Il buono e il cattivo del sistema elettorale israeliano

Il sistema deve essere messo a punto, ma senza gettare il bambino con l’acqua sporca

di Shlomo Avineri

image_2425I risultati delle ultime elezioni in Israele indicano la necessità urgente di rimediare ai difetti del sistema politico, ma ci dicono anche che bisogna farlo con attenzione. Proposte troppo radicali, come il passaggio al sistema presidenziale, non potrebbero mai superare gli ostacoli politici e poi il effetto potrebbe essere disastroso, come si è visto con l’elezione diretta del primo ministro (1996-2001). Vi sono tuttavia dei cambiamenti in alcune aree che potrebbero aiutare l’istituzione di governi più stabili, e che potrebbero guadagnarsi l’appoggio della maggioranza della Knesset.
Nomina del primo ministro. L’attuale incertezza, nella quale Kadima ha il maggior numero di seggi ma è il Likud che ha le migliori probabilità di formare una coalizione di maggioranza, va superata. La regola dovrebbe essere che il presidente incarichi della formazione del governo il leader del gruppo parlamentare più numeroso. Se ciò costringe i partiti affini sulla destra o sulla sinistra a coalizzarsi fra loro, tanto meglio.
Soglia minima d’ingresso. Non occorre elevare la percentuale minima per entrare alla Knesset. In questa volta l’attuale soglia al 2% ha funzionato bene. Elevarla al 5% per mettere in difficoltà i partiti minori otterrebbe il risultato opposto: i piccoli partiti religiosi si presenterebbero in parlamento come un blocco unito, e lo stesso farebbero i partiti arabi. Non sarebbe logico aumentare il potere di veto di questi settori minoritari.
Partiti nuovi. Anche questa volta erano in lizza partiti di nuova creazione, alcuni in rappresentanza di specifiche persone o idee, altri per pura bizzarria. Ma nessuno di essi ha superato la percentuale di soglia, il che è un bene. Non è possibile né desiderabile impedire a nuovi partiti l’ingresso, ma deve essere difficile. La soluzione è che i nuovi partiti debbano raccogliere un maggior numero di firme (una proposta potrebbe essere 20.000) fornendo tutti i dettagli controllabili. Chi non riesce a raccogliere abbastanza firme è assai improbabile che possa superare la soglia e dunque non dovrebbe ottenere un (costoso) pulpito pubblico al solo scopo di soddisfare il proprio ego.
Primarie. I partiti dovrebbero decidere se tenere o meno votazioni primarie interne. Ma il sistema attuale crea gravi distorsioni dovute al fatto che, oltre ai membri del partito, c’è gente che si registra semplicemente per votare, i cosiddetti mitpakdim, senza nessun reale legame con la vita politica del partito. I partiti sono stati annullati come forze significative. Vi sono iscritti reclutati dai candidati, e vi sono stati casi dove il numero degli iscritti a un partito in una certa zona è stato maggiore del numero di voti che il partito ha poi ottenuto in quella stessa zona. La legge dovrebbe richiedere che un individuo sia membro di un partito da almeno 18 o 24 mesi prima della data delle primarie, per potervi partecipare. Il che eviterebbe il fenomeno dei mitpakdim e rivitalizzerebbe la partecipazione attiva al partito indebolendo gli “appaltatori di voti”.
I partiti dovrebbero prendere in considerazione un passaggio dalle primarie, che sono una tradizione consolidata solo negli Stati Uniti, a un sistema misto nel quale alcuni candidati verrebbero scelti in un congresso di partito, altri dal comitato centrale, altri dalle organizzazioni femminili e dai movimenti giovanili, altri ancora dalla leadership del partito.
Voto locale. La proposta di votare per regioni è un miraggio che trasformerebbe il voto per la Knesset in qualcosa di simile a elezioni municipali, con in gioco tutti gli interessi e i voti di scambio locali. Lo spostamento del focus sulle elezioni locali indebolirebbe ancora di più i partiti e potrebbe causare una situazione in cui i sindaci correrebbero alla Knesset come candidati “indipendenti”, uno scenario non per forza appetibile se si considera il profilo di alcuni di loro.
In sintesi, vi è uno spazio per riforme parziali che, prese assieme, potrebbe eliminare alcune della attuali distorsioni e persino elevare il libello dei deputati eletti. Il sistema attuale, però, pur con tutti i suoi difetti, non ci ha mai condotti a una crisi istituzionale. Deve essere messo a punto, ma non bisogna gettare il bambino con l’acqua sporca.

(Da: Ha’aretz, 19.02.09)