hanno detto a Israel HaYom che erano stati informati in anticipo delle dichiarazioni che Kushner avrebbe fatto in un’intervista al quotidiano palestinese Al-Quds, pubblicata domenica scorsa. Nell’intervista, Kushner ha aspramente criticato Abu Mazen per la sua scelta di snobbare gli sforzi di pace degli Stati Uniti e ha esortato il popolo palestinese a superare la posizione di rifiuto di Abu Mazen. Washington, sottolineava Kushner nell’intervista, è più che disposta a dialogare direttamente con la leadership palestinese.
Negli ultimi sei mesi, tuttavia, Abu Mazen e gli altri rappresentanti dell’Autorità Palestinese si sono rifiutati di incontrare rappresentanti americani. Un alto funzionario egiziano ha dichiarato domenica a Israel HaYom che la posizione dei paesi arabi moderati è “unanime” e che il Cairo, Amman, Riad e Abu Dhabi non si opporrebbero a un tentativo di Washington di scavalcare Abu Mazen. Tuttavia, i funzionari di tutte e quattro le nazioni hanno chiarito agli ambasciatori americani che non intendono impegnarsi in un accordo che comprometta gli interessi palestinesi. “Nonostante gli errori strategici commessi da Abu Mazen e dalla sua gente – ha spiegato un funzionario egiziano – a Kushner e a Greenblatt è stato detto molto chiaramente che i palestinesi hanno diritto a uno stato indipendente con Gerusalemme est come capitale. Kushner – ha continuato il funzionario egiziano – ha accettato la richiesta dei paesi arabi e ha chiarito, durante gli incontri con re Abdullah di Giordania e con il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sissi, che gli interessi del popolo palestinese non saranno danneggiati anche se il piano di pace regionale venisse presentato senza la cooperazione della leadership palestinese”.
In vista del giro di visite di Kushner e Greenblatt nella regione, Egitto Giordania Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti avevano cercato di convincere Abu Mazen a incontrare i due inviati americani, ma senza successo. Gli alti funzionari di tutte e quattro le nazioni avevano cercato di spiegare al presidente palestinese che doveva ascoltare le proposte americane perché non è in condizione di dettare i termini su chi è disposto o non è disposto a incontrare. Un alto rappresentante giordano ha detto domenica a Israel HaYom che agli inviati americani è stato chiarito che “non saranno gli stati arabi a mettere i bastoni fra le ruote del processo di pace, e che il continuo rifiuto di Abu Mazen a cooperare con gli americani porterà a un piano di pace regionale senza di lui”. Il che, ha avvertito il funzionario giordano, “renderebbe la leadership palestinese irrilevante rispetto a tutto il processo di pace”.
“L’impressione – scrive il commentatore israeliano Reuven Berko – è che ormai l’amministrazione Usa lavori sulla base dell’assunto che sul versate leadership palestinese non c’è nessuno con cui parlare e niente di cui trattare, e che la via per un accordo di pace con Israele non verrà dai palestinesi bensì dall’alto, con il mondo arabo e gli americani che ne detteranno i termini. La posizione americana è abbastanza chiara già da qualche tempo, ma il presidente Abu Mazen non la vede o semplicemente si è rifiutato di vederla. La retorica palestinese è piena di rivendicazioni come la rimozione di tutti gli insediamenti, il controllo sulla Città Vecchia di Gerusalemme come loro capitale, il cosiddetto “diritto al ritorno” dei discendenti dei profughi, il controllo di sicurezza sulla Valle del Giordano e tante altre fantasie e illusioni il cui unico scopo è impedire qualsiasi concreto accordo con Israele. Gli americani sono stufi. Sono solidali con Israele come partner strategico su vari fronti, e il rifiuto palestinese interferisce con la loro intenzione di mettere insieme un fronte anti-Iran. Sembra che le posizioni anacronistiche e recalcitranti di Abu Mazen e della sua gente siano ancorate ai tempi passati, quando ottenevano sempre il sostegno dagli stati arabi che tradizionalmente alimentavano le fiamme del conflitto con Israele come mezzo per serrare le fila dentro casa. Ma i palestinesi non hanno capito che le cose stanno cambiando. Gli stati arabi sopravvissuti all’ondata dell’islamismo sunnita si stanno ora preparando a fronteggiare la minaccia nucleare iraniana (sciita), e hanno bisogno dell’aiuto di Stati Uniti e Israele. E così, coloro che hanno storicamente contribuito a creare e alimentare il problema palestinese per servire i propri interessi potrebbero essere quelli che adesso rimetteranno il genio palestinese nella bottiglia”.
(Da: Israel HaYom, israele.net, 25.6.18)