I tre miti su si regge l’accordo sul nucleare iraniano

Ovviamente la diplomazia è meglio della guerra, ma risulterà inutile e vi sarà comunque la guerra se continueranno a persistere le illusioni che circondano l’accordo sul nucleare iraniano

Di Michael Oren

Michael Oren, autore di questo articolo

Il ritiro dell’amministrazione Trump dall’accordo sul nucleare iraniano e il rilancio delle sanzioni, la crescita delle provocazioni dell’Iran nel Golfo e l’aumento dell’arricchimento del suo uranio hanno riacceso il dibattito sul modo migliore per affrontare le molteplici minacce poste dall’Iran. Di nuovo i fautori dell’uso della forza militare contro l’Iran si contrappongono ai sostenitori della diplomazia. Sebbene il dibattito sia principalmente una disputa interna americana, le popolazioni più profondamente coinvolte sono gli iraniani, gli arabi e gli israeliani che subiranno le conseguenze di qualsiasi decisione venga presa dagli Stati Uniti.

La maggior parte degli israeliani e degli arabi concorderebbe sul fatto che i negoziati sono preferibili alla guerra con l’Iran a patto che mettano fine alle ambizioni nucleari dell’Iran, al suo sostegno al terrorismo, alla sua costruzione di missili intercontinentali e alla sua campagna volta a dominare o distruggere altri stati della regione. In quanto ex diplomatico israeliano, sono profondamente interessato ad evitare un conflitto che potrebbe comportare gravi perdite civili da entrambe le parti. In quanto storico che si è opposto all’invasione americana dell’Iraq, testimoniando anche contro di essa al Congresso, conosco i rischi di una guerra in Medio Oriente. Ma la diplomazia risulterà inutile e alla fine vi sarà comunque la guerra se continueranno a persistere le illusioni che circondano l’accordo sul nucleare iraniano.

La prima di queste false credenze è che l’Iran possa in qualche modo essere “comprato”. In cambio dell’allentamento delle sanzioni seguito da decine di miliardi di dollari in contratti internazionali, la Repubblica Islamica – questa è la tesi – abbandonerebbe la sua aspirazione ad espandere l’egemonia sciita. L’idea, bizzarramente professata dai campioni del multiculturalismo, che la diplomazia da sola potesse trasformare l’Iran in una potenza regionale ragionevole e costruttiva ha lasciato scioccati gli israeliani e gli arabi. Il nostro sgomento è stato rapidamente comprovato quando l’Iran ha sfruttato la legittimità e i proventi derivati dall’accordo sul nucleare per aumentare i suoi finanziamenti al terrorismo e accelerare la propagazione della sua influenza in gran parte del Medio Oriente.

Le bandiere al negoziato sul nucleare di Teheran: Cina, Unione Europea, Francia, Germania, Iran, Russia, Regno Unito, Stati Uniti

Questa espansione ha già innescato conflitti micidiali con le forze sostenute dall’Iran nello Yemen e a Gaza, mentre conflagrazioni molto più grandi si profilano con Hezbollah in Libano e in Siria, un paese dove l’Iran ha favorito il massacro da parte del regime di centinaia di migliaia di civili e lo sradicamento di altri milioni. La violenza nella regione è destinata sicuramente ad aumentare nei prossimi anni anche se l’Iran sembra rispettare l’accordo sul nucleare.

Il che ci porta al secondo mito, quello secondo cui l’accordo sul nucleare deve essere preservato perché l’Iran lo sta rispettando. Il che è precisamente ciò che temevano arabi e israeliani: non che l’Iran avrebbe violato l’accordo, ma piuttosto che l’Iran l’avrebbe applicato. E perché mai non dovrebbe applicarlo? L’accordo ha arricchito finanziariamente l’Iran pur riconoscendo il suo diritto ad arricchire l’uranio. Un “diritto” che in realtà non esiste, certamente non per un paese che ha notoriamente mentito sul proprio programma nucleare per decenni. Perché mai l’Iran non dovrebbe applicare un trattato che preserva le sue infrastrutture nucleari, gli consente di sviluppare centrifughe più evolute e ignora la sua costruzione di missili balistici intercontinentali in grado di trasportare testate nucleari? L’accordo non richiede all’Iran di fare piazza pulita dei suoi precedenti sforzi per il nucleare militare, di rompere i suoi legami con il terrorismo internazionale né di smetterla di minacciare gli stati vicini. Non apre le porte di tutti i siti nucleari iraniani a ispezioni senza restrizioni. Contiene persino “clausole di cessazione” che entro un decennio rimuoveranno la maggior parte dei limiti minimali imposti alle capacità di arricchimento dell’Iran. La facilità con cui l’Iran sta ora aumentando l’arricchimento dell’uranio dimostra la debolezza dell’accordo, e al contempo mostra il motivo per cui i governanti iraniani ci tengono così tanto a preservarlo.

L’ultimo e più pernicioso mito è che l’unica alternativa all’accordo sul nucleare sia la guerra. Esso riflette la comprensibile spossatezza negli Stati Uniti a causa dei conflitti in corso in Iraq e Afghanistan e il timore di ulteriori invischiamenti in Medio Oriente. E’ lo stato d’animo che ha permesso all’amministrazione Obama di passare dalla posizione secondo cui “nessun accordo è meglio di un cattivo accordo” all’idea che “un accordo qualsiasi è meglio che nessun accordo”; dall’affermare che tutte le opzioni sono sul tavolo all’affermare che non esiste nessuna soluzione militare e quindi al promuovere l’approccio politico “o diplomazia o guerra”.

Dalla tv: “Morte all’America!”. Gli iraniani hanno manifestato con entusiasmo il loro sostegno all’accordo sul nucleare (Dry Bones 2015)

Ma questa dicotomia era infondata al momento della firma dell’accordo e lo è ancora oggi. La minaccia di un’azione militare americana contro l’Iran, sebbene mai presa sul serio in Medio Oriente, si è dimostrata efficace nello spostare l’opinione pubblica americana. Ma una invasione e occupazione non è mai stata il modello per fronteggiare l’Iran. I precedenti erano, piuttosto, gli attacchi aerei e missilistici chirurgici lanciati dal presidente Ronald Reagan in Libia (1986) e dal presidente Bill Clinton in Sudan (1998). Come ambasciatore d’Israele a Washington nel 2012, ho sentito spesso l’allora ministro della difesa israeliano (oggi uno dei leader dell’opposizione) Ehud Barak assicurare ai politici americani che un attacco mirato ai siti nucleari iraniani sarebbe durato non più di uno o due giorni e comportava un rischio minimo per le forze statunitensi. “Di cosa avete paura?” chiedeva. La risposta, secondo i sostenitori dell’accordo sul nucleare, è: il terrorismo. Colpendo o anche solo sanzionando l’Iran, hanno recentemente scritto sul New York Times i premi Nobel per la pace Shirin Ebadi e Jody Williams, “porterà solo a un maggior ‘comportamento cattivo’ da parte dell’Iran in Iraq, Yemen e Siria”. In altre parole, l’Iran deve essere “comprato” affinché agisca in modo meno mostruoso: parliamo dello stesso Iran che ha lanciato attacchi informatici contro gli Stati Uniti, che ha fatto milioni trafficando droga in America, che ha minacciato i trasporti internazionali di petrolio nel Golfo. Lo stesso Iran che a Washington ha cercato di assassinare me, quando prestavo servizio come ambasciatore israeliano, e il mio collega saudita. Ed è lo stesso Iran che ha ucciso centinaia di soldati statunitensi in Libano e in Iraq; lo stesso Iran che, dopo la firma dell’accordo sul nucleare, ha catturato e umiliato marinai della Marina americana. La domanda non è quali minacce l’Iran porrà nel caso ci si opponga alla sua aggressività. La domanda è: quali distruzioni causerà se non ci si oppone alla sua aggressività.

In teoria, i negoziati sono il modo migliore di procedere. Potrebbero risolvere la politica contraddittoria dell’Europa che sostiene un accordo nucleare che permette di finanziare la pulizia etnica in Siria e di sovvenzionare il regime di Assad, che l’Europa sanziona. Per israeliani e arabi in particolare, i colloqui con l’Iran dovrebbero prendere il posto di un accordo che venne concluso in modo subdolo alle nostre spalle con un nemico che ce l’ha giurata, nel disprezzo per i principi dell’islam sciita e senza alcun pensiero alla futura sicurezza del Medio Oriente. E certamente la diplomazia è meglio di un conflitto nel quale noi, e non l’Occidente, saremmo verosimilmente i primi bersagli dell’Iran.

Ma perché la diplomazia abbia successo deve essere sostenuta da sanzioni punitive e da una credibile minaccia militare. In effetti più credibile è la minaccia, minori sono le possibilità che debba essere utilizzata, o che gli Stati Uniti vengano trascinati in un certo numero di conflitti alimentati dall’Iran. Solo messi di fronte alla scelta se insistere con la loro aggressività rischiando la rovina economica, minacciando la sicurezza globale e andando incontro a un’azione armata, i governanti iraniani lasceranno perdere il loro programma nucleare e i loro sogni imperiali. Solo allora la nostra regione, e in definitiva il mondo, saranno più sicuri.

(Da: theatlantic.com, 18.7.19)