Il disappunto della baronessa Ashton

Parla di tutto e condanna Israele, ma non si avvede del regime autocratico che si consolida in Cisgiordania.

Di Emanuele Ottolenghi

image_3223La baronessa Catherine Ashton, Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri, non ha paura di parlar chiaro. Nel solo mese di agosto ha rilasciato non meno di 36 dichiarazioni e interventi su un’ampia gamma di temi di politica estera. In luglio erano stati 56. Dallo scorso luglio la Ashton ha ritenuto di esprimersi sulla “primavera araba” parlando di Bahrain, Libano, Libia, Marocco, Nord Africa, Siria e Yemen. Ha trattato delle relazioni fra UE e Kazakhstan, delle tensioni in Sud Kordofan (Sudan), delle elezioni in Thailandia, dell’uccisione di dimostranti da parte della polizia del Malawi, di violazioni dei diritti umani in Bielorussia. Ha stigmatizzato l’arresto di giornaliste in Iran ed ha espresso rammarico per l’esecuzione capitale, in Texas, di Humberto Leal Garcia, un cittadino messicano condannato per lo stupro e l’assassinio di una adolescente. La Ashton ha accolto con favore il rilascio di sette ciclisti estoni sequestrati in Libano, ha celebrato l’arresto del criminale di guerra serbo Goran Hadzic, ha condannato l’esecuzione, nel Delaware, di Robert Jackson, un uomo giustiziato per aver ucciso a colpi d’ascia una donna durante una fallita rapina nell’abitazione di lei. Ha anche rilasciato una dichiarazione di felicitazioni in occasione della Giornata Internazionale dei Popoli Indigeni del Mondo.
Ma il 22 agosto scorso, quando l’Autorità Palestinese ha rinviato a tempo indeterminato le elezioni locali, la Ashton non ha avuto nulla da dire.
L’ultima volta che i palestinesi hanno votato è stato nel gennaio 2006. Dato che il presidente palestinese dovrebbe restare in carica quattro anni, scaduti nel gennaio 2009 senza che si tenessero nuove elezioni; che il parlamento palestinese dovrebbe pure durare in carica quattro anni, scaduti nel gennaio 2010, anche qui senza nuove elezioni; e che i consigli comunali sono stati eletti allo stesso modo per quattro anni tra il gennaio e il dicembre 2005, ne consegue che nessuna istituzione palestinese gode attualmente di alcuna legittimità democratica.
La Ashton si trovava a Ramallah la scorsa settimana e le si presentava un’ottima occasione per ricordare all’Autorità Palestinese che la legittimità democratica prevede che le elezioni si tengano, non che si rinviino. In effetti, è arduo capire come mandati scaduti e rinvio delle elezioni possano quadrare con il dichiarato impegno dell’Europa per uno stato palestinese democratico. E invece la Ashton non ha proferito una sola parola sul fatto che l’Autorità Palestinese, insaziabile beneficiario della generosità finanziaria europea, ancora una volta si stia sottraendo al suo dovere di edificare e mantenere istituzioni democratiche.
La pace in Medio Oriente rimane una delle massime priorità dell’Europa, ed è assiomatico per l’Europa che gli insediamenti israeliani siano ciò che ostacola questa prospettiva. Pertanto la Ashton ha espresso “profondo disappunto”, il mese scorso, all’annuncio del governo israeliano che avrebbe autorizzato la costruzione di 900 nuove unità abitative a Gerusalemme est. Nelle settimane successive ha espresso profondo rammarico sulla stessa questione, sottolineando che “è la terza volta dall’inizio di agosto che il governo israeliano approva l’espansione di insediamenti in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est”. Il governo israeliano ha fatto tre preannunci e la Ashton, senza perdere un colpo, ha reagito con tre dichiarazioni mirate e puntuali per manifestare pubblicamente la pubblica disapprovazione della UE per la condotta di Israele.
Dunque la sua tempestiva loquacità conosce una sola eccezione: quando occorre che l’Europa critichi i palestinesi.
La baronessa Ashton iniziò il suo percorso come Alto rappresentante della UE intervenendo nella sede centrale della Lega Araba, al Cairo, il 15 maggio 2010, solo nove mesi prima che scoppiasse la “primavera araba”. In quell’occasione, rivolgendosi ad un pubblico di autocrati, la Ashton non parlò mai una volta di democrazia nel mondo arabo. Pronunciò una sola volta la parola “libertà”: in riferimento alla libertà dei palestinesi dall’occupazione israeliana, non alla libertà umana dalla repressione, un argomento che senza dubbio avrebbe avuto risonanza fra gli arabi della strada, ma avrebbe fatto infuriare i suoi anfitrioni. Dopo diciotto mesi e diverse rivoluzioni arabe, il massimo rappresentante diplomatico della UE parla estasiata della democrazia nel mondo arabo come se lei, o l’Europa, non avessero mai fatto altro che difenderla. Ma la dottrina di fondo di quel suo primo lacunoso discorso, volto a far entrare l’Europa nelle grazie dei dittatori arabi, non è cambiata: Israele che costruisce qualche centinaio di abitazioni in Cisgiordania (o nei quartieri di Gerusalemme est, cioè sotto occupazione giordana fra il 1949 e il 1967) rappresenta una minaccia alla pace che suscita disappunto, preoccupazione e rammarico. Nulla di tutto questo quando, nel bel mezzo della “primavera araba”, l’Autorità Palestinese si fa beffe ancora una volta della democrazia. La Ashton avrebbe ben potuto esprimere disappunto, preoccupazione e rammarico per questo risvolto. E invece, il consolidarsi in Cisgiordania dell’ennesimo regime arabo autocratico e corrotto non si è meritato nemmeno un’alzata del suo augusto sopracciglio.

(Da: Ha’aretz, 02.09.11)