Il giorno in cui ho trovato un esponente di Hamas che ha ragione

E’ del tutto logico (e prevedibile) che Hamas impedisca a 37 orfani di Gaza di visitare Israele e Cisgiordania

Di Laura Ben-David

Laura Ben-David, autrice di questo articolo

Laura Ben-David, autrice di questo articolo

Non corre buon sangue tra me e Hamas. Per me Hamas è fonte di rabbia, stress, frustrazione e sì, anche paura. Niente di personale, per carità. E’ solo che mi accade di essere uno di quei tanti ebrei che Hamas vorrebbe annientare, nella sua dichiarata intenzione di impossessarsi di tutta la Terra d’Israele “dal mar Mediterraneo al fiume Giordano”. Ecco perché sono rimasta sorpresa nel vedere che, per una volta, ero d’accordo con le parole di un esponete di Hamas.

Ormai si sa cosa è accaduto (sebbene ben pochi ne abbiano riferito fuori da Israele): dopo un lavorio assai complicato di organizzazione, trattative e imperscrutabili ostacoli burocratici, trentasette bambini palestinesi della striscia di Gaza che hanno perso un genitore durante i combattimenti della scorsa estate, indipendentemente dal fatto che quel genitore fosse una vittima innocente o un terrorista combattente, stavano per fare il viaggio della loro vita: visitare Israele e i territori palestinesi di Cisgiordania. I bambini, di età fra i 12 e 15 anni, erano stati invitati da un gruppo israeliano a partecipare a un’esperienza senza precedenti. In effetti avevano già preparato i loro zainetti per l’avventura di una settimana che li aspettava oltre frontiera ed erano già a bordo dell’autobus, insieme a cinque accompagnatori adulti, e avevano già attraversato la strada costiera che li avrebbe portati al punto di partenza del loro emozionante viaggio: il valico di Erez da Gaza verso Israele. Quando i bambini erano così vicini che potevano vedere aprirsi letteralmente davanti ai loro occhi l’avventura che stavano per vivere, l’intera operazione è stata implacabilmente e improvvisamente interrotta e annullata dai guardiani sul versante del checkpoint controllato da Hamas che hanno fatto tornare indietro l’autobus.

I bambini palestinesi bloccati domenica scorsa da Hamas sull'autobus al valico di Erez fra Haza e Israele

I bambini palestinesi bloccati da Hamas domenica scorsa sull’autobus, al valico di Erez fra Gaza e Israele

Niente da fare. I bambini palestinesi non avranno il loro tour. Non verranno ricevuti a Ramallah, come era previsto, dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Non incontreranno, come era previsto, i loro coetanei israeliani che vivono nelle comunità attorno alla striscia di Gaza. Non riceveranno nemmeno i doni e i dolcetti che li hanno attesi per tutta la mattinata appena al di là del confine, insieme a Yoel Marshak, del movimento dei kibbutz, l’uomo che ha ispirato l’intera iniziativa, accompagnato da membri della comunità arabo-beduina d’Israele. Saltati anche l’esibizione di una band arabo-ebraica, la visita a una scuola mista, la sosta alla spiaggia di Tel Aviv e la visita al vicino zoo-safari. “Questi bambini – ha spiegato Marshak – un giorno saranno i leader di Gaza e avrebbero ricordato questo viaggio nella consapevolezza che è possibile vivere in pace, fianco a fianco. Il viaggio era stato pensato come un grande abbraccio per loro”.

Cos’è che ha fatto cambiare idea a Hamas all’ultimo minuto? Secondo il portavoce di Hamas Eyad Bozum, hanno preso la decisione di impedire ai bambini di entrare in Israele “al fine di proteggere la cultura dei nostri figli e del nostro popolo” rispetto al tentativo di “normalizzare le relazioni con Israele”. Bozum ha aggiunto che Hamas avrebbe fatto in modo che un viaggio del genere “non abbia a riproporsi mai più”. “Le forze di sicurezza – ha scritto domenica su Facebook – hanno impedito a 37 figli di martiri di entrare nella terra occupata dal 1948 per una visita sospetta a un certo numero di insediamenti e città occupate”.

Ecco, devo dire che Eyad Bozum ha perfettamente ragione. Se vogliono impedire qualunque normalizzazione dei rapporti con Israele, se vogliono impedire la pace, allora devono assolutamente bloccare qualunque iniziativa come questa, animata da sentimenti di buona volontà e comprensione reciproca. Devono continuare a frustrare la loro gente, promuoverne la sofferenza ed educarla alla rabbia e all’odio in modo che possano “proteggere” la loro cultura dal pericolo di accettare la nazione che vive accanto a loro.

Se invece – e lo so che è un se molto, molto grande – qualcuno di loro dovesse decidere che forse questa strada verso la distruzione non è dopo tutto un’idea così brillante, ebbene sappiano che noi siamo qui in attesa, appena dall’altra parte della barricata…

(Da: Times of Israel, 29.12. 14)