I primi ventidue anni di Hamas

Tutti all'insegna della guerra ad oltranza contro Israele

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2697Ah, come vola il tempo quando ci si dedica agli spargimenti di sangue! Son davvero già passati ventidue anni da quando Hamas venne creata a Gaza dallo sceicco Ahmad Yassin come una propaggine dei Fratelli Musulmani?
Decine di migliaia di palestinesi hanno gremito lunedì la piazza di Gaza per celebrare l’anniversario e ascoltare il loro primo ministro Ismail Haniyeh che da un palco vezzosamente decorato di fiori, bianchi rossi e arancione giurava che Hamas non farà mai la pace con Israele.
I propagandisti della causa palestinese amano definire la striscia di Gaza “una prigione a cielo aperto”. In realtà si tratta più di un modello in scala di ciò che sarebbe una Palestina guidata da Hamas. Certo che a Gaza c’è molta miseria e disperazione, in gran parte auto-inflitta. Donne che non possono farsi vedere a cavallo di una moto, coppie a passeggio sulla spiaggia fermate dalla polizia che chiede loro di dimostrare che sono sposate, intimoriti i giornalisti palestinesi che osano scrivere di Hamas in modo sfavorevole affinché non venga loro in mente di svelare i sequestri, le uccisioni illegali, le torture e le minacce di morte contro tutti coloro che criticano il regime.
Hamas considera tutta la “Palestina” (Israele compreso) come “patrimonio islamico”, e se stessa in stato di guerra permanente contro gli ebrei. A partire dal disimpegno del 2005, e poi in drammatico crescendo dopo che nel 2007 Hamas ha strappato il potere a Fatah con la violenza, Israele mantiene un blocco attorno alla striscia di Gaza. Cemento e acciaio sono vietati: Hamas li userebbe per i suoi scopi militari. Ma Israele lascia entrare un costante flusso di beni umanitari: 698 camion solo la scorsa settimana, senza contare un convoglio speciale di libri e materiale di cancelleria donato dal Qatar. A differenza delle condizioni che prevalgono in non pochi paesi della Conferenza degli Stati Islamici, nella striscia di Gaza non c’è una crisi umanitaria. E tuttavia, finché Hamas resta determinata a fare la guerra a Israele, Gerusalemme preferisce che alle necessità civili di Gaza si supplisca attraverso il confine con l’Egitto.
Tutto sommato questo è stato un anno decente, per Hamas. Per la maggior parte i suoi capi sono scampati all’operazione Piombo Fuso nascondendosi negli scantinati dell’ospedale; grazie ai tunnel del contrabbando che passano sotto il Corridoio Filadelfia (al confine col Sinai) non è stato troppo difficile ripristinare le tonnellate di armamenti perduti e ripristinare i quadri di comando. Di fatto oggi Hamas dispone anche di missili capaci di raggiungere Tel Aviv. L’Egitto con tutta evidenza non ha la capacità – o forse la volontà – di fermare questo traffico, nonostante le sofisticate attrezzature fornite dagli Stati Uniti. Hamas è anche riuscita a mantenere per un altro anno il segreto su dove sia tenuto imprigionato l’ostaggio israeliano Gilad Shalit. E intanto continua a indottrinare all’odio e alla violenza un’intera generazione di bambini palestinesi.
I rovesci militari subiti da Hamas durante l’operazione Piombo Fuso sono stati più che compensati da una valanga di successi diplomatici grazie al rapporto Goldstone e ai resoconti post-bellici di mass-media che si bevono acriticamente le affermazioni di Hamas sul bilancio di vittime civili e sull’uso della forza “sproporzionato” e “immorale” da parte di Israele.
Hamas continua a ricevere forti sostegno militare da Teheran. Domenica scorsa il capo del suo politburo con sede a Damasco, Khaled Mashaal, è stato ricevuto dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che ha spronato Hamas a non vacillare davanti a Israele. Non ha da preoccuparsi. È assai improbabile che nel 2010 Hamas vada incontro a una trasfigurazione, accettando di porre fine al terrorismo, riconoscendo il diritto di Israele ad esistere e abbracciando gli accordi già sottoscritti dall’Autorità Palestinese.
Peccato perché, spaccata fra Fatah e Hamas, la politica palestinese è immobilizzata. L’idea che Mahmoud Abbas (Abu Mazen) trovi il coraggio di arrivare a un autentico compromesso al tavolo negoziale mentre sente sul collo il fiato di Hamas appare risibile. E se il governo Netanyahu accetterà lo squilibratissimo rilascio di detenuti, la forza di Hamas e la debolezza di Fatah saranno ancora più marcate.
Dato che Israele non è disposto a strappare la striscia di Gaza dalle grinfie di Hamas, e dato che né le elezioni palestinesi né un governo di unità nazionale palestinese risolverebbero il problema Hamas, e che per di più Hamas, a differenza di Fatah, garantisce coerenza e disciplina, Nathan Brown del Carnegie Middle East Center si domanda se forse Israele non dovrebbe prendere in considerazione un machiavellico modus vivendi con gli estremisti islamisti. È un approccio che alcuni strateghi israeliani, compreso l’ex capo del Mossad Efraim Halevy, sarebbero disposti a considerare… se solo Hamas la smettesse di ricordarci ad ogni pie’ sospinto – come ha fatto domenica scorsa Haniyeh davanti alla sua adunata oceanica – che “la liberazione della striscia di Gaza non è che il primo passo verso la liberazione di tutta la Palestina” (Israele compreso).

(Da: Jerusalem Post, 15,12.09)