Il boicottaggio Ben & Jerry’s apre vecchie ferite e dà impulso a chi vuole la distruzione dello stato ebraico

Sul piano economico le singole vittorie del movimento BDS sono punture di zanzara, ma inganna se stesso chi pensa che ci siano in ballo solo gelati e insediamenti

Editoriale del Jerusalerm Post

Una rivendita di gelato Ben & Jerry’s a Gerusalemme. In un quartiere al di qua oppure al di là della ex Linea Verde del boicottaggio decretato dall’azienda? (risposta: questa foto è stata scattata presso il mercato Mahane Yehuda, a ovest della ex linea armistiziale, dunque non dovrebbe cadere sotto il boicottaggio)

Quando alla famigerata conferenza di Durban del 2001 venne ordito il movimento BDS per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele, il prodotto interno lordo d’Israele, un buon indicatore della salute economica di un paese, era di 130,8 miliardi di dollari. Vent’anni dopo, il Pil stimato di Israele per il 2021 sarà di 446,7 miliardi di dollari. Si tratta di un aumento del 242%, registrato negli anni in cui il fondatore della campagna BDS Omar Barghouti e gruppi come “Vermonters for Justice in Palestine” (all’origine della recente decisione per il boicottaggio di Ben & Jerry’s, che ha sede in Vermont ndr) conducevano la loro battaglia per isolare e boicottare Israele. Durante questo stesso periodo, le esportazioni israeliane sono aumentate di circa il 260% e gli investimenti stranieri nelle aziende israeliane sono triplicati.

Tutto questo avveniva malgrado il movimento BDS registrasse di tanto in tanto piccole vittorie: il disinvestimento da parte di un fondo pensione scandinavo, il boicottaggio delle università israeliane da parte di alcuni accademici, il rifiuto di alcuni musicisti di esibirsi in Israele. Ognuna di quelle piccole vittorie pungeva a modo suo, ma erano come punture di zanzara: prudono temporaneamente, ma non influiscono sulla salute generale dell’organismo. Israele nel 2021 sta prosperando economicamente come non si sarebbe mai immaginato nel 2001. Perché, allora, la decisione di Ben & Jerry’s di smettere di vendere i suoi gelati nel quartiere ebraico della Città Vecchia di Gerusalemme e a Efrat, Ma’aleh Adumim e altri luoghi oltre la ex Linea Verde ha causato tanto clamore? Perché punge, esaspera e fa riemergere ricordi storici molto dolorosi.

Punge come un campanello d’allarme, perché mostra quanto sia superficiale la cognizione di questo conflitto tra coloro che si considerano progressisti, ma che vedono la situazione qui attraverso lenti totalmente in bianco e nero. Ben & Jerry’s non solo ignora i fatti storici chiamando Giudea e Samaria “territori palestinesi occupati”, benché quei territori non abbiano mai fatto parte di alcuna entità chiamata Palestina e si tratti invece di territori “contesi” la cui sovranità, in base agli accordi firmati, dovrà essere definita mediante un negoziato. Decide anche di “punire” una parte sola, in un conflitto che qualunque persona minimamente ragionevole capisce che non è attribuibile tutto e solo a quella parte. Fa male quando vieni accusato di ogni colpa, mentre viene totalmente assolta l’altra parte che in tutti questi anni non si è comportata esattamente come Madre Teresa di Calcutta (e porta anzi pesanti responsabilità per la continuazione del conflitto).

Chi pensa che ci siano in ballo solo Territori e insediamenti inganna se stesso. Qui si tratta della volontà di smantellare lo stato ebraico dal “fiume al mare”.

Inoltre, il virtuoso e supponente annuncio così “politicamente corretto” del marchio di gelati del Vermont è esasperante per via della sua assoluta ipocrisia. La mossa non ha lo scopo di contribuire a una soluzione di pace, ma solo quello di far sapere a tutti che l’azienda si preoccupa tanto dei diritti umani. Peccato che nel farlo ridà impulso a un movimento il cui dichiarato obiettivo finale è lo smantellamento di Israele come stato ebraico: negando così agli ebrei il fondamentale diritto all’autodeterminazione che si dice di avere tanto a cuore.

Infine, l’annuncio è doloroso perché evoca tempi passati in cui imprese e attività ebraiche venivano prese di mira per ragioni che i boicottatori di allora ritenevano giuste e sacrosante, e che in breve tempo portarono alla messa al bando e poi dal rogo degli ebrei stessi. Non si tratta qui di fare alcun paragone tra una società di gelati degli Stati Uniti e l’Europa medievale o la Germania nazista. Si tratta di spiegare perché questa mossa ha scatenato tanta rabbia tra gli israeliani di ogni estrazione politica. Non sei d’accordo con noi? Va bene. Ma boicottarci? L’esperienza storica degli ebrei ha dimostrato che non va mai a finir bene

Quelli che sostengono che Ben & Jerry’s non sta boicottando Israele, ma solo gli insediamenti non fanno che prendere in giro se stessi. La stessa presidente del Consiglio di amministrazione di Ben e Jerry’s, Anuradha Mittal, si è esplicitamente rammaricata per il fatto che la società madre Unilever abbia affermato che il gelato continuerà a essere venduto all’interno di Israele. La loro dichiarata intenzione era quella di boicottare il paese nella sua interezza. Basta leggere le reazioni sui social network. L’attivista Dalia Masad ha scritto su Facebook: “”Grazie Ben & Jerry’s. Noi palestinesi speriamo che altre aziende boicottino lo stato dell’apartheid. Abbiamo diritto a uguaglianza, libertà e giustizia in tutta la nostra patria, dal fiume al mare”.

Ecco di cosa si tratta. La questione non è poter comprare un secchiello di gelato nel quartiere Rehavia di Gerusalemme e di non poterlo comprare nel quartiere Ramot della stessa città. Né di porre fine a qualunque presenza ebraica in Giudea e Samaria (ammesso e non concesso che una cosa del genere si accettabile). Qui si tratta di voler smantellare lo stato ebraico dal “fiume al mare”. Ecco perché l’azione di Ben & Jerry’s deve essere presa sul serio e combattuta strenuamente. Sì, è solo un gelato. E no, il boicottaggio di Ben & Jerry’s non danneggerà in modo significativo l’economia israeliana. Ma quello che fa è legittimare coloro che vogliono delegittimare Israele e mettere in discussione il suo diritto ad esistere entro qualsiasi confine: una cosa che bisogna contrastare con tutti i mezzi a disposizione.

(Da: Jerusalem Post, 22.7.21)