I palestinesi vogliono la pace con Hamas, non con Israele

Lo afferma lo stesso Dahlan, il presunto “moderato” di Fatah

di Barry Rubin

image_2474Per vedere cosa sta succedendo – e cosa sta andando storto – nella politica palestinese si consideri la figura di Muhammad Dahlan. In essa è personificata la camicia di forza ideologica e strategica che impedisce ai palestinesi di fare la pace e ottenere un loro stato.
Dahlan, 48 anni, è uno dei due più capaci “giovani” leader di Fatah. L’altro è Marwan Barghouti. Dahlan, uno degli architetti della prima intifada (fine anni ’80), entro nella cerchia dei favoriti dell’allora capo dell’Olp e dell’Autorità Palestinese Yasser Arafat. Un decennio più tardi, tuttavia, ruppe con il suo boss perché pensava che stesse permettendo a Hamas di diventare troppo forte. Se Arafat gli avesse prestato attenzione, oggi Fatah e Autorità Palestinese starebbero molto meglio.
Per molti anni Dahlan è stato il “generale” chiave di Fatah e Autorità Palestinese nella battaglia contro Hamas nella striscia di Gaza. Così, quando Hamas sconfisse definitivamente Fatah con il colpo di stato dell’estate 2007 e prese il pieno controllo di Gaza, Dahlan venne ritenuto il responsabile della debacle. Ora fa il suo ritorno in qualità di consigliere speciale dell’attuale leader dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen).
A parte le sue credenziali anti-Hamas, sul processo di pace Dahlan viene considerato un relativo moderato. Ma cosa significa questo, in pratica? Dahlan ha dichiarato al quotidiano pan-arabo Al-Sharq al-Awsat che la seconda intifada (2000-2005) e il terrorismo contro i civili hanno danneggiato gli interessi palestinesi. La sua critica, tuttavia, non si basa su considerazioni morali: essa nasce piuttosto dal fatto che tali gesta danneggiano l’immagine dei palestinesi e spingono Israele a reagire con maggiore durezza. Dahlan lamenta inoltre il fatto che la rivolta mancasse di un chiaro obiettivo. Egli stesso, tuttavia, non ha mai specificato quale avrebbe dovute essere questo obiettivo.
Ecco la fatale carenza del movimento: né lui né l’Autorità Palestinese né Fatah dicono mai ai palestinesi che bisogna accettare l’esistenza di Israele ed edificare il loro stato a fianco di Israele in una pace conclusiva. Tale concetto è estraneo all’effettivo dibattito palestinese.
Dahlan parla poi del suo odio per Hamas, che però non ha nulla a che vedere col fatto che Hamas blocca qualunque possibile accordo con Israele. Dahlan accusa Hamas dell’assassino di centinaia di palestinesi e di essere uno strumento nelle mani iraniane, una banda che sta edificando uno stato estremista islamista nella striscia di Gaza.
E dunque qual è la sua soluzione? Semplicemente nel fatto che Hamas e Autorità Palestinese si riuniscano. Ma, visto quello che Dahlan dice di Hamas, quali possibili strategie e iniziative comuni una tale coalizione potrebbe mai perseguire? È chiaro che la pace con Hamas è più importante per Dahlan che la pace con Israele. E si badi bene: sono due opzioni che per forza si escludono a vicenda.
In effetti Dahlan è pronto a fare qualunque cosa per cooperare con Hamas purché Hamas accetti Fatah e Autorità Palestinese come soci predominanti. Spiega che, per questo, l’Autorità Palestinese non chiederà a Hamas di riconoscere il diritto di Israele ad esistere; che neanche Fatah è vincolata ad alcun riconoscimento di Israele fatto dall’Autorità Palestinese; e che, in quanto “organizzazione della resistenza”, anche Fatah può continuare ad attaccare Israele ogni volta che lo ritenga opportuno.
Perché allora l’Autorità Palestinese ha accettato l’esistenza di Israele? Dahlan dice che l’ha fatto solo per ottenere il sostegno e gli aiuti finanziari internazionali.
Se è così che la pensa Dahlan, le vedute dei suoi compari sono persino più estremiste. L’inevitabile conseguenza è che, se mai l’Autorità Palestinese firmerà un trattato di pace – e non è certo cosa dietro l’angolo – e otterrà uno stato palestinese con capitale a Gerusalemme est, questo non impedirà a Fatah e Hamas di continuare la “lotta armata”.
Questa posizione coincide perfettamente con il fatto che anche oggi l’Autorità Palestinese non fa nulla per preparare la sua gente a una pace e a un compromesso. La rivendicazione che un giorno lo stato palestinese debba comprendere e in effetti comprenderà tutto Israele viene ribadita continuamente nelle scuole, nei sermoni, nei mass-media. È racchiusa anche nelle richiesta del cosiddetto “diritto al ritorno” – il diritto a invadere Israele con diversi milioni di palestinesi – considerato come assai più importante rispetto alla richiesta di uno stato nel quale i profughi (e i loro discendenti) possano insediarsi come in un proprio paese. Nessuna meraviglia, dunque, se tutti i sondaggi confermano che la netta maggioranza dei palestinesi sostiene regolarmente gli attacchi armati contro civili, con ben poco sostegno per un compromesso di pace che ponga fine al conflitto definitivamente.
Naturalmente non vi sarà un accordo di unità fra Fatah e Hamas giacché Hamas non intende cedere il controllo sulla striscia di Gaza e nessuna delle due fazioni accetterà il dominio dell’altra. Ma Dahlan va dicendo che, su tutto ciò che concerne Israele, Fatah è pronto ad accettare il punto di vista di Hamas anziché che chiedere al gruppo islamista di moderare le sue posizioni. L’idea che il mondo debba incoraggiare un accorpamento Hamas-Autorità Palestinese è una delle tante nozioni bizzarre connesse al mito che i capi palestinesi siano disponibili per una pace complessiva. Se ci sarà l’unità, Dahlan Barghouti e gli altri si uniranno a Hamas nel lanciare nuove ondate di “lotta armata”.
Gli attuali dirigenti dell’Autorità Palestinese dicono all’occidente (ma non alla loro gente): “noi vogliamo una soluzione a due stati basata sulla pace con Israele”. Per contro Hamas dice: “noi accetteremo solo una vittoria totale e la distruzione di Israele”. Dahlan e Barghouti esprimono un altro punto di vista: sostengono la lotta armata per costringere Israele a ritirarsi dalla Cisgiordania fin sulle linee pre-’67, a quel punto dicono che faranno un accordo di pace alle loro condizioni. Naturalmente se dovessero conseguire una tale vittoria, chi può dire dove si fermeranno? E quand’anche accettassero una soluzione a due stati, lascerebbero sempre la porta aperta a una soluzione “a due stadi”, al termine della quale Israele dovrebbe scomparire.
Questo non significa che Israele non debba lavorare con l’Autorità Palestinese e con Fatah sulle questioni immediate. L’intesa di base è che l’Autorità Palestinese riceve fondi internazionali e sostegno per mantenere il controllo in Cisgiordania, e in cambio riduce al minimo del terrorismo e tiene a bada Hamas. Se ci fosse un accordo Hamas-Autorità Palestinese, Israele non avrebbe più alcun motivo per cooperare con quest’ultima.
Ma non vi sarà nessun accordo di pace complessivo che ponga fine al conflitto, dal momento che il motto di Hamas è: “oggi la striscia di Gaza e oggi tutto Israele”, laddove Fatah e Autorità Palestinese dicono: “Oggi Cisgiordania e striscia di Gaza, e domani Israele”. Se persino Muhammad Dahlan non può manifestamente spingersi più in là di questo, qualunque processo di pace complessivo rimane, purtroppo, una chimera.

(Da: Jerusalem Post, 16.04.09)

Nella foto in alto: La rivendicazione che un giorno lo stato palestinese debba comprendere tutto Israele viene ribadita continuamente dalla propaganda palestinese. Sul cartello: “Fine del sionismo = pace”