Il fronte caldo di Gaza (all’ombra dell’Iran in crisi)

Pagare il pizzo estorto con le minacce può procurare un po’ di quiete temporanea, ma finisce sempre col suscitare ulteriore aggressività

Di Eyal Zisser

Eyal Zisser, autore di questo articolo

Nel suo intervento alla Conferenza sulla sicurezza a Monaco la scorsa settimana, il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha avvertito che il rischio di guerra con Israele è più grande che mai. Questa dichiarazione non dovrebbe essere presa alla leggera, anche se proviene da una posizione di ansia e debolezza. Dopotutto, Zarif ha lanciato il suo avvertimento, o meglio la sua minaccia, nel contesto della grave crisi economica che soffre l’Iran, e rientra negli sforzi di Teheran volti ad esacerbare la crescente frattura tra Europa e amministrazione Trump sull’approccio della comunità internazionale a fronte della minaccia iraniana. L’Europa, come sappiamo, crede nell’accomodamento (solo quando si tratta di dittatori, ovviamente), mentre gli americani vogliono accrescere la pressione sull’Iran, per ora strettamente economica.

Bisogna anche notare che Zarif, insieme al suo capo, il presidente Hassan Rouhani, non fa parte della cerchia ristretta dei veri decisori iraniani quando si tratta della sicurezza nazionale del paese, della sovversione all’estero e degli sforzi terroristici. Queste faccende vengono discusse e risolte dalla Guida Suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, insieme ai comandanti del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie islamiche, che fanno ciò che vogliono senza tener conto di Rouhani né del suo ministro degli esteri. Potrebbe benissimo essere che Zarif, forse temendo la piega che stanno prendendo le cose, stia effettivamente avvertendo la comunità internazionale circa le intenzioni dei suoi capi. [Il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif si è improvvisamente dimesso lunedì sera, ndr]

In ogni caso, sembra che la pressione di Washington sull’Iran stia funzionando, con disappunto dell’Europa. In Siria gli iraniani stanno temporaneamente allontanando le loro forze dal confine israeliano, sebbene non abbiano rinunciato al loro obiettivo strategico di stabilire una testa di ponte nel paese devastato dalla guerra interna, trasformandolo in una base avanzata di operazioni contro lo stato ebraico.

Alunne di una scuola di Gaza passano davanti a un cartellone coi colori delle bandiere palestinese e iraniana e la scritta “Gratitudine e riconoscenza all’Iran”

Anche in Libano il cliente locale dell’Iran, Hezbollah, ha visto giorni migliori. La crisi economica iraniana sta erodendo il sostegno all’organizzazione anche fra gli sciiti. E comunque, non vogliono un’altra guerra con Israele che sarebbe sicuramente altrettanto e più devastante della precedente. Nei suoi recenti discorsi, il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah è apparso come uno che ha fatto il suo tempo. Non sorprende che i giornalisti israeliani siano gli unici a prestargli ancora attenzione, e anche loro nutrono dubbi riguardo alle sue performance. In effetti, anche Nasrallah può ingannare alcune persone per tutto il tempo o tutte le persone un po’ di volte, ma non può ingannare tutti per tutto il tempo.

L’unica arena in cui sussiste in questo momento il vero timore di violenze o persino di una conflagrazione è la frontiera con Gaza. Le Forze di Difesa israeliane, è stato riferito la scorsa settimana, ritengono che Hamas possa incendiare il confine, e oltre, nel tentativo di migliorare la sua posizione negoziale, e forse di suscitare un intervento internazionale, spingendo Israele a far entrare altro denaro a Gaza. Il risorgere delle violenze al confine e la recente ripresa dei lanci di ordigni da Gaza verso Israele avvalorano questa analisi. A quanto pare, le tacite intese basate sul fatto di permettere al denaro contate inviato dal Qatar di entrare a Gaza si sono rotte senza riuscire a garantire calma e tranquillità. Il pagamento di un pizzo estorto con le minacce può procurare un po’ di quiete temporanea, ma finisce sempre col suscitare ulteriore aggressività.

Anche in questo caso Hamas parla, ma è l’Iran che tira le fila. Hamas ha buoni motivi per alimentare le fiamme, anche a bassa intensità, perché vuole migliorare la sua posizione negoziale. La Jihad Islamica palestinese, d’altra parte, fomenta l’incendio dietro incoraggiamento e forse anche ordini precisi di Teheran. Questa organizzazione terroristica ha scelto di mettere il proprio destino totalmente nelle mani dell’Iran: cosa piuttosto inconsueta non solo nell’arena palestinese, ma nell’intero mondo sunnita.

Tempo fa l’Autorità Palestinese aveva paura di affrontare Hamas, motivo per cui perse il controllo sulla striscia di Gaza. Hamas, dal canto suo, può essere giunta alla conclusione che i suoi ambigui tentativi di giocare su due tavoli – da un lato arrivare a intese con Israele, dall’altro intensificare le tensioni lungo il confine, da sola o attraverso la Jihad Islamica – non faranno altro che rafforzare il gruppo rivale rendendolo una forza molto più significativa, forse persino in grado di competere con Hamas. Di conseguenza, sembra che non avremo calma né tranquillità al confine di Gaza. I prossimi mesi, prima e dopo le elezioni politiche in Israele del 9 aprile, continueranno a vedere crescenti tensioni, esplosioni di violenza e continui timori per l’incombere di una aperta conflagrazione.

(Da: Israel HaYom, 24.2.19)