“I palestinesi devono potersi governare purché non possano minacciare Israele”

Questa in sintesi la posizione dal primo ministro incaricato Netanyahu

image_2426I palestinesi devono avere il diritto di governarsi da soli, ma non il diritto di minacciarci. Questa in sintesi la posizione espressa dal primo ministro incaricato Binyamin Netanyahu, a proposito della questione “due popoli-due stati”, in un’intervista pubblicata sabato sul Washington Post in vista dell’imminente incontro di Netanyahu con il segretario di stato Usa Hillary Clinton, in visita nella regione. “In sostanza – ha spiegato Netanyahu – penso che vi sia un ampio consenso, dentro e fuori Israele, sul fatto che i palestinesi dovrebbero potersi governare, ma senza minacciarci”.
Si tratta della prima intervista concessa da Netanyahu a un mass-media straniero da quando, poco più di una settimana fa, il presidente israeliano Shimon Peres gli ha conferito l’incarico di formare il nuovo governo, in quello che appare come uno sforzo inteso a rassicurare coloro che all’estero temono che il nuovo governo israeliano possa non essere abbastanza impegnato sul processo diplomatico.
Le dichiarazioni di Netanyahu sulla soluzione “due stati”, prospettata dal presidente George W. Bush nel 2002, sono in linea con ciò che egli va dicendo da mesi ai leader internazionali circa la sua visione complessiva del processo diplomatico: che i palestinesi dovrebbero avere tutti i poteri per governare se stessi ad esclusione di un ristretto numero di facoltà che potrebbero mettere a rischio la sicurezza di Israele. L’idea di Netanyahu si basa in gran parte sul lavoro di Stephen Krasner, professore di scienze politiche alla Stanford University, già direttore della pianificazione politica al Dipartimento di stato sotto Condoleezza Rice, che ha elaborato il concetto di “sovranità ristretta” come modello per strutture statali problematiche.
I poteri che Netanyahu vorrebbe escludere da quelli del futuro stato palestinese sono:
– la facoltà di creare un vero e proprio esercito: Netanyahu vuole assicurarsi che il futuro stato palestinese sia uno stato smilitarizzato, dotato solo di forze di polizia per la sicurezza interna, con dimensioni e armamenti limitati;
– la facoltà di stringere trattati e alleanze con qualunque altro paese a propria discrezione: Netanyahu vuole prevenire una situazione che vedesse uno stato palestinese stringere un patto militare con un paese, ad esempio, come l’Iran;
– il controllo sui passaggi di confine attraverso cui potrebbero transitare armi e terroristi;
– il controllo sullo spazio aereo: Netanyahu è preoccupato all’idea che il futuro stato palestinese possa sentirsi autorizzato a tirare giù un aereo che, volando sull’aeroporto internazionale israeliano Ben-Gurion, entrasse per poche centinaia di metri nello spazio aereo palestinese;
– il controllo sulle fonti idriche: dal momento che la falda idrica che alimenta le sorgenti israeliane si trova in gran parte sotto il territorio del futuro stato palestinese, Netanyahu non vuole cedere completamente il controllo sulle acque;
– il controllo sullo spettro elettromagnetico, vale a dire le trasmissioni via radio, tv e microonde, sulle quali Netanyahu ritiene che Israele debba mantenere un certo controllo, per ragioni di sicurezza.
Le limitazioni prospettate da Netanyahu per il futuro stato palestinese sono in linea con una delle 14 riserve con cui Israele aveva formalmente accompagnato la sua accettazione della Road Map, il piano di pace presentato dagli Stati Uniti nel 2003. La quinta clausola, infatti, affermava che “lo stato provvisorio palestinese” (previsto dalla Road Map) sarebbe stato “totalmente smilitarizzato, senza forze armate, ma solo con forze di polizia e per sicurezza interna di dimensioni e armamenti limitati, senza autorizzazione ad intraprendere alleanze di difesa o cooperazione militare, e con il controllo israeliano sull’ingresso e l’uscita di persone e merci, nonché sullo spazio aereo e sullo spettro elettromagnetico”. All’epoca, Netanyahu accettò di astenersi sulla Road Map, quando l’allora primo ministro Ariel Sharon la sottopose alla votazione del governo, solo a condizione che vi fossero incluse le 14 riserve.
Nell’intervista al Washington Post Netanyahu afferma che proseguirà i colloqui diplomatici con i palestinesi “facendo avanzare allo stesso tempo lo sviluppo economico già avviato ed anche rafforzando le forze di sicurezza palestinesi”. “Intendo assumersi personalmente la responsabilità di una commissione governativa che si occuperà regolarmente delle necessità dell’economia palestinese in Cisgiordania”, ha spiegato: posizione coerente con la sua convinzione – ampiamente illustrata in campagna elettorale – che, anziché imporre un accordo “dall’alto”, sia necessario costruire le cose “dal basso” a partire da un miglioramento della situazione economica e dallo sviluppo di forze di sicurezza palestinesi efficienti e professionali, cosa che gli Stati Uniti stanno cercando di fare attraverso il lavoro dell’inviato Keith Dayton.
Nell’intervista è stato anche chiesto a Netanyahu delle sue recenti dichiarazioni sul fatto che Hamas debba essere rovesciata. “Hamas è incompatibile con la pace” ha spiegato il leader del Likud, ed ha aggiunto: “Spero che i palestinesi di Gaza trovino la forza di cambiare quel regime, perché noi vogliamo vivere in pace con tutti i palestinesi. In questo momento ciò che dovremmo fare è permettere agli aiuti umanitari di affluire nella striscia di Gaza, ma in modo tale di non permettere a Hamas di acquistare altri razzi”.
Nelle scorse settimane Netanyahu aveva chiarito che, benché sia convinto che Hamas debba essere rovesciata, questo non significa necessariamente che la cosa debba avvenire mediante un’ulteriore operazione delle Forze di Difesa israeliane, e che si debbono piuttosto prendere in considerazione altre opzioni, come un mix di strumenti militari, politici ed economici.

(Da: Jerusalem Post, Ha’aretz, 1.03.09)