Il diritto internazionale non vieta luccisione mirata di terroristi

Lo ha stabilito lAlta Corte di Giustizia israeliana fissando criteri precisi

image_1507L’Alta Corte di Giustizia israeliana ha decretato giovedì che la tattica delle Forze di Difesa israeliane nota come uccisione mirata di attivisti terroristi non è contraria, di per sé, al diritto internazionale, e che la legittimità di ogni azione di questo tipo deve essere valutata caso per caso su base individuale. I tre giudici della Corte hanno stabilità all’unanimità che “non è possibile asserire a priori che tutte le uccisioni mirate siano proibite dal diritto internazionale consuetudinario”.
La sentenza, l’ultima emessa dal presidente uscente Aharon Barak insieme alla nuova presidente Dorit Beinisch e al giudice Eliezer Rivlin, è destinata a costituire un precedente legale nel campo del diritto internazionale e del diritto di guerra.
La Corte ha stabilito che il conflitto far Israele e organizzazioni terroristiche palestinesi presenta le caratteristiche di un conflitto armato internazionale e pertanto è soggetto al diritto internazionale. “Nella sua lotta contro il terrorismo internazionale – dice la Corte – Israele deve agire in conformità alle regole del diritto internazionale. Bisogna bilanciare le necessità della sicurezza e con i diritti umani. Non tutto ciò che è efficace è anche legale. Il fine non giustifica i mezzi”.
Secondo la sentenza, gli attivisti terroristi non sono legalmente definibili come combattenti e pertanto devono essere considerati civili, ancorché implicati in attività ostili. In questo senso, la Corte ha respinto l’argomento dello Stato secondo cui il diritto internazionale contemplerebbe oggi anche una terza categoria, quella dei “combattenti illegali”.
La Corte tuttavia ha stabilito che, in base al diritto internazionale, i civili implicati in attività terroristiche non godono delle stesse tutele garantite ai civili innocenti. “Un civile – recita la sentenza – per godere delle tutele garantite dal diritto internazionale durante un conflitto armato, deve astenersi dal prendere parte alle ostilità. Un civile che viola questo principio (…) si espone agli stessi rischi d’essere attaccato cui sono esposti i combattenti, senza peraltro godere dei diritti riconosciuti al combattente, ad esempio al prigioniero di guerra”.
La Corte ha enunciato quattro criteri principali che devono essere assolti perché un’azione di uccisione mirata sia considerata legittima. Primo, “informazioni fondate, solide e convincenti” circa le attività terroristiche della persona. Secondo, “un civile che prende parte alle ostilità non può essere attaccato se si può fare ricorso a mezzi meno lesivi”. Terzo, dopo l’azione deve essere condotta un’indagine indipendente ed esauriente per stabilire “la precisione dell’identificazione dell’obiettivo e le circostanze dell’azione”. Quarto, va fatto ogni possibile sforzo possibile per ridurre al minimo i danni collaterali a civili innocenti, che comunque non devono mai essere “sproporzionati”.
La Corte ha anche stabilito che, dal momento che un’uccisione mirata è essenzialmente un’azione d’attacco contro un civile impegnato in attività ostili, l’attacco è giustificato solo se condotto contro un individuo attualmente coinvolto nel terrorismo. Pertanto le forze armate non possono prendere di mira ex attivisti terroristi che hanno abbandonato l’attività terroristica.

(Da: Ha’aretz, 14.12.06)

Nella foto in alto: Un’immagine della sede della Corte Suprema e Alta Corte di Giustizia israeliana, a Gerusalemme