Il Kadima dopo Sharon

Il nuovo partito di Sharon è non solo fattibile, ma anche essenziale per la scena politica israeliana.

Da un articolo di Elliot Jager

image_1044Ariel Sharon giace in un letto di rianimazione. La prognosi è riservata, ma è chiaro che non potrà tornare nell’ufficio di primo ministro. La sua carriera politica è finita. Tuttavia il partito da lui fondato alla fine di novembre rimane non solo politicamente fattibile, ma anche essenziale per la scena politica israeliana.
Il Kadima ha già l’icona di un fondatore, una piattaforma operativa, un direttore organizzativo (Avigdor Yitzhaki), un’abbondanza di candidati di talento e, soprattutto, ha una missione prioritaria, che va oltre l’uomo Sharon: la missione di offrire agli israeliani una terza scelta fra Amir Peretz e Binyamin Netanyahu.
Peretz e quelli alla sua sinistra rimangono convinti che vi sia un affidabile interlocutore palestinese per il negoziato e continuano ad abbracciare il fantasma di Oslo. Netanyahu e quelli alla sua destra si oppongono a ogni gesto unilaterale dicendo che esigono dai palestinesi “un accordo migliore” (sulla base di una rigorosa reciprocità). Alcuni di loro non vogliono affatto un accordo. Generalmente gli va bene lo status quo attuale.
Ecco perché l’alternativa di centro del Kadima non è meno necessaria oggi di quanto fosse quando Sharon avviò la frattura dal Likud. Il pragmatismo di Kadima è stato ben formulato dalla ministro della giustizia Tzipi Livni quando lo scorso 29 novembre riassunse in questi termini la piattaforma politica del nuovo partito: “Il popolo ebraico ha un diritto storico e nazionale alla Terra d’Israele, ma per preservare una maggioranza ebraica in uno stato ebraico democratico dobbiamo cedere parti della Terra d’Israele”.
Dunque, pur comprendendo che uno stato arabo palestinese è inevitabile, il Kadima non si entusiasma per questa prospettiva. Accetta il piano diplomatico internazionalmente sponsorizzato della Road Map purché sia esplicita la condizione che i palestinesi debbono innanzitutto rispettare i loro impegni smantellando i gruppi terroristi e ponendo fine a violenze e istigazioni. Il Kadima è a favore del mantenimento solo dei blocchi di insediamenti e sostiene una Gerusalemme indivisa (che ormai, lo ammetto, è uno slogan piuttosto vuoto).
Ma non bisogna illusioni. Il Kadima potrebbe facilmente svanire come accadde al Movimento Democratico per il Cambiamento di Yigal Yadin, al Partito di Centro di Yitzhak Mordechai e all’attuale Shinui di Tommy Lapid. Perché ciò non accada Ehud Olmert, Meir Sheetrit, Tzipi Livni e Avi Dichter, insieme agli altri esponenti del Kadima, devono prendere alcune decisioni rapide e decise. Il Kadima non ha bisogno soltanto di sostituire Sharon. Deve anche dimostrare quello spirito di corpo e quell’unità di intenti che tanto vistosamente mancano al Likud e ai laburisti.
(…) Programma o non programma, lo spirito del Kadima è perfettamente chiaro ad ogni israeliano mediamente informato. Basta leggere l’intervista rilasciata dal consigliere di Sharon Dov Weissglass ad Avi Shavit di Ha’aretz l’11 ottobre 2004. Ecco come il portavoce sintetizzava il pensiero del suo illustre superiore: “Per via del suo inveterato realismo, Sharon non ha mai creduto nelle ricette risolutive, non ha mai pensato che possa saltare fuori un pezzo di carta capace di porre fine a un conflitto più vecchio di cento anni. Tuttavia quando divenne primo ministro pensava ancora di poter arrivare a un accordo di lungo termine per 25 o 20 o 15 anni. Ma ben presto scoprimmo che andavamo a sbattere contro un muro, che quando si arriva al centro decisionale non accadeva nulla. Tutto era bloccato, e sebbene la colpa fosse dei palestinesi e non nostra, Sharon capì che quello stato di cose non poteva durare”. Di qui la scelta di una politica unilaterale che, spiegava Weissglass, “permette a Israele di porsi in una situazione provvisoria più conveniente, che ci libera per quanto possibile dalla pressione politica e costringe i palestinesi nella posizione, che essi detestano, di dover dimostrare la loro serietà, convalidando la nostra tesi che non esiste un interlocutore palestinese affidabile con cui negoziare”. E così è stato.
I mesi a venire non saranno facili. Bisognerà fare i conti con la minaccia dell’Iran, sottolineando sempre che è un problema per tutto l’occidente e non solo per Israele. Bisognerà accelerare la costruzione della barriera di sicurezza. Bisognerà collegare Ma’aleh Adumin con Gerusalemme, un’area dove Sharon puntava i piedi. Inoltre il prossimo primo ministro dovrà dedicarsi a delineare e consolidare il consenso degli israeliani non solo sulle questioni della sicurezza, ma anche su una serie di priorità interne per rendere la società israeliana più equa e più coesa.
Il Kadima potrà entrare nella storia se sarà capace di impersonare il riallineamento del corpo politico israeliano nel XXI secolo, dando voce al maggioranza pragmatica del paese. Ma potrà farlo solo se le sue celebrità sapranno avere abbastanza spirito di servizio da rinviare le ambizioni personali e mettere la nazione al primo posto.

(Da: Jerusalem Post, 7.01.06)

Nella foto in alto: La Knesset, il parlamento israeliano