Il grado zero dell’etica e della civiltà

Oltre a innocenti assassinati, ricatti vili e indecenti, cultura dell’odio e della morte sparsa nella società araba e palestinese, anche l’imbarbarimento generale del conflitto è da addebitare al terrorismo nemico di Israele

di Marco Paganoni, ottobre 2011

image_3260Bentornato a casa, Gilad. Gli israeliani possono dirlo a testa alta, tanto alto è il prezzo che hanno accettato di pagare per salvargli la vita. Israele è abituato a queste laceranti circostanze, ben rappresentate ogni anno dal repentino e commovente passaggio dalla mestizia di Yom Hazikaron (la giornata dei caduti) alla gioia di Yom Hatzmaut (la festa dell’indipendenza). Israele è tragicamente abituato all’ignobile ricatto dei terroristi, alla lacerante decisione fra la vita di un proprio cittadino innocente vergognosamente usato come ostaggio e merce di scambio, e i rischi e l’ingiustizia connessi alla scarcerazione di centinaia e centinaia di terroristi.
Gli israeliani possono dire “ein brirà”, non c’è scelta. E aggiungere: “Tutte le canaglie che stanno uscendo di prigione, gente con le mani lorde del sangue di innocenti, non valgono il lutto che si sarebbe abbattuto su di noi se Gilad non fosse più tornato dalla prigionia” (Haim Misgav su YnetNews, 12.10.11). E aggiungere ancora: “Il rilascio di Gilad non è solo la liberazione di un ostaggio, il salvataggio di una vita umana e il ritorno a casa di un figlio: è la realizzazione di quel senso di responsabilità reciproca che i cittadini e i soldati israeliani provano l’uno verso l’altro, e che rappresenta la principale risorsa d’Israele in termini umani e di sicurezza” (Ari Shavit su Ha’aretz, 12.10.11).
Ma noi che abbiamo il lusso di assistere a questo dramma da lontano, al sicuro nelle nostre case europee, noi abbiamo il dovere – credo – di affermare con voce chiara e forte che il disgustoso ricatto mafioso imposto a Israele dai terroristi palestinesi ci ripugna, e che in questo ricatto misuriamo ancora una volta l’abisso morale che separa Israele dai suoi nemici. E affermare chiaro e forte che ci ripugnano i festeggiamenti nelle città palestinesi per la scarcerazione di centinaia di delinquenti, tra i quali – vale la pena ricordarlo – quello che organizzò la strage di trenta persone durante una cena pasquale al Park Hotel di Netanya; quello che organizzò il massacro di ventun adolescenti nella discoteca Dolphinarium di Tel Aviv; la donna che attirò un israeliano di 16 anni in una trappola mortale con le sue proposte sessuali via internet; quell’altra che organizzò l’attentato alla pizzeria Sbarro di Gerusalemme; l’uomo fotografato mentre esibiva alla finestra le mani sporche del sangue di due innocenti israeliani bestialmente linciati da una folla di palestinesi nella stazione di polizia di Ramallah; e quelli che assassinarono l’ostaggio israeliano Nachshon Wachsman facendogli esplodere i candelotti alla cintura per impedirne la liberazione.
Se in Israele – un paese e una società che hanno saputo far fronte a decenni di guerre e attacchi terroristici preservando lo stato di diritto, l’indipendenza della magistratura, l’etica delle armi – oggi si levano voci che invocano la pena di morte per i terroristi (“così non potranno più essere liberati coi ricatti”) e la scarcerazione per “par condicio” dei cittadini ebrei agli arresti per reati “anti-arabi” (infinitamente meno gravi di quelli commessi dai palestinesi scambiati con Shalit), se in alcuni ambienti estremisti si affaccia sempre più inquietante la tentazione di vendicarsi, di “fargliela pagare”, ebbene oggi, a chiunque abbia occhi per vedere e abbastanza onestà per guardare, appare ben chiaro di chi è la responsabilità: oltre agli innocenti assassinati, oltre ai ricatti vili e indecenti, oltre alla cultura dell’odio, della faida e della morte sparsa a piene mani nella società araba e palestinese, anche questo imbarbarimento generale del conflitto è da mettere sul conto delle colpe di quel terrorismo a cui da sempre fanno ricorso i nemici giurati di Israele. Giacché proprio questo, in fondo, è il terrorismo: il grado zero dell’etica e della civiltà.
Bisogna credere un po’ ai miracoli per confidare che una società assediata e affranta come quella israeliana riesca a preservare uno dei più elevati standard di civiltà morale e giuridica, pur dovendo combattere da decenni – da generazioni – con uno dei terrorismi più potenti e più osannati del mondo. Ma noi, che abbiamo il lusso di assistere da lontano, continuiamo a credere che il miracolo sia possibile, e continueremo a fare quel che possiamo per renderlo possibile. Oggi, mandando il nostro abbraccio di solidarietà a Gilad e a quella sua grande famiglia che è Israele.