Il coraggioso (e lungimirante) cedimento di Netanyahu sul Monte del Tempio

Alla fine Israele, e solo Israele, ha mostrato ragionevolezza e flessibilità: ora chiunque può vedere chi c’è veramente dall’altro lato del presunto tavolo negoziale

Di Alexander J. Apfel

Alexander J. Apfel, autore di questo articolo

È fin troppo facile affermare che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu “si è piegato” o “ha ceduto” sotto la minaccia palestinese di continuare a combattere e morire finché non fossero state completamente rimosse dal Monte del Tempio le misure di sicurezza recentemente installate da Israele. È fin troppo facile dire che Netanyahu ha cercato di placare i palestinesi di fronte allo spettro di una “terza intifada”. Quando avverrà il prossimo attentato terroristico – e avverrà sicuramente – sarà fin troppo facile puntare ancora una volta il dito contro la presunta capitolazione di Netanyahu, rea d’aver ringalluzzito gli estremisti palestinesi. Anche se la reputazione che Netanyahu si ritrova appiccicata addosso, fondata o infondata che sia, è quella di un equilibrista che tende a piegarsi sotto le pressioni, in questo caso specifico la sua scelta di recedere è stata coraggiosa: al prezzo di una sconfitta sul piano interno, ha portato a casa una vittoria importante sul piano diplomatico.

Certo, quei metal detector avrebbero dovuto rimanere in funzione, almeno per il futuro immediato. Il vecchio proverbio “gli dai un dito e si prendono il braccio” è certamente vero quando si tratta delle iperboliche reazioni arabe scatenate dalla concessione di Israele. La rimozione dei metal detector è stata indubbiamente interpretata dal mondo arabo e musulmano come una grande vittoria contro i “sionisti” (alcuni hanno addirittura parlato della “prima vittoria musulmana a Gerusalemme dai tempi del Saladino”). Ma pensiamo davvero che un politico navigato come Netanyahu non sapesse che avrebbero reagito in questo modo?

Netanyahu sa perfettamente che i metal detector sarebbero necessari, alle porte del complesso. Ma esistono obiettivi a breve termine e obiettivi a lungo termine, e il suo compito è quello di trasformare questa ignobile situazione in un vantaggio per Israele a lungo termine. Le piazze arabe celebrano la rimozione dei metal detector e scherniscono Israele per la sua capitolazione apparentemente ignominiosa di fronte a poche centinaia di lanciatori di molotov, ma soffermare tutta l’attenzione su questo aspetto significa perdere di vista il quadro più ampio.

Vignetta dalla stampa araba che attribuisce la “vittoria” contro i metal detector anti-terrorismo al presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, al re saudita Salman bin Abdulaziz e a re Abullah II di Giordania, tutti e tre rappresentati come guerrieri che imbracciano i mitra davanti alla Cupola della Roccia mentre calpestano un mucchio di teschi e stelle di David (clicca per ingrandire)

Di questi tempi tutte le guerre, a Gaza o altrove, terminano inevitabilmente con Hamas e altri nemici d’Israele che proclamano gloriose vittorie, mentre i loro sudditi si riversano nelle strade per inscenare gigantesche manifestazioni di sfida contro gli invasori sionisti. I veri strateghi, tuttavia, non si occupano granché di queste apparenze. I veri strateghi si occupano di posizionare al meglio i propri pezzi, se necessario subendo anche minori sacrifici, in modo da tenere in scacco gli avversari. In questo caso, Netanyahu sa che il pezzo chiave è il presidente americano Donald Trump.

Conoscendo la visione del mondo piuttosto schematica di Trump e il suo esplicito disgusto per la violenza islamica, Netanyahu alla fine ha acconsentito alle pretese avanzate dei palestinesi, nello sconcerto di tanti suoi sostenitori e di molti israeliani giustamente preoccupati. Sotto Obama ciò poteva avere poco senso. Ma come ha detto l’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley, “ora c’è un nuovo sceriffo in città”. Può darsi che metal detector e telecamere siano stati rimossi dietro discrete insistenze degli americani, nonostante due poliziotti israeliani fossero stati assassinati proprio a causa della mancanza di quelle misure di sicurezza. Ma indipendentemente dal fatto che gli americani abbiano fatto pressione o meno, ciò che conta è che Trump e i suoi consiglieri hanno visto che Israele è pronto a “cedere” e ad accettare compromessi su una questione che non avrebbe dovuto ammettere alcun cedimento o compromesso, a fronte di una folla fanatizzata, rabbiosa, insaziabile e violenta che al grido “Allahu akbar” è disposta, persino ansiosa, di morire pur di battersi contro i metal detector anziché battersi per la pace. Trump e i suoi hanno visto l’abominevole ossessione e glorificazione della morte, la determinazione a farsi martiri per motivi che nessuna persona ragionevole e sana di mente riesce nemmeno a capire. Hanno visto l’attitudine a servirsi immediatamente della violenza religiosa non appena si verifica qualcosa che sembra contrastare, non con le loro più profonde convinzioni religiose, ma semplicemente con le loro pretese. Hanno visto Israele consegnare i corpi di tre terroristi che due settimane fa hanno sparato alla schiena a due poliziotti drusi – l’attentato che ha dato inizio a tutto l’incendio – e hanno visto migliaia di arabi e palestinesi teoricamente pacifici che hanno marciato per le strade con i corpi di quei terroristi, urlando e glorificandoli come martiri in uno dei cortei funebri più ignobili e abietti che si possa immaginare. E chi è l’uomo che ha incoraggiato questo comportamento barbarico e retrivo, sia apertamente sia standosene in silenzio? Proprio lui: Abu Mazen.

Yusuf Ida’is, ministro dell’Autorità Palestinese per gli affari religiosi, il 24 luglio alla TV ufficiale dell’Autorità Palestinese: “Israele progetta di distruggere la Moschea di al-Aqsa e impiantare al suo posto il presunto Tempio” (clicca per il video con sottotitoli in inglese)

Netanyahu sa che Trump, a differenza del suo predecessore, presta molta attenzione a questi aspetti e presta orecchio attento alle grida di guerra che salgono dalle piazze arabe. I metal detector sono solo un pezzo minore da sacrificare sulla scacchiera della strategia globale volta a mostrare all’amministrazione americana una chiara visione circa i futuri colloqui di pace. Come dire: vedete con chi dovremmo negoziare? Con interlocutori come questi, ogni trattativa è destinata a fallire. Né i palestinesi né questi loro leader sono validi partner per la pace. Per capirlo non occorre discutere di una casa in più o in meno in Giudea e Samaria (Cisgiordania): basta semplicemente installare pochi metal detector temporanei, come ce ne sono in tutto il mondo, nel posto dove tre uomini hanno commesso un duplice assassinio a sangue freddo approfittando dell’immunità di un luogo santo.

Abu Mazen può cercare finché vuole di convincere uno come Trump che lui vuole la pace. Con i suoi appelli alla mobilitazione per ben due “giornate della rabbia” motivate dai metal detector, e la sua decisione di sospendere la cooperazione sulla sicurezza con Israele, convincere Trump di essere una autentica colomba non sarà per nulla facile. Netanyahu, invece, ha dimostrato la sua flessibilità su quello che può giustamente apparire un falso problema, nel grande schema delle cose. Ha dimostrato che i palestinesi, nonostante la pretesa di rimuovere i metal detector fosse pura follia, non hanno mostrato categoricamente nessuna flessibilità, e che alla fine Israele e solo Israele ha mostrato ragionevolezza e disponibilità a mutare posizione. I palestinesi possono gioire finché vogliono per la loro autoproclamata vittoria, e gli israeliani possono manifestare la loro comprensibile frustrazione per il cedimento di Netanyahu, ma c’è un tempo per ogni cosa: un tempo per assecondare l’opinione pubblica e le sue emozioni, e un tempo per agire indipendentemente da essa.

Al netto di tutti i possibili processi alle intenzioni e delle personali opinioni di ognuno in merito alla soluzione del conflitto, una cosa risulta chiara: se la soluzione “a due stati” andrà a fondo non sarà certo perché la popolazione israeliana è pronta a uccidere e morire a causa di qualche metal detector, non sarà certo perché la popolazione israeliana è pronta a uccidere e morire per ogni minimo cambiamento o compromesso additato come anatema dalla retorica incendiaria di leader falsi e irresponsabili.

Ripeto, istallare i metal detector era la decisione giusta. Come mossa politica, tuttavia, la loro rimozione non ha niente a che fare con il tentativo di placare la furia delle masse arabe. Netanyahu sa che è impossibile. La ragione dietro la decisione finale non ha nulla a che fare con un cedimento, quanto piuttosto col mostrare agli americani – e a chiunque altro voglia guardare le cose ad occhi aperti – chi c’è veramente dall’altro lato del tavolo, nel momento in cui Trump si appresta a lanciare l’ennesima iniziativa negoziale di pace.

(Da: YnetNews, israele.net, 30-7-17)