Il contenzioso sulle case di Sheikh Jarrah: innanzitutto i fatti

I mass-media rendono un pessimo servizio alla verità e al dialogo quando tacciono una lunga serie di informazioni senza le quali la vicenda appare interamente stravolta

La posizione di Sheikh Jarrah rispetto alla Città Vecchia di Gerusalemme e alla ex linea armistiziale che per 19 anni ha diviso la parte israeliana della città, a ovest, dalla parte occupata dalla Giordania a est (clicca per ingrandire)

“Le proteste palestinesi sono state innescate dal fatto che diverse famiglie palestinesi rischiano di essere sfrattate dalle loro case a Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme est, che sono state assegnate a coloni israeliani” (così la Reuters il 9.5.21). Quante volte si sono lette frasi come questa sulla stampa internazionale? Ebbene, le cose non stanno così. E prima di formulare qualunque giudizio politico, è necessario conoscere i fatti.

La causa su cui si sono dovuti pronunciare i tribunali israeliani, e che ora è sul tavolo della Corte Suprema, riguarda il tentativo da parte di proprietari israeliani di rientrare in possesso di alcuni terreni e immobili a Sheikh Jarrah di cui hanno dimostrato d’essere i legali proprietari.

Sheik Jarrah è un quartiere arabo fondato nel 1865 poco a nord delle mura della Città Vecchia di Gerusalemme. Dal 1875 fino al 1948 è esistito al suo interno anche un settore ebraico. Da secoli, infatti, quest’area è conosciuta anche con il nome di Shimon HaTzadik” (Simone il Giusto), dal nome del famoso saggio rabbinico del periodo del Secondo Tempio la cui tomba si trova nel quartiere. Proprio per la presenza della venerata sepoltura, nel 1875 i rabbini Avraham Ashkenazi e Meir Auerbach acquistarono da venditori arabi la tomba e il terreno circostante (4,5 acri, circa 1.82 ettari) per conto delle comunità sefardita e ashkenazita in Terra d’Israele, allora sotto dominazione turco-ottomana. Poco tempo dopo in quell’area, così come a Kfar Hashiloah, un altro quartiere di Gerusalemme chiamato anche Silwan, vennero ad abitare parecchi ebrei per lo più yemeniti, “saliti a Sion” nel 1881. Va ricordato che sin dal 1844 gli ebrei costituivano il più numeroso gruppo etnico della variegata popolazione di Gerusalemme. Tra il 1936 e il 1938, a fronte delle crescenti violenze arabe, per disposizione delle autorità britanniche la comunità ebraica yemenita venne sgomberata da Silwan. Rimasero invece diversi ebrei a Sheik Jarrah, almeno fino al 1948.

Vedutra aerea di Sheikh Jarrah nel 1931

Nel 1946, le organizzazioni non governative ebraiche Va’ad Eidat HaSfaradim e Va’ad HaKlali L’Knesset Yisrael si adoperarono per far registrare l’atto di proprietà presso le autorità di quella che allora era la Palestina Mandataria britannica. Due anni dopo, nel 1948, la Transgiordania (oggi Giordania) attaccava lo stato d’Israele appena fondato, nel quadro del dichiarato intento dell’intera Lega Araba di impedire con la forza l’applicazione della risoluzione 181/47 delle Nazioni Uniti (che prevedeva la nascita di due stati palestinesi, uno ebraico e uno arabo), di distruggere sul nascere lo stato ebraico e di “buttare a mare gli ebrei”. Con quella aggressione, la Legione Araba di Transgiordania occupò illegalmente Giudea e Samaria (da allora rinominate West Bank o Cisgiordania), tutta la Città Vecchia di Gerusalemme e diversi quartieri circostanti, compreso il quartiere Shimon HaTzadik/Sheikh Jarrah. La Legione Araba impose la totale “pulizia etnica” in tutte le aree conquistate: a nessuno ebreo venne permesso di rimanere, neanche a quelli le cui famiglie avevano vissuto nella regione per secoli, sin da prima dell’invasione araba nel VII secolo. Nelle case rimaste vuote a Sheikh Jarrah, la Giordania insediò nel 1956 una trentina di famiglie di profughi palestinesi ai quali aveva nel frattempo conferito la cittadinanza giordana. A quanto risulta, costoro iniziarono a pagare un affitto alla Custodia Giordana delle Proprietà del Nemico.

Nel 1967 Israele, di nuovo aggredito dai paesi arabi (guerra dei sei giorni), tolse alla Giordania il controllo su Cisgiordania e parte est di Gerusalemme. Nel 1970 venne varata una legge in base alla quale gli ebrei israeliani che possono documentare d’aver avuto le loro proprietà confiscate dalla Giordania quando questa occupò abusivamente la Cisgiordania e Gerusalemme est, possono chiederne la restituzione, a meno che gli attuali residenti non riescano a dimostrare un valido procedimento di acquisto o trasferimento della proprietà. Nel 1973, sulla base dei documenti ottomani e britannici, gli immobili in questione venivano registrati presso le autorità israeliane come proprietà delle organizzazioni Va’ad Eidat HaSfaradim e Va’ad HaKlali L’Knesset Yisrael. Nel 1982, un certo numero di residenti, compresi genitori e nonni di alcuni degli attuali occupanti, convennero in tribunale che le due organizzazioni israeliane erano le proprietarie legali, accettando il principio di pagare un affitto

Ebrei in pellegrinaggio alla tomba di Shimon HaTzadik (Simone il Giusto) nel 1927

Nel 2003 le due ong hanno venduto gli immobili a un’altra organizzazione ebraica, Nahalat Shimon. Tuttavia, i palestinesi che occupavano le abitazioni vennero autorizzati a continuare ad abitarvi godendo dello status di “residenti protetti”. Ma per legge, gli inquilini dovevano pagare un affitto alla proprietà, cioè a Nahalat Shimon. Fu solo dopo che i residenti palestinesi si rifiutarono di farlo (mentre nel frattempo avevano ampliato illecitamente la proprietà e in parte l’avevano subaffittata a terze parti) che Nahalat Shimon avviò la causa per lo sfratto.

Dal canto loro, gli occupanti si oppongono allo sfratto sostenendo d’aver acquistato gli immobili nel 1991 (quasi vent’anni dopo che erano stati registrati come di proprietà delle ong israeliane) da un uomo di nome “Ismail” che, secondo il tribunale, gli appellanti non hanno mai meglio identificato né documentato. Sostengono inoltre che la proprietà era stata loro promessa “in dono” dalle autorità giordane all’epoca in cui la Giordania occupava la parte est di Gerusalemme. Anche questa un’affermazione che il tribunale ha giudicato non suffragata da prove né testimonianze attendibili.

Nell’ottobre 2020 il tribunale di Gerusalemme si è pronunciato a favore di Nahalat Shimon, sottolineando fra l’altro che i residenti, dopo aver sostenuto di non essere inquilini bensì proprietari, di fronte all’evidente mancanza di prove hanno iniziato ad affermare di essere inquilini ma che non potevano essere sfrattati. Lo scorso 10 febbraio 2021, il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha confermato la decisione di primo grado dell’ottobre 2020, chiedendo ai residenti in questione di sgomberare le proprietà entro il 2 maggio 2021, avendo constatato che “le persone che attualmente vivono in queste case lo hanno fatto abusivamente per decenni senza pagare affitto né avere documenti che ne attestino la proprietà”.

Manifestazione palestinese contro le sentenze di sfratto sulle case di proprietà ebraica a Sheikh Jarrah. Sul cartello: “Basta rubare le nostre case”

Gli occupanti hanno presentato ricorso alla Corte Suprema. Inizialmente, la Corte Suprema ha esortato le parti a trovare un accordo entro il 6 maggio. Ma di fronte al rifiuto delle famiglie arabe di accettare qualsiasi accordo che implicasse il riconoscimento della proprietà ebraica, la Corte Suprema aveva fissato per lunedì 10 l’udienza sulla decisione definitiva. Tuttavia, alla vigilia della data, la Corte Suprema ha rinviato l’udienza “alla luce delle circostanze [le violenze in corso a Gerusalemme] e della richiesta del procuratore generale Avichai Mandelblit”.

Tutte queste informazioni mancano quasi completamente dai resoconti dei mass-media. Quando la Reuters scrive che “dei coloni ebrei sostenuti da un tribunale israeliano hanno preso il controllo di alcune case” a Sheikh Jarrah/Shimon HaTzadik, o la Associated Press riferisce che “decine di palestinesi stanno battendosi contro il tentativo da parte di coloni israeliani di sfrattarli dalle loro case”, rendono impossibile una discussione minimamente informata sulla complessa e delicata questione.

(Da: honestreporting.com, jns.org. progettodreyfus.com, israele.net, 9.5.21)