I trucchi di Hamas coi mass-media

I leader palestinesi dicono cose diverse in arabo e in inglese.

image_1169Nei giorni scorsi il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh ha ammonito Israele, Stati Uniti e Unione Europea proclamando: “Siamo pronti a mangiare l’erba, ma non ci faremo piegare”. Quello che i servizi giornalistici riferivano, invece, era che il leader di Hamas avrebbe in animo di tenere tra breve un discorso dai toni moderati.
È un tipico caso di quelli studiati dall’Intelligence and Terrorism Information Center (Tel Aviv), che ha pubblicato una ricerca da cui emerge la discrepanza fra le dichiarazioni che Hamas rilascia a una radio come Voce della Palestina e quelle che rilascia a un’emittente come la CBS.
“Nel tentativo di colmare la distanza sostanziale fra la propria ideologia e carta costitutiva, che rifiuta l’esistenza di Israele e sostiene il terrorismo, e le richieste della comunità internazionale – si legge nel rapporto – il governo palestinese di Hamas ha adottato verso i mass-media una strategia fondata sull’ambiguità e la ridondanza. Nel quadro di questa strategia, la leadership diffonde messaggi diversi, talvolta nettamente contraddittori, su questioni centrali dell’agenda politica, a seconda dell’uditorio a cui si rivolge. Di fronte ai media occidentali gli esponenti di Hamas cercano di velare e occultare le posizioni estremiste diffondendo messaggi attenuati, più adatti all’uditorio occidentale. Ma di fronte ai media arabi in generale, e a quelli palestinesi in particolare, viene esibita la consueta immagine aggressiva e senza compromessi”.
Fra i leader di Hamas, lo studio indica il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh come quello che più di altri si caratterizza per il contrasto fra le dichiarazioni che gli vengono attribuite dalla stampa locale e da quella occidentale.
In un’intervista a Voce della Palestina, il portavoce di Hamas Sami Abu-Zahri non ha nemmeno cercato di nascondere questa strategia dell’organizzazione. Richiesto di spiegare le dichiarazioni contraddittorie del movimento ai media occidentali e arabi, Zahri ha detto: “E’ naturale fare affermazioni distinte a diversi uditori, ciascuno con il suo stile. Ma i principi di base di Hamas sono immutati e noi ci atteniamo ad essi”.
Il rapporto conferma che Hamas dice cose nettamente diverse su vari temi a seconda dell’uditorio.
Circa gli attentati terroristici (“lotta armata” o “resistenza”, nella terminologia di Hamas), il 28 marzo scorso il capo del Politburo di Hamas Khaled Mashaal diceva che “la resistenza è un’opzione che il popolo palestinese ha scelto per reclamare i suoi diritti nazionali, il diritto al ritorno, l’autodeterminazione e la creazione di uno stato palestinese”. Lo stesso giorno, il primo ministro Ismail Haniyeh diceva al parlamento palestinese che “il manifesto del movimento combina resistenza e azione politica… i principi del governo scaturiranno dal ventre della resistenza”. Il primo aprile, Zahri ribadiva a radio Voce della Palestina che “Hamas aderisce alla resistenza in tutti i suoi aspetti, compresi gli attacchi terroristici”.
Ma quando l’uditorio cambia, cambiano anche toni e contenuti del messaggio. “Hamas non penserà mai alla violenza – dichiarava lo stesso Haniyeh alla CBS il 17 marzo – Hamas aspira a pace e calma basate su giustizia ed eguaglianza. Qualunque cosa venga offerta all’Autorità Palestinese sulla scena politica, sarà soppesata e discussa. Hamas escogiterà un meccanismo per gestire i negoziati”.
Il 25 febbraio, Haniya dichiarava, in inglese, al Jerusalem Post: “Rispetteremo gli accordi che garantiscano la creazione di uno stato palestinese sulle linee del ’67, nonché il rilascio dei prigionieri. Se Israele si ritirerà sulle linee del ’67, noi elaboreremo una pace per fasi”.
Ma il primo marzo lo stesso Haniya dichiarava, in arabo, al quotidiano Alsharoq: “Uno dei principi base del nuovo governo è quello di non cedere alle minacce internazionali e continuare a rifiutarsi di riconoscere Israele”. Gli faceva eco il 3 marzo il ministro degli esteri Mahmoud al-Zahar: “Sogno di appendere alla parete della mia casa a Gaza una grande carta del mondo in cui Israele non appaia”. Il 26 marzo Khaled Mashaal tuonava su Al-Rai Al-Aaam: “No al negoziato con Israele, no al riconoscimento di Israele, no alla capitolazione dei diritti dei palestinesi”.
Anche per quanto riguarda il programma di islamizzazione della società palestinese, le affermazioni di Hamas si contraddicono a seconda dell’uditorio. Il 22 febbraio Ahmed Abu Halbia dice al giornale arabo al-Ayyam: “Il nuovo Consiglio legislativo si adopererà per adattare le leggi palestinesi allo spirito dell’islam. Hamas sottolinea con forza il motto ‘l’islam è la soluzione’, e ciò deve trovare riscontro nelle leggi che verranno varate”. Invece l’1 marzo Aziz Dweik, segretario del Consiglio legislativo, dice al giornale italiano Corriere della Sera: “Hamas è un partito religioso, si impegna a lavorare per migliorare gli standard morali della nostra gente. Spero che presto chiudano le rivendite di alcolici, non per decreto, ma semplicemente perché mancheranno clienti”.
“Dentro Hamas hanno luogo cambiamenti in modo graduale e misurato – dice alla stampa occidentale Aazi Hamad, consigliere del primo ministro Haniya – Hamas adatta il pragmatismo politico con riferimento allo stato e al cessate il fuoco”. Ma il 5 aprile, Ahmad al-Jaabari scrive sul sito web di Hamas: “La nostra resistenza all’occupazione in Palestina continua e non cesserà in qualunque circostanza. Le Brigate al-Qassem continueranno la marcia verso la totale liberazione del suolo della nostra beneamata madrepatria di Palestina, dal fiume fino al mare”.

(Da: YnetNews, MFA, 11-15.04.06)