I problemi di re Abdullah

La visione di re Abdullah non converge necessariamente con il piano di convergenza di Olmert

Da un articolo di Herb Keinon

image_1254Dal punto di vista della Giordania, il piano di “convergenza” o riallineamento del Primo ministro israeliano Ehud Olmert pone un problema per quanto riguarda ciò che Israele potrebbe lasciarsi alle spalle in Cisgiordania. Un conto sarebbe se Israele abbandonasse l’area con un governo sovrano riconosciuto e gestita in modo ordinato, mantenendo magari un controllo sul fiume Giordano come linea di sicurezza più orientale. Se invece il ritiro di Israele dovesse dare vita a una sorta di “Gaza in Cisgiordania”, vale a dire una situazione di crisi economica cronica in preda al caos e sull’orlo della guerra civile, allora re Abdullah si Giordania avrebbe di che preoccuparsi. E il motivo è semplice. Stretti fra la barriera difensiva israeliana e l’anarchia interna, in questo scenario decine di migliaia di palestinesi potrebbero cercare di migliorare la loro sorte attraversando il Giordano verso est. Che è uno dei motivi per cui paradossalmente re Abdullah preferirebbe che Israele mantenesse una presenza militare lungo il fiume così da non avere contiguità di confine fra Giordania e futuro stato palestinese.
La sua preoccupazione, secondo autorevoli fonti israeliane, non è tanto quella di un colpo di stato (come quello sventato da suo padre Hussein nell’estate 1970), quanto il drastico cambiamento dei delicati equilibri interni del regno, dove già il 70% della popolazione è palestinese. Oltretutto questa potenziale ondata di immigrati includerebbe assai probabilmente un numero non piccolo di estremisti islamismi cui non parrebbe vero di unirsi agli estremisti locali giordani per cercare di rovesciare re Abdullah e tutto ciò per cui lui si è schierato.
E questo non è ancora lo scenario peggiore, dal punto di vista dei problemi strategici della Giordania. A est del paese c’è l’Iraq che è a tutti gli effetti impantanato in una guerra civile su base etnica che né gli americani né il debole governo iracheno riescono a controllare. Il risvolto, per la Giordania, è sia economico che strategico. Sul piano economico significa la compressione di un mercato vitale per i le sue merci; su quello strategico significa la costante minaccia che dal caos iracheno il terrorismo possa straripare in Giordania.
Ma re Abdullah ha dei problemi anche a nord, con la Siria e Bashar Assad che non sono alleati della monarchia Hashemita bensì piuttosto dell’Iran. Se Israele ha i suoi motivi per temere l’Iran, anche i giordani ne hanno, anche se non si tratta tanto dello scenario apocalittico di un’esplosione atomica. Il fatto è che, nel momento in cui fa il conto degli armamenti che potrebbero potenzialmente essere usati in un confronto con Israele e Stati Uniti, l’Iran sta certamente considerando l’opportunità di destabilizzare i regimi arabi filo-occidentali. E quale regime arabo è più filo-occidentale della Giordania? L’opera di destabilizzazione potrebbe assumere diverse forme, dall’appoggio tecnico e logistico a gruppi terroristici che vogliono agire in Giordania, all’offerta a questi stessi terroristi di addestramento militare e di zone di rifugio. Tutte cose che potrebbero aver luogo in Siria. Dire che esiste una mancanza di fiducia fra i leader di Giordania e di Siria è un palese eufemismo.
Inoltre, l’influenza dell’Iran in Iraq sta crescendo attraverso gli sciiti iracheni, il che si traduce in un aumento dell’influenza di Teheran in tutta la regione. Già questo in sé non è un fatto positivo per la salute del regno Hashemita. E poi – anche qui, in modo un po’ paradossale – Amman teme che un possibile riavvicinamento fra Stati Uniti e Iran non porti nulla di buono alla Giordania. Il problema, in questo scenario, è che gli Stati Uniti potrebbero permettere all’Iran di incrementare la sua influenza in Medio Oriente in cambio di concessioni sulla questione nucleare.
E questi sono solo i pericoli esterni per la Giordania. All’interno, aumentano le difficoltà economiche legate ad una incapacità di ottenere petrolio a basso prezzo dagli stati del Golfo, mentre i fondamentalisti islamici, spronati dai successi di Hamas, are si fanno sempre più spavaldi. La Giordania tiene d’occhio il cocktail esplosivo fatto di avversità economiche e fondamentalismo islamico.
Tutto considerato, quando Olmert presenta a re Abdullah la logica sottesa al suo piano unilaterale e gli spiega quanto sia cruciale per Israele, è improbabile che trovi orecchie particolarmente favorevoli. Lo ha detto lo stesso Abdullah, in un discorso ai cadetti di polizia la scorsa settimana: “Questa regione attorno a noi sta attraversando condizioni particolarmente difficili e vede sviluppi per il peggio. Il deteriorarsi della situazione in Cisgiordania e in Iraq, il contenzioso fra Iran e Stati Uniti, tutto ciò minaccia la sicurezza e la stabilità. È evidente che vi sono soggetti e paesi che cercano di approfittare di questo stato di cose. Alcuni cercano di sistemare i loro problemi a spese dei paesi vicini, altri gettano benzina sul fuoco e vogliono diffondere caos e distruzione in più di un luogo per aumentare la loro influenza e il loro controllo sull’intera regione”. Re Abdullah ne trae la conclusione che “la Giordania deve venire prima di tutto e gli interessi giordani contano più di ogni altro interesse e considerazione”.
In altre parole, in questa particolare circostanza la visione che ha re Abdullah degli interessi della Giordania non converge necessariamente con il piano di convergenza di Olmert.

(Da: Jerusalem Post, 8.06.06)