I palestinesi (e tanti altri) dovrebbero imparare dagli ebrei a gestire la rabbia

L’ostinazione del popolo ebraico nel seguire la strada maestra, anche quando sarebbe più che comprensibile abbandonarsi alla rabbia, è onestamente sorprendente. Non sempre la capisco

Di Fred Maroun

Fred Maroun, autore di questo articolo

Una battuta ricorrente fra i sostenitori di Israele è che praticamente ogni giorno i palestinesi proclamano una ”giornata della rabbia”. Non è esattamente così, ma non è nemmeno tanto lontano dal vero. Proprio di recente, una serie di fazioni palestinesi hanno proclamato una “giornata della rabbia” a sostegno di sei assassini evasi di galera: un’ennesima “giornata della rabbia” che dovrebbe portare un giorno o l’altro all’agognato stato palestinese. Forse sono impietoso, ma è difficile essere comprensivi di fronte all’ostentazione continua di una rabbia autolesionista e senza fine, che ottiene meno di niente per i palestinesi. Perché non incanalare le energie a sostegno della costruzione della nazione anziché a sostegno di terroristi assassini?

Se c’è qualcuno al mondo che avrebbe tutto il diritto di essere arrabbiato, sono gli ebrei. Tra gli anni 1941 e 1945 sei milioni di ebrei furono trucidati a sangue freddo in condizioni terrificanti. Se gli ebrei fossero emersi da quegli anni trasformati in terroristi infuriati con il mondo intero, non ci sarebbe stato da stupirsi. Ma invece di abbandonarsi all’odio e alla distruzione, invece di proclamare una sfilza di “giornate della rabbia”, gli ebrei hanno raccolto tutte le loro energie e tutto il loro coraggio per costruire uno stato, a dispetto di ostacoli enormi. Hanno costruito lo stato di gran lunga più democratico, più egualitario, più diversificato, più rispettoso dei diritti umani e di maggior successo di tutto il Medio Oriente, oggi e in qualsiasi altro momento della sua storia.

Ai palestinesi venne offerto uno stato nel 1947 con la risoluzione 181 delle Nazioni Unite. Invece di cogliere l’opportunità di avere un loro stato per la prima volta nella storia, i palestinesi e i loro alleati arabi, troppo arrabbiati per non aver avuto tutta la terra, rifiutarono l’offerta e scatenarono una guerra contro gli ebrei che è ancora in corso 74 anni dopo. Di quella guerra non si riesce ancora a vedere la fine perché i palestinesi hanno continuato a rifiutare ogni soluzione di compromesso che è stata loro proposta, e nulla indica che tale rifiuto possa presto cambiare. Gli ebrei, per contro, accettarono la risoluzione 181 delle Nazioni Unite sebbene pure loro, come i palestinesi, avrebbero preferito non spartire la terra.

“Un’ennesima ‘giornata della rabbia’ che dovrebbe portare un giorno o l’altro all’agognato stato palestinese”

I palestinesi non sono i soli al mondo a impiccarsi ad una infinita rabbia controproducente. (…) Un ottimo esempio di rabbia che non porta a nessun risultato positivo viene ovviamente dagli Stati Uniti, dove la rabbia della destra contro supponenza ed elitarismo ha portato all’elezione nel 2016 di Donald Trump, il presidente più supponente ed elitario della storia americana. Trump deve la sua elezione anche a molti attivisti di sinistra tanto arrabbiati che sono rimasti a casa pur di non votare Hillary Clinton che alle primarie aveva sconfitto il loro candidato prediletto Bernie Sanders. Alcuni di loro hanno persino votato Trump per ripicca.

La rabbia è una normale emozione umana, ma lasciare che la rabbia guidi ciecamente le decisioni importanti non è salutare né produttivo. I palestinesi e molti altri trarrebbero gran beneficio dal raffreddare la loro rabbia e provare a vedere nel popolo ebraico un modello di ciò che potrebbero fare invece. Un modello di comportamento non solo nel passato, ma anche nel presente. Mentre Israele continua a fronteggiare attacchi terroristici e minacce quotidiane di attentati da parte di fazioni palestinesi che rifiutano l’esistenza stessa di Israele, nel resto del mondo gli ebrei fanno i conti con l’ondata di antisemitismo più virulenta dai tempi della seconda guerra mondiale, un antisemitismo che molto spesso usa i palestinesi come scusa e pretesto. Eppure Israele non permette alla rabbia di dettare le sue decisioni. Continua a difendersi mantenendo i suoi elevati standard etici. Di recente ha anche proposto un piano per lo sviluppo di Gaza che alcuni palestinesi hanno elogiato, ma che i rappresentanti palestinesi – come prevedibile – hanno già rifiutato.

L’ostinazione del popolo ebraico nel seguire la strada maestra anche quando, secondo qualsiasi ragionevole standard, sarebbe più che comprensibile abbandonarsi alla rabbia, è onestamente sorprendente. Non sempre la capisco. Ma forse questo tratto ebraico è proprio ciò che spiega la longevità del popolo ebraico nonostante, nel corso della sua lunga storia, abbia dovuto affrontare discriminazioni, rigetto, rancore e violenze. Forse gli ebrei capiscono meglio di tutti che la rabbia è un’emozione controproducente quando diventa il proprio stile di vita. Un insegnamento di cui altri dovrebbero fare tesoro.

(Da: Times of Israel, 21.9.21)